Senza le strade interiori dello spirito non si può camminare eretti e con dignità sulle strade esteriori del mondo (Ernst Bloch).
La riflessione svolta nei due precedenti articoli (La perversione neoliberista e la legge della “Buona Scuola” e Ce lo chiede l’Europa? Le politiche scolastiche e la Costituzione neoliberista) su neoliberismo e riforme della scuola ha messo in luce il complesso retroterra ideologico che ha governato le riforme della scuola in Italia dagli anni ’90 in poi, così come il processo della globalizzazione, della formazione dell’UE, delle politiche economiche e sociali ispirate all’austerity, alle privatizzazioni e allo “Stato minimo”.
Considerata con il senno del poi, la cosiddetta “fine delle ideologie”, seguita al crollo del comunismo sovietico, sembra per certi versi presentarsi come la fine del pluralismo delle idee, nel nome di un pensiero unico tanto più insidioso quanto meno percepito come ideologico.
Proprio la capacità mimetica del neoliberismo, che si presentò dagli anni ’70 e ’80 come un sapere scientifico, esposto sotto forma di complesse e apparentemente indiscutibili dimostrazioni matematiche, ne ha garantito la diffusione come sapere “oggettivo” e neutrale. In un mondo nel quale, in assenza di altri validi punti di riferimento, la scienza appare (più o meno ragionevolmente) l’unico sapere certo e l’unica via di accesso alla verità, le brillanti teorizzazioni di Friedman e colleghi potevano passare per verità assiomatiche.
Non si deve mai sottovalutare il potere dell’ideologia, che, come ci ha insegnato Marx, altera la percezione stessa della realtà, distorcendone senso e contorni e producendo una falsa coscienza. Il neoliberismo ha fatto dell’economia il perno immobile intorno al quale girano tutte le altre attività umane e il metro di giudizio di tutti i valori. Quanto ciò sia assurdo, appare chiaro non appena ci si rifletta con mente distaccata, ma proprio questo distacco è la condizione psicologica difficile da conquistare, immersi come siamo in un mondo simbolico interamente dominato e colonizzato da questa unilaterale visione del mondo.
Come per un pesce è difficile riconoscere di essere immerso nell’acqua, perché non conosce altre condizioni, per noi è difficile riconoscere di avere interiorizzato in profondità una concezione tanto malata e maligna del mondo e dei rapporti umani, finché non ne immaginiamo altre possibili. Liberarsene è un lavoro autenticamente spirituale, che richiede capacità di distacco, come si è detto, senso critico e differenti valori di riferimento. Se, come disse Margaret Thatcher, “l’economia è il mezzo; l’obiettivo è cambiare il cuore e l’anima”, è proprio dai sentimenti e dall’anima che dobbiamo partire per invertire la rotta.
Guardare con distacco e senso critico la torsione neoliberista che ha sfigurato il nostro vivere civile, snaturando i valori democratici, solidaristici e partecipativi alla base della Costituzione italiana del ’48 (prima delle successive modifiche peggiorative) richiede prima di tutto l’attitudine a vedere che cosa è cambiato rispetto al testo del ’48 e come è stata svuotata di contenuti la nostra bella Carta fondamentale della Repubblica, per mezzo di un vero e proprio colpo di stato strisciante e subdolo.
Con l’aiuto del costituzionalista Mauro Scardovelli, possiamo provare a ricostruire i primi articoli della Costituzione neoliberista realmente vigente, che non è quella scritta, ma quella tacitamente presupposta negli interventi dei politici, della Commissione europea, nei mass media e propagandata da decenni con uniforme e concorde ripetitività. Vi invito a confrontarla con il testo costituzionale del ’48.
1. L’Italia è una Repubblica oligarchica, fondata sulla proprietà e sull’iniziativa privata. La sovranità appartiene ai mercati, che la esercitano nelle forme e nei limiti della Costituzione, adeguata e interpretata alla luce dei Trattati Europei.
2. La Repubblica, una e indivisibile, aderisce alla Comunità economica europea, e favorisce tutte le cessioni di sovranità, monetaria, economica e finanziaria, necessarie alla creazione del mercato comune e della moneta unica.
3. In armonia con i Trattati Europei, la Repubblica attua la libera circolazione di capitali, merci, persone e servizi, e promuove le condizioni che rendono effettiva un’economia di mercato fortemente competitiva, funzionale all’incremento e alla concentrazione di produzione e ricchezza.
4. Fatta salva la stabilità dei prezzi, ovvero la bassa inflazione, e il pareggio di bilancio, la Repubblica, in cooperazione con gli altri membri dell’Unione, mira a favorire la piena occupazione, il progresso sociale e la tutela dell’ambiente.
Commento: il forte contenimento dell’inflazione (non oltre l‘1,5% in più rispetto ai paesi economicamente più forti dell’Unione), è obiettivo primario e non derogabile. Il livello di piena occupazione va inteso nei limiti di questa prescrizione. Ogni anno la Commissione Europea, organo non elettivo, stabilisce il livello minimo di disoccupazione compatibile con il detto obiettivo (nel 2015 era il 12% per l’Italia e il 20% per la Spagna). In altri termini, il modello socioeconomico Keynesiano, previsto nell’originario modello costituzionale, è abbandonato e sostituito con il modello socioeconomico neoliberista, sul quale si fonda la Comunità Europea.
5. La pace e la giustizia tra le nazioni, la protezione dell’ambiente e della famiglia, il diritto alla salute, all’istruzione, alla pensione, il diritto al lavoro, la tutela del risparmio popolare, sono in ogni caso subordinati agli interessi commerciali e finanziari, così come pattuito nell’ordinamento internazionale vigente. Le norme della Costituzione originaria, con esso contrastanti, sono implicitamente abrogate.
6. La Repubblica promuove una forza lavoro flessibile, adattabile alle esigenze delle imprese, in grado di rispondere ai mutamenti economici, al fine di realizzare gli obiettivi di cui sopra.
Commento:
La flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro sono gli strumenti necessari a perseguire le finalità dell’Unione che, in deroga al modello originario di Costituzione, considera primaria la tutela dei capitali rispetto alla tutela del lavoro. Cioè la tutela delle cose e della proprietà privata, rispetto alla tutela delle persone e del bene comune. Secondo il modello mainstream, la trasformazione dell’originario modello socioeconomico costituzionale Keynesiano del 1948, che prevedeva lo stato sociale, la protezione del lavoro, della salute, la scuola gratuita, la previdenza, si rende necessaria per allineare l’Italia e renderla competitiva nell’ambito dell’odierna forma di globalizzazione neoliberista. Compito dell’Unione è liberare le Costituzioni del dopoguerra, dagli elementi di socialismo, adatte alle condizioni storiche di allora, ormai superate, e incompatibili con le attuali condizioni del mercato globale.
I promotori di queste riforme, a loro avviso indispensabili, hanno assunto (come è noto in base a loro recenti esplicite dichiarazioni), la grave responsabilità storica di compierle in modo graduale, con attendismo, al di fuori del processo elettorale, cioè al di fuori del processo democratico, ben consci che il popolo non le avrebbe consentite.
Per la stessa ragione, per ottenere l’approvazione dei parlamenti nazionali, la formulazione degli attuali trattati europei è complicata, oscura e contraddittoria, praticamente incomprensibile. Ai pochi giuristi, competenti anche nel settore dell’economia, è chiaro che non si tratta di un cambiamento costituzionale, ma di un vero e proprio colpo di stato. Le modifiche apportate alla Costituzione del 1948, avvenute di fatto senza alcun serio dibattito parlamentare e pubblico, corrispondono ad una sostanziale abrogazione dei suoi principi ispiratori. Ovvero ad una sua decostituzionalizzazione. È stata cambiata la forma di Stato repubblicana che, in base all’art. 139, non è soggetta a revisione da parte di nessuna maggioranza.
(Mauro Scardovelli, Essenza della Costituzione originaria ed essenza della Costituzione neoliberista a confronto)
Solo sullo sfondo di una Costituzione del genere ci si può trovare in Europa a difendere un miserabile 2,4% di rapporto deficit/PIL, mentre la Costituzione originaria, quella vera, ci parla di sovranità popolare (anche monetaria), di diritti inviolabili, di bene comune, di eguaglianza sostanziale, di lavoro dignitoso e giustamente retribuito per tutti. Appare evidente a qualunque osservatore onesto che il pareggio di bilancio (art. 81, votato all’unanimità da Centro-Sinistra e Centro-Destra nel 2012 durante il governo Monti) è incompatibile con i contenuti della Costituzione, così come lo sono alcuni altri articoli che ne hanno storpiato la fisionomia originaria.
Lasciando un momento da parte il perché di tale scempio (le cui origini lontane e prossime sono spiegate benissimo nel volume Massoni di Gioele Magaldi e sintetizzate qui), in un movimento politico che vuole invertire la rotta che ha fatto fin qui andare alla deriva il nostro Paese e distrutto intere economie sul pianeta, bisogna chiedersi come se ne esce. Esiste una via d’uscita dalla caverna platonica, nella quale siamo incatenati come schiavi a guardare le ombre che si muovono sul fondo? Possiamo prospettare altri modi di concepire il nostro destino e quello del pianeta, mentre i media mainstream, la scuola, l’Università, la politica e le istituzioni sono quasi completamente colonizzate dal pensiero unico neoliberista che ci proietta in un mondo artificiale e darwiniano fatto di egoismo, di lotta per la sopravvivenza, di competizione, di durezza del vivere, di scarsità, di ingiustizia, di subordinazione di ogni diritto al mercato e di giochi a somma zero? Bastano le misure economiche, il braccio di ferro (vero o fasullo) sui parametri imposti dall’UE o qualche timido accenno alla ripresa della spesa sociale per riprenderci ciò che una classe dirigente eversiva ci ha tolto in questi tre decenni?
Penso francamente di no. Le vere rivoluzioni cominciano nelle coscienze. La sublime perfidia del neoliberismo sta nel farci perdere il senso della connessione: dentro di noi, fra corpo, anima e spirito; fuori di noi, con i nostri simili e con l’intero Universo. Mentre assolutizzava l’economia, l’ideologia neoliberista ha deliberatamente e sistematicamente annullato la dimensione spirituale dell’uomo, riducendolo alla dimensione materiale del vivere o, peggio, ad asservirsi al denaro. Benché la parola “spirito” sia polisemica e si presti a diverse interpretazioni, è alla dimensione spirituale (laicamente intesa) che si riferiscono valori come “libertà”, “solidarietà sociale”, “giustizia”, “bene comune”, “bellezza”, “felicità”, “conoscenza”, “saggezza”, “diritti”, “rispetto”, “consapevolezza”, “responsabilità”, “elevazione”, “cooperazione”, “creatività” eccetera.
Concentrandosi sulla ricchezza materiale come unico fine dell’esistenza, per i pochi che la possono ottenere, ci ha fatto dimenticare che esistono altre forme di ricchezza, infinitamente più appaganti e capaci di rendere la vita degna di essere vissuta: la ricchezza delle relazioni umane autentiche e profonde, della salute come completo benessere psico-fisico, della bellezza dei tesori artistici e naturali, della condivisione e della cooperazione, della nostra crescita umana e spirituale, dell’agire costruttivo nel lavoro, nella famiglia e nelle attività sociali, dell’armonia di una società meno lacerata da disuguaglianze, egoismi e sopraffazione, di un ambiente naturale pulito e rispettato.
Lungi dall’essere l’utopia di anime belle, i valori spirituali sono in primo luogo il salvagente che ci permette di non sprofondare nella melma della disperazione, della rassegnazione, della rabbia, della paura e della colpa; poi sono i criteri che orientano parole, pensieri e azioni verso un obiettivo preciso: riprenderci la nostra dignità di esseri completi e multidimensionali. Non c’è bisogno di uscire misticamente dal mondo per realizzarli. Essi sono dentro di noi e nella nostra storia e li troviamo concentrati nella Costituzione e in altri documenti ispirati come la Dichiarazione Universale dei diritti umani. Essi si fondano su una visione dell’uomo come essere sociale, empatico, cooperativo, creativo, amorevole, libero, consapevole e degno di rispetto. Certamente gli esseri umani possono essere egoisti, ostili, individualisti, ottusi, servili, violenti e inconsapevoli, ma non si tratta dell’unica opzione disponibile. Come gli schiavi nella caverna platonica, possiamo scegliere se rimanere incatenati o liberarci dalla degradazione che ci abbrutisce.
Ritengo perciò che la politica non debba sentirsi troppo a disagio a parlare di spiritualità, intesa come la connessione verticale con la parte migliore di noi stessi e con le dimensioni superiori dell’essere. Il primo lavoro da fare per disintossicare le menti, nostre e altrui, è cambiare il linguaggio. Il linguaggio programma il pensiero, come ci ha magistralmente insegnato George Orwell in 1984. Dobbiamo riconoscere e rifiutare la neolingua neoliberista che infarcisce i testi delle leggi, i documenti sulla scuola, gli articoli giornalistici, i programmi televisivi, i dibattiti politici, i discorsi comuni. Dovremmo criticarla, contestarla, protestare quando la incontriamo (alla radio, alla TV, nei discorsi quotidiani) e difendere lo spirito della nostra Costituzione con le unghie e con i denti, ogni giorno.
Dobbiamo poi riconoscere la menzogna che ci rende schiavi da decenni: che, come Italiani, siamo poveri, spendaccioni, corrotti, inaffidabili, incapaci, soli, colpevoli. Disponiamo di tesori immensi di bellezza e di genialità, abbiamo molte risorse creative e imprenditoriali, abbiamo una tradizione di solidarietà e di Stato sociale e non siamo affatto soli, se smettiamo di crederlo e uniamo le forze per rovesciare l’oppressione oligarchica che ci schiaccia.
Bisogna ripartire dalla scuola e dalla cultura, i due capitoli più intenzionalmente e vergognosamente trascurati negli investimenti pubblici dai governi pilotati dalle élites neoaristocratiche, mentre costituirebbero la principale risorsa umana ed economica di questo straordinario Paese. Ci sono voluti più di trent’anni per asfaltare la scuola pubblica e trasformarla nel guscio vuoto che è l’istruzione privatizzata, standardizzata, aziendalizzata e senza cultura di adesso, che è il risultato della stagione interminabile di tagli e stravolgimenti sostanziali mascherati da riforme. Ce ne vorranno altrettanti per riportarla ai valori della Costituzione, ma si potrà farlo solo se si percepisce chiaramente il degrado che essa ha subito sotto lo sguardo distratto dei cittadini. Come Movimento metapartitico, dovremmo fare ciò che l’attuale governo non ha capito, forse per mancanza di acume analitico o per mancanza di autentica sostanza politica, e cioè riportare i bisogni veri della scuola e delle generazioni future in testa al dibattito pubblico, perché solo da lì passerà un cambiamento autentico di prospettiva.
Il nostro immenso patrimonio culturale merita ben altra considerazione e lungimiranza. Non è ammissibile che siano senza lavoro o in condizione di assurda precarietà tanti giovani preparati, creativi e amanti della bellezza che ci circonda ovunque, mentre la nostra più grande ricchezza degrada e va in rovina per mancanza di cura. Non ci sarà futuro per noi senza un’istruzione di qualità e senza un adeguato investimento in cultura.
Non basterà l’economia a salvarci, se perderemo di vista la nostra identità storica e il senso stesso del vivere civile. Ci servono perciò idee lungimiranti e uomini che le incarnino con passione disinteressata e profonda connessione spirituale con ciò che ci rende migliori. Come scrisse con ragione Max Weber (La politica come professione),
Si può dire che tre qualità sono soprattutto decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza.
Dobbiamo riuscire a guardare lontano, nella direzione indicata da Max Weber, da Ernst Bloch e da tanti grandi uomini che, senza retorica, ma con grande consapevolezza, ci hanno già tracciato la strada.