Conversazione con Alessandro Maggetti di Darsi Scuola
Che cosa vuol dire educare i giovani alla spiritualità? Come è da intendersi? I giovani hanno bisogno di spiritualità, perché hanno bisogno di trovare un senso per la propria esistenza. Solo la creatività spirituale permette di trasformare l’ambiente, anziché adattarvisi.
Spiritualità è autotrascendenza, capacità di elevarci al disopra della nostra mera natura animale e di creare nella bellezza. Siamo esseri multidimensionali, fatti di corpo, mente, anima e spirito, e abbiamo bisogno di sviluppare armoniosamente tutte le parti di noi per vivere in pienezza e non limitarci a sopravvivere.
I valori spirituali ci fanno stare bene: la libertà, la gioia, la verità, l’autenticità, la solidarietà, la giustizia ci rendono felici. Questo dovrebbe insegnare la scuola, se vuole essere la scuola della Costituzione. La scuola ha come fine la piena realizzazione della persona umana, non la formazione per il lavoro.
Dovrebbe stare a cuore a tutti che la scuola funzioni bene e svolga il suo compito educativo e culturale al meglio. Purtroppo il declino degli apprendimenti è un dato di fatto, benché le cause siano ancora poco riconosciute, e sembra inarrestabile. La diffusione del digitale e soprattutto degli smartphone da una parte, le misure pandemiche dall’altra hanno causato danni cognitivi ed emotivi che sembrano assai difficili da sanare: povertà culturale, lacune enormi, ansia, depressione, fragilità psicologica, tendenza a chiudersi passivamente in difesa, piuttosto che a prendere iniziative, dipendenza e distacco dalla realtà sociale e naturale.
Come se ne esce? Che cosa possono fare insegnanti e genitori? Di che cosa hanno bisogno bambini e ragazzi? Come possiamo proteggerli dai pericoli della dipendenza dallo smartphone? Come possiamo diventare adulti autorevoli?
I ragazzi hanno bisogno di creatività, di incontrare ostacoli da superare, di avere mete da raggiungere, di provare desideri da soddisfare con l’impegno e lo sforzo personale, di essere circondati da adulti consapevoli che hanno a cuore la loro integrità, la loro libertà (vera), la loro capacità di autodeterminarsi, di proteggersi da ciò che li danneggia, di avere valore e dignità come individui.
Occorre che gli adulti si interroghino sui danni delle misure carcerarie subite nella pandemia e sul condizionamento pavloviano a cui bambini e ragazzi sono stati sottoposti e che cerchino di dare risposte alle domande esistenziali dei giovani: che cos’è l’anima, qual è il senso della vita e della morte, che cosa rende felici.
Come stanno gli adolescenti? Qual è la causa del loro disagio psichico e dell’epidemia di ansia e depressione? Perché Jonathan Haidt li definisce “la generazione ansiosa”? Qual è il ruolo degli strumenti digitali? Che cosa possono fare gli adulti?
Queste e altre domande nell’intervista di martedì 26 novembre su Radio Antenna 1.
Per approfondimenti, si possono leggere questi libri:
Approfondiamo il delicato tema del disagio giovanile in riferimento alle nuove tecnologie insieme alla Dott.ssa Patrizia Scanu, psicologa; come aiutare i giovani?
Il disagio giovanile è un problema urgente di cui si parla poco, e a partire dal nuovo numero di Terra Nuova, affrontiamo questo tema in riferimento al disagio giovanile insieme alla Dott.ssa Patrizia Scanu, psicologa ed insegnante.
L’impatto delle tecnologie digitali sul disagio giovanile
Negli ultimi anni l’uso diffuso di smartphone e dispositivi digitali ha trasformato profondamente il comportamento e le abilità degli adolescenti. La Dott.ssa Scanu, con quasi 40 anni di esperienza nell’insegnamento, evidenzia un calo significativo della concentrazione e dell’impegno nello studio tra i giovani, costantemente distratti dal digitale. Questo fenomeno, unito alla dipendenza da smartphone, ha portato a un abbassamento dei livelli di apprendimento e di autonomia, rendendo i giovani nervosi e irritabili quando si allontanano da questi dispositivi.
La contraddizione educativa e le scelte istituzionali
Se da una parte si riconoscono i rischi del digitale per lo sviluppo dei giovani, dall’altra la scuola italiana continua a promuoverne l’uso. Introducendo il digitale, soprattutto nella fascia fino ai 14 anni, si rischia di minare lo sviluppo di competenze fondamentali, come la manualità, la creatività e la lettura. Patrizia Scanu sottolinea: “Il digitale non ha effetti positivi sui processi di apprendimento nei bambini e nei ragazzi in età evolutiva”. Per i bambini e gli adolescenti, dunque, è cruciale un approccio consapevole e bilanciato.
Rischi cognitivi e dipendenza digitale
L’affidamento costante sui dispositivi digitali comporta rischi ben più profondi della dipendenza: i giovani tendono a delegare al digitale compiti basilari, come il calcolo mentale e la memoria, indebolendo le capacità cognitive a lungo termine. La Dott.ssa Scanu evidenzia come la “memoria esterna” dei dispositivi limiti il pensiero critico e l’autonomia, rendendo i ragazzi sempre più dipendenti da un supporto esterno per accedere alle informazioni.
Genitori consapevoli: la chiave per ridurre il disagio giovanile
Un ruolo fondamentale nel limitare il disagio giovanile legato alle nuove tecnologie è quello dei genitori. La psicologa consiglia ai genitori di informarsi sui rischi della tecnologia tramite letture come “Emergenza smartphone” del Prof. Manfred Spitzer, per comprendere meglio come il digitale possa influire negativamente sui giovani. Creare gruppi di supporto tra genitori consapevoli permette di elaborare strategie per ridurre la dipendenza tecnologica, favorendo così la crescita autonoma e responsabile dei ragazzi.
Come supportare i giovani di oggi?
Invitiamo a sviluppare un approccio consapevole e critico all’uso della tecnologia, puntando su esperienze di “disconnessione consapevole” e incentivando attività che stimolino creatività, interazione sociale e gioco all’aperto. Educare i giovani a un uso bilanciato e limitato della tecnologia è essenziale per ridurre il disagio giovanile e favorire uno sviluppo cognitivo e emotivo sano.
Laboratorio per bambini trans e gender creative, un follia
PIAZZA LIBERTÀ, il programma di informazione e approfondimento ideato e condotto da Armando Manocchia, ritorna sabato 28 settembre 2024 alle 20,30 sul canale https://rumble.com/c/PiazzaLiberta
La Commissione Etica dell’Università di Roma Tre ha approvato e finanziato con fondi pubblici un “Laboratorio per bambini trans e gender creative”, previsto il 28 settembre e rivolto a bimbi dai 5 ai 14 anni. Il controverso progetto, condotto da attivisti LGBTQ+ di GenderLens, si propone di “esplorare” l’identità di genere nei più piccoli, nonostante la comunità scientifica sia profondamente divisa e in molti Paesi si stiano ritirando progetti simili per i danni che hanno causato a giovani e giovanissimi.
Armando Manocchia, con le autorevoli e competenti ospiti Patrizia Scanu e Silvia Guerini, tratterà il controverso tema.
In questa puntata della rubrica di Giusy Pace: “La scuola del futuro”. Riflettiamo su come è possibile formulare una proposta educativa per formare anime libere e capaci di sentire e di pensare, con ispirazione al modello umanistico dell’educazione integrale, che coinvolge corpo, mente, anima e spirito.
Intervista televisiva su Byoblu a “Che idea ti sei fatto?” (11/07/2024)
Una telefonata in meno ti allunga la vita. Addio ai cellulari nelle scuole, almeno fino alle medie. È arrivata la circolare firmata dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara: una decisione attesa da tempo. Esulta il Moige (Movimento italiano genitori) che chiedeva un cambiamento di rotta.
L’eccesso di tecnologia spesso crea dipendenza e danni psicofisici. Questo è visto come un primo passo verso una “bonifica” dall’eccessiva tecnologia. Intanto a scuola parte anche la sperimentazione sull’intelligenza artificiale. Le opposizioni (Pd in testa) contestano. L’ex ministro Marianna Madia parla di “risposta piccola ad un problema enorme”. Si dice che invece deve esserci un accompagnamento all’uso delle tecnologie. Ne parliamo con Elisabetta Frezza (giurista), Patrizia Scanu (psicologa e insegnante), Anna Pettinaroli (comitato Levante Stop5G) e Stefano Gandus (pediatra e oncologo). Non perderti questa puntata di “Che idea ti sei fatto?”
Se si legge il Piano Scuola 4.0 sul sito del Ministero dell’Istruzione, non può sfuggire il tono esaltato con il quale si promuovono i nuovi “ecosistemi di apprendimento”, ovvero gli ambienti scolastici “innovativi e digitali”, finanziati con il PNRR “per accelerare il processo di transizione digitale della scuola italiana in tutte le diverse dimensioni e allinearlo alle priorità dell’Unione europea”. Di qui il tripudio di novità entusiasmanti, quali “la connettività per l’accesso a tutti i servizi internet alla massima velocità disponibile”, gli obiettivi “di inclusione e abilitazione di competenze” (digitali), per trionfare infine con le “next generation classrooms”, gli “ambienti on line tramite piattaforme cloud di e-learning e ambienti immersivi in realtà virtuale”, l’”eduverso” e gli “ambienti di apprendimentoonlife” (!). Tralasciamo per pietà il profluvio di incomprensibili neologismi in inglese che dovrebbero conferire al testo un’apparenza di innovazione pedagogica e veniamo ai fatti.
L’utilizzo del digitale nella didattica, specialmente prima dei 14 anni, è disastroso per lo sviluppo delle capacità cognitive, sociali, emotive e relazionali, per la salute psicofisica dei ragazzi, per il loro apprendimento a scuola. Lo dimostrano centinaia di studi condotti in tutto il mondo e riferiti con ampiezza dal neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer nei suoi ormai numerosi libri divulgativi, fra i quali Demenza digitale, Emergenza smartphone, Solitudine digitale. Lo attesta la VII Commissione Istruzione del Senato, che a giugno 2021 afferma all’unanimità che “non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni” e che non è “niente di diverso dalla cocaina” per la dipendenza di cui è causa. Lo ribadisce l’UNESCO, che parla di “tragedia dell’ed-tech mondiale”. Lo confermano i dati OCSE-PISA, che mostrano un declino delle prestazioni scolastiche degli studenti a partire dal 2012. Uno studio condotto dall’Università di Helsinki mostra che la scuola finlandese, considerata la migliore in Europa, sta perdendo colpi e ne attribuisce la principale responsabilità all’abuso di digitale nella didattica. In Svezia si sta pensando di tornare a carta e penna e si guarda all’Italia come a un modello. L’OMS nelle sue Linee guida spiega che il tempo trascorso davanti allo schermo può danneggiare i bambini e indica correlazioni con sovrappeso, obesità, problemi di sviluppo motorio e cognitivo e di salute psico-sociale. Perfino i filantropi, gli amministratori delegati, gli ingegneri e in generali i tecnici delle aziende high-tech statunitensi proibiscono l’utilizzo degli strumenti digitali ai propri figli e li mandano nelle scuole steineriane, dove il digitale è assente, perché “i magnati della Silicon Valley conoscono bene i danni che possono provocare in tenera età i gadget tecnologici dal design persuasivo sviluppati con la collaborazione di psicologi infantili”, spiega Milena Gabanelli in un articolo per il Corriere della Sera TV.
Ma se tutti sanno tutto, perché le nostre scuole vengono bombardate dalla retorica della “transizione digitale”? Perché i bambini di pochi anni sono costretti a utilizzare gli strumenti digitali anche se i genitori non sono d’accordo? Perché dobbiamo consegnare dati ultrasensibili a imprese private senza adeguata regolamentazione tramite il registro elettronico e le piattaforme digitali? Perché dobbiamo assistere impotenti alla distruzione della mente e della salute di milioni di bambini e ragazzi?
In un articolo su Bill Gates apparso su Forbes, Peter Greene scrive: “Se i dati sono il nuovo petrolio, le scuole pubbliche sono il nuovo Texas”. La frase può essere intesa in più modi: la digitalizzazione dei dati permette a soggetti privati stranieri di accedere a ogni dettaglio della vita scolastica di milioni di studenti in tutto il mondo, per farne l’uso che ritengono opportuno a fini commerciali o di controllo.
Ma la scuola è il nuovo Texas anche perché le multinazionali del digitale e delle telecomunicazioni stanno ingoiando una bella fetta delle risorse già scarsissime della scuola pubblica per piazzare i propri prodotti digitali, destinati a veloce obsolescenza e a una rapida sostituzione, e per esercitare un controllo di fatto sulla didattica. Le scandalose misure pandemiche che hanno costretto alla DAD i nostri figli sono state una manna dal cielo per tutti quei soggetti sovranazionali – le aziende ed-tech, il World Economic Forum, la Commissione europea fra tutti – che hanno enormi interessi economici diretti o indiretti nel settore digitale e per i quali non è certo la qualità degli apprendimenti e dell’offerta educativa l’obiettivo delle politiche scolastiche. È il libero mercato, bellezza!
Infine, la scuola pubblica è il Texas in un ulteriore, sinistro significato: programmare i più piccoli all’obbedienza, drogarli con la dipendenza da Internet, privarli del pensiero critico, dell’empatia, della gioia di muoversi all’aria aperta e di mettersi alla prova nelle relazioni faccia a faccia è il sogno erotico di ogni dittatore. Chi non conosce la libertà e non sa pensare non sa nemmeno di essere schiavo. Sarà per questo che gli oligarchi planetari investono così tanto in tutto ciò che può minare lo sviluppo sano e naturale dei bambini, dai prodotti farmaceutici, ai dispositivi digitali, al cibo-spazzatura, ai modelli identitari “fluidi”, all’educazione sessuale precoce, finanziando con fiumi di milioni gli influencer sui social, le associazioni di insegnanti, di medici e di psicologi, le università, i media, le organizzazioni non profit e i centri di potere a ogni livello?
Una cosa è certa: dove i miliardari “filantropi” hanno messo le mani sulla scuola, con il pretesto di migliorarla e di “innovarla”, come il progetto Common Core finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation negli USA, i risultati scolastici degli studenti sono peggiorati. Come scrive Melissa McKenzie in un articolo del 14 dicembre 2020 su The American Spectator, “in pratica, i bambini americani sono ora più grassi e più stupidi. Viene negato loro il tempo di gioco, sono pieni di energia repressa e di ansia e sono drogati con la medicina per l’ADHD per reprimerli. Odiano la scuola e la loro crescita è stentata”.
La scuola ludica e artificiale della gamification priva gli allievi delle esperienze corporee ed emotive fondamentali per crescere. Questa è la cruda realtà. L’esaltazione della didattica immersiva offerta da VR (realtà virtuale) e AR (realtà aumentata) è funzionale alla vendita di prodotti tecnologici e non alla crescita armoniosa dei ragazzi. È pura propaganda commerciale. La tragedia è che, attraverso questa presunta innovazione, si costringono subdolamente gli insegnanti a modificare la didattica nella direzione voluta dalle aziende private, dalla quale spesso provengono o con le quali hanno stretti rapporti pure i politici. Per questo viene imposta senza discussione. Non reggerebbe nessun serio confronto scientifico. E per questo chi prova ad avanzare dubbi viene subito bollato come troglodita. La retorica della fallacia ad personam è l’arma più facile da usare, quando sono in gioco i miliardi.
Vale la pena di ricordare quanto scriveva Aldous Huxley ne Il nuovo mondo: “Quando i membri di una società passano gran parte del loro tempo non all’erta, col cervello ben desto, qui e ora, o nel futuro immediato, ma altrove, nell’altro mondo dello sport e dei teleromanzi, della mitologia e della fantasia metafisica, allora resistere all’assedio di chi vuole manipolare e controllare la società sarà ben difficile. […] i dittatori di domani sapranno certamente unire a quelle tecniche il flusso continuo delle distrazioni, un elemento che già oggi, in Occidente, minaccia di far affogare in un oceano di fatuità la propaganda razionale, indispensabile per la conservazione della libertà individuale e la sopravvivenza delle istituzioni democratiche”.
I genitori farebbero bene a riflettere.
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, n°1, maggio 2024
I bambini nati durante o dopo la pandemia fanno più fatica ad imparare a parlare. Sono i figli del Covid o, meglio, delle misure anti Covid: mascherine, lockdown, distanziamento.
A dirlo è uno studio dell’Università Autonoma della Complutense di Madrid. Se chiudi i bambini in casa, non li fai interagire con il mondo esterno mentre tu, genitore, magari passi buona parte della giornata davanti al computer a fare smartworking, gli effetti non tardano ad arrivare. La mancanza di interazioni sociali nei primi mesi di vita compromette lo sviluppo cerebrale.
Il confronto fra bambini ante Covid e post Covid
Nello studio sono stati analizzati il vocabolario e la sintassi. Sono stati coinvolti 153 bambini di età tra 18 e 31 mesi. È stato fatto un confronto: una valutazione di un gruppo di bimbi pre pandemia e un gruppo post pandemia. I piccoli cresciuti durante il Covid usavano meno parole distinte: avevano un vocabolario ridotto rispetto a quello dei nati ante Covid.
Quando togli il sorriso e il contatto fisico ai bambini
La psicologia infantile parla chiaro: il contatto fisico, il tatto, il sorriso degli adulti sono alla base della comprensione del mondo sociale. Il processo di apprendimento avviene attraverso interazioni: si impara a parlare perché gli altri ti parlano, ti guardano, ti sorridono. E per emulazione si cresce.
E poi, se parliamo di bambini più grandi e ragazzi, il lockdown ha causato una nuova dipendenza: la dipendenza da strumenti digitali, unici compagni di gioco, complice la DAD, la didattica a distanza. Ce ne ha parlato la psicologa e insegnante Patrizia Scanu. Le misure anti virus – racconta – hanno innescato una serie di problemi ai ragazzi: dalle crisi d’ansia alla depressione.
Il danno maggiore per i bambini più fragili
Tornando allo studio spagnolo ci si chiede se i figli della pandemia sono destinati a “restare indietro”? I ricercatori dell’Università di Madrid mettono in guardia. “Le misure antiCovid – dicono – hanno ha rappresentato un ulteriore fattore di rischio soprattutto per i bambini più vulnerabili per contesto familiare e sociale”.
Intervista con Fabio Frabetti su Bordernights del 27 novembre 2023.
Dove sta andando la scuola? Che cosa servirebbe per migliorarla? Che cos’è la pedagogia nera? Di questo e di altro discuto con Fabio Frabetti in questa intervista.