Ci risiamo. Dopo l’imposizione dell’obbligo vaccinale ai bambini della legge Lorenzin, la morsa della distruzione dei diritti inviolabili riconosciuti dalla Costituzione si stringe ulteriormente, colpendo gli operatori sanitari, per arrivare un passo per volta a tutti, come previsto.
Considerato dal punto di vista etico-giuridico l’obbligo vaccinale ci pone di fronte ad una questione di vitale importanza per tutti noi: può lo Stato imporre ai cittadini un intervento sanitario universalmente obbligatorio contro la loro volontà? Può violare il principio dell’inviolabilità del corpo? E può fare questo dietro minaccia della perdita, provvisoria, ma prolungata, del sostentamento economico, del demansionamento, della sospensione senza demerito dall’Ordine professionale?
È ovvio che il “può” va inteso nel senso di “ha il diritto”. Nel comune sentire, lo Stato ha il diritto di costringere quando è in gioco un bene maggiore, in questo caso la salute pubblica, in altri casi la sicurezza o l’interesse generale. Ma in uno Stato di diritto e soprattutto in uno Stato democratico il potere dello Stato è soggetto a pesanti limitazioni. Se così non fosse, il naturale squilibrio di forze fra Stato e cittadini trasformerebbe questi ultimi in sudditi senza diritti. Solo se il fine fosse trasformare i cittadini in sudditi di un potere autoritario potrebbero trovare spazio misure tanto coercitive da rasentare l’estorsione. In uno Stato democratico, la sovranità è dei cittadini, che la esercitano sulla base della Costituzione, la quale a sua volta è frutto di un patto, di un contratto bilaterale fra i cittadini e lo Stato. Lo Stato è al servizio dei cittadini, non viceversa; di per sé, lo Stato non è altro che l’espressione della comune appartenenza dei cittadini ad un unico corpo sociale.
Come in ogni faccenda complessa, è in gioco un bilanciamento di diritti e di doveri. Lavorare è un diritto, tanto fondamentale da essere collocato all’articolo 1 della Costituzione. Con questo decreto 44/2021, si sta praticamente stabilendo il principio che esiste un diritto tiranno, quello alla salute pubblica, al quale tutti gli altri devono essere subordinati e sacrificati, compreso il diritto al lavoro, al reddito, all’istruzione, all’esercizio della libertà personale, della libertà di circolazione, della libertà di espressione, della libertà di scelta delle cure, della salute personale, del tutto accessoria rispetto a quella collettiva e di cui lo Stato si fa unico titolare, al punto da trasformare un diritto soggettivo in un obbligo soggettivo. Tali diritti sono codificati nei trattati internazionali e nei documenti di bioetica e rappresentano una conquista di civiltà irrinunciabile.
Il Codice di Norimberga, redatto nel 1946 dopo i processi ai medici nazisti colpevoli di aver condotto esperimenti atroci su esseri umani, cercò di stabilire il confine (assai labile, come si accorsero i giudici) fra gli interventi leciti e quelli illeciti in ambito medico, soprattutto in ambito sperimentale. E la prima regola che venne individuata dai medici statunitensi incaricati della stesura fu la seguente:
«la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia».
La World Medical Association ribadiva inoltre, nella Dichiarazione di Helsinki del 1964, il concetto che solo il consenso esplicito poteva giustificare moralmente la ricerca sui soggetti umani e che “nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto“. Da queste riflessioni sono nati il consenso informato e la riflessione bioetica. Pur con differenze culturali e filosofiche, la bioetica – in particolare quella anglosassone – tende a considerare fra i principi irrinunciabili in ambito medico l’autonomia del paziente (ovvero la libertà di scelta), la beneficità (ovvero l’effettivo beneficio) e la non maleficità dell’intervento (il principio ippocratico primum non nocēre), la giustizia rispetto l’accesso alle cure.
Dai documenti di etica medica deriva un primo punto fermo: un intervento medico si giustifica solo nell’interesse esclusivo di chi lo riceve, solo con il suo consenso espresso, solo se non fa un danno superiore ai benefici che apporta, solo se arreca un beneficio al soggetto. Non si giustifica con un interesse superiore della ricerca scientifica e della società. La CRC pone inoltre come criteri irrinunciabili di ogni intervento la non discriminazione. Tutto l’opposto di quanto sta avvenendo per l’obbligo vaccinale ai sanitari, dato che si tratta non di un vaccino, ma di un farmaco genico sperimentale dall’efficacia e dalla sicurezza ignote, e per il cosiddetto “passaporto vaccinale”, perfetto strumento di discriminazione e di controllo della popolazione.
L’articolo 32 della Costituzione è chiaro:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Che nel caso della terapia genica per il Covid si possa trattare di una violazione dell’integrità della persona è fuori discussione: se rifiutare di sottoporsi ad una sperimentazione medica imposta per legge comporta una perdita o una sospensione di diritti essenziali e irrinunciabili, allora il cittadino diventa una cavia contro la sua volontà, poco più che bestiame da marchiare.
Manca solo l’ultimo passaggio della coercibilità, che finora è sempre stata esclusa dalla giurisprudenza, e siamo di nuovo al nazismo. Non bisogna dimenticare che il nazismo si è imposto grazie a schiere di medici allineati con il potere e ha giustificato lo sterminio con il bene della nazione. Un passo in quella direzione è inaccettabile da chiunque difenda i valori della democrazia. Eppure, il D.L. 44 del 1 aprile già spalanca il baratro quando assegna (art. 5) al direttore sanitario della ASL il potere di decidere la vaccinazione alle persone dichiarate incapaci, sottraendolo ai familiari e al tutore. Quando lo Stato decide per i cittadini in materia di salute, la libertà è persa del tutto.
Somministrare in modo indiscriminato grandi quantità di farmaci a soggetti sani, senza alcuna conoscenza preventiva dello stato di salute, di un’eventuale immunità preesistente, o di controindicazioni alla somministrazione non risponde né a criteri etici né a criteri scientifici. E non ha a che fare con l’utilità o meno dei vaccini. Un farmaco non è utile a prescindere da chi lo assume. Per fare un esempio, anche se gli antibiotici sono una benedizione per l’umanità, questa non è certo una ragione per somministrarli a tutti, anche a soggetti sani o allergici.
La Corte Costituzionale si è espressa più volte in merito all’obbligatorietà delle vaccinazioni pediatriche, individuando in esse un vantaggio sia per il minore sia per la collettività: con la sentenza 23 giugno 1994 n. 258 ha chiarito che le leggi che impongono l’obbligo vaccinale non contrastano con l’art. 32 Cost., purché “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; sia prevista, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio − ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica − comunque la corresponsione di un equo indennizzo in favore del danneggiato“. Nella stessa pronuncia, la suprema Corte ha aggiunto un’importante invito al legislatore “affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze“.
Secondo la Corte, quindi, l’obbligo si giustifica a determinate condizioni, che sono appunto quelle che dovrebbero essere accertate. È evidente, infatti, che i danni da vaccino esistono e possono essere anche gravi, come testimoniano le numerose sentenze che impongono il risarcimento dello Stato ai bambini danneggiati in modo permanente dalle vaccinazioni. In questo caso particolare, le condizioni poste non sono soddisfatte: il cosiddetto “vaccino” Covid non blocca il contagio e nemmeno l’infezione; mancano tutti gli studi sugli effetti a medio e lungo termine, sulle interazioni con altri medicinali e sulle controindicazioni per particolari categorie di soggetti, come le donne in gravidanza; non garantisce un’immunità duratura; non protegge da tutte le varianti previste di un virus a RNA; morti e danneggiati sono già molto numerosi. Benché presentato dal marketing farmaceutico come l’unica via d’uscita al Covid, in realtà non sembra affatto indispensabile, visto che esistono molte cure efficaci per questa malattia, benché accuratamente osteggiate, e il tasso di mortalità sotto i 70 anni, secondo le meta-analisi di John P.A. Ioannidis, è dello 0,05%. In più, né le case farmaceutiche né i medici somministratori si assumono la responsabilità penale dell’inoculazione in caso di danno o morte. Che cosa differenzia dunque un vaccinato da un non-vaccinato, se entrambi possono contagiare altri e se l’immunità è di breve durata? E che vantaggio costituisce per la salute pubblica la vaccinazione universale, se come dicono validi epidemiologi, vaccinare durante un’epidemia rischia di selezionare varianti virali più aggressive, senza impedire il contagio?
Secondo la Dichiarazione di Helsinki, nessuno può essere costretto ad un intervento medico potenzialmente dannoso per arrecare beneficio a qualcun altro. In questo caso, il beneficio è pure assente. Tale principio è ribadito dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001:“Articolo 2 – Primato dell’essere umano. L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”.
Obbligare a vaccinarsi in assenza di pericolo diretto dei soggetti interessati è una violazione del principio di non maleficità: poiché va bilanciato di caso in caso il rapporto costi-benefici di un vaccino, se non c’è beneficio diretto, ma è presente un danno anche solo potenziale, non si giustifica l’intervento, e comunque non può essere obbligatorio. Invece, si sta parlando con insistenza di estendere la vaccinazione perfino a bambini e adolescenti sani, finora toccati marginalmente e in misura lieve dall’epidemia.
Disporre un trattamento sanitario obbligatorio che non rechi un beneficio diretto al soggetto che vi è sottoposto(principio di beneficità) viola il principio di necessità e di urgenza e viola la Convenzione di Oviedo, che nel sommario iniziale recita testualmente:
“La Convenzione consacra il principio che la persona interessata deve dare il suo consenso prima di ogni intervento, salvo le situazioni di urgenza, e che egli può in ogni momento ritirare il suo consenso. Un intervento su persone incapaci di dare il proprio consenso, per esempio su un minore o su una persona sofferente di turbe mentali, non deve essere eseguito, salvo che non produca un reale e sicuro vantaggio per la sua salute”.
All’opposto, sugli anziani delle RSA si sta procedendo anche senza il consenso dei familiari con un farmaco sperimentale privo di approvazione definitiva.
Un farmaco si somministra a chi ne ha bisogno, secondo una valutazione in scienza e coscienza, non indiscriminatamente a tutti, perché così è evidente che, statisticamente, qualcuno ne riporterà dei danni anche gravi, e questo è sempre e comunque eticamente inaccettabile. Nel caso del non-vaccino Covid non è neppure possibile esprimere un consenso davvero informato, mancando molte informazioni indispensabili per assenza di adeguate verifiche sperimentali. Una cambiale in bianco, insomma. Imporre un obbligo in queste condizioni sembra rispondere più agli interessi dei produttori che a quelli dei cittadini, della cui salute lo Stato in questa pandemia non ha mostrato finora alcuna volontà di volersi occupare seriamente. Basti pensare al numero di morti per cure sbagliate, di poveri, di disperati, di suicidi, di persone mentalmente devastate, di bambini e adolescenti danneggiati che questa sciagurata gestione sanitaria ha già lasciato dietro di sé.
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, aprile 2021
Scrivevo già qualche tempo fa[1] delle commissioni di esperti che sussurrano ai potenti le strategie psicologiche per spingere le masse ad obbedire alle politiche di restrizione o distruzione dei loro diritti fondamentali, attuate nell’ultimo anno. Tali strategie comprendono, in particolare, la paura indotta, il senso di colpa, l’appello alla responsabilità sociale, fondato sulla propensione alla conformità e all’avversione verso i non-conformi[2]. A molti sfugge che schiere di psicologi ed esperti di comunicazione e marketing mettono le loro conoscenze al servizio del controllo sociale e comportamentale delle masse da parte di soggetti pubblici e privati. Lo chiamano nudging, “spintarella”, con un termine che potrebbe suonare affettuoso, se per la sua assenza di riferimento all’etica non somigliasse di più alla persuasione pubblicitaria o alla franca manipolazione, realizzata aggirando la consapevolezza e le difese dei destinatari.
Non poteva certo mancare l’impegno di questo genere di esperti nel supportare le politiche sanitarie delle inoculazioni di massa, additate fin da subito come l’unica via d’uscita all’incubo in cui siamo stati precipitati. Vaccino o morte fisica e sociale, insomma, secondo la più scaltrita retorica della falsa dicotomia. E ora che si sono acquistate a peso d’oro e a scatola chiusa quantità sproporzionate di dosi del messianico farmaco sperimentale, più propriamente definibile come un “dispositivo nanotecnologico” o un “sistema operativo”, come lo definisce ModeRNA sul suo sito[3], bisogna inocularlo ad ogni costo nell’intera popolazione mondiale. In precedenti situazioni analoghe di presunta pandemia (esemplare il caso dell’influenza suina o H1N1 del 2009), infatti, l’acquisto – con il denaro dei contribuenti – di milioni di dosi di vaccini mai utilizzati perché inutili aveva fatto fare qualche figuraccia all’OMS, che – ricordiamo – è finanziata quasi interamente da soggetti privati, con le multinazionali farmaceutiche in prima fila.
Un articolo ha particolarmente attratto l’attenzione generale. Si intitola In che modo influencer, celebrità e FOMO possono conquistare gli scettici sui vaccini[4]. Ne è autore un professore di marketing presso la Harvard Business School, Rohit Deshpandé, insieme a due esperti dello stesso settore, Ofer Mintz e Imran S. Currim. In questo articolo, il farmaco tanto evocato viene trattato come un prodotto da vendere ad un pubblico di consumatori in buona parte riluttanti, suddivisi in cinque categorie in base al grado di compliance o acquiescenza: innovatori, primi adottanti, maggioranza anticipata, maggioranza tardiva e ritardatari. Si tratta della teoria della diffusione dell’innovazione: si comincia con i più motivati e poi via via si coinvolgono a cascata le altre categorie. Coloro che aderiscono per primi fanno da opinion leader nei confronti del gruppo successivo mediante l’esempio. “Gli influencer dovranno mitigare le preoccupazioni sulla “novità” del vaccino, come la probabilità di effetti collaterali e soluzioni quando si verificano. Dovranno anche rafforzare le conseguenze positive dell’assunzione del vaccino, come la possibilità di visitare la famiglia, andare a lavorare e avere più opzioni di intrattenimento.”
Ovviamente, se i dubbi degli esitanti siano fondati o meno, se sia giusto che il rifiuto della terapia comporti conseguenze negative sull’esercizio dei diritti costituzionali o se la costosissima strategia sanitaria adottata sia l’unica possibile o la migliore non sono domande rilevanti in questa prospettiva. Un pubblicitario non si chiede se sia giusto pubblicizzare un prodotto; lo fa e basta, perché è pagato per quello. Quando il fine è commerciale e il prodotto controverso, quindi non facile da difendere sul piano razionale, perché in grado di influire in modo irreversibile sui processi biologici, il pubblico non è visto come una comunità di cittadini adulti, responsabili, capaci di informarsi e prendere decisioni autonome, nel proprio e nell’altrui interesse, ma come una platea di consumatori regrediti da convincere facendo leva su aspetti emotivi, periferici, sotto-soglia, più simile ad un gregge da indirizzare nel recinto che ad un popolo sovrano e consapevole. Perciò non va informato, ma orientato, blandito, raggirato.
Scopriamo così che le infallibili strategie da utilizzare sono le seguenti:
Utilizzare gli innovatori come influencer; quindi proporre come testimonial del vaccino personaggi famosi o influenti, leader religiosi, medici, politici, attori. In effetti, nei giorni scorsi abbiamo assistito ad un proliferare di immagini di personaggi pubblici nell’atto di esibire il braccio per il vaccino, anche più volte (!), con siringhe senza ago o ancora incappucciate o con un liquido dal colore diverso da quello del prodotto reclamizzato. In questo caso, la leva della persuasione è la fiducia, specie quella verso il proprio medico, che è l’influencer ideale, perché ci aspettiamo che persegua il nostro bene.
Affrontare le incertezze, rendere agevole l’accesso al prodotto, stimolare l’acquisto attraverso il passaparola entusiasta di chi lo ha avuto per primo (macro- e micro- influencer). In effetti, sappiamo dalla psicologia sociale che adottare un comportamento rende più facile acquisire l’atteggiamento corrispondente: se assumo la terapia, vuol dire che è la scelta giusta. “Il modello tradizionale di diffusione del business chiama questo approccio “hacking della crescita” perché la maggior parte della crescita avviene quando i primi utenti e la prima maggioranza acquistano prodotti, stimolando una rapida adozione da parte della maggioranza tardiva e dei segmenti ritardatari”. Conferire prestigio e status a chi si vaccina aiuta l’emulazione. In questo caso, la leva è emotiva e si basa sull’imitazione e sulla conformità.
Educare a ridurre l’incertezza, evidenziando pro e contro di entrambe le scelte e illustrando le probabilità relative degli effetti avversi, tramite paragoni con la probabilità di essere colpiti da un fulmine, per esempio. Qui la leva è più razionale, ma si tace sulla mancanza di dati certi specie sugli effetti a lungo termine, in un farmaco sperimentale. Come si fa a confrontarli con la probabilità di essere colpiti da un fulmine, se sono ignoti? L’approccio apparentemente razionale può essere insidioso, per chi non è in grado di valutare criticamente i dati. Ricordiamo che si dà per scontato che il prodotto debba essere promosso a prescindere. La leva è perciò la razionalità apparente.
Ispirare FOMO (=Fear Of Missing Out), ovvero la paura di essere esclusi, di perdere un’occasione irripetibile. La leva quindi è l’ansia sociale, il timore del rimpianto, che può essere instillato con diverse modalità: generando paura di perdere diritti o lavoro a non vaccinarsi, creando incertezza sui costi, in modo da spingere a vaccinarsi per non dover subire costi eccessivi (sociali, sanitari, economici, lavorativi…), indurre senso di colpa e rimpianto, come si è fatto con i vaccini pediatrici, per i quali si sono colpevolizzati i genitori che non vaccinavano i figli.
Infine, la logica conclusione: “Applicando la teoria della diffusione delle innovazioni, speriamo che gli sforzi per accelerare l’immunità globale della mandria attraverso le vaccinazioni abbiano successo. Le implicazioni dell’immunità di gregge globale si tradurranno in una maggiore sicurezza, libertà di movimento e raduni a fini sociali e nell’eventuale apertura e ripresa dell’economia mondiale.”
L’immagine del gregge, spesso richiamata a proposito delle inoculazioni, ci mostra vividamente a che cosa si riduce il popolo sovrano nello Stato terapeutico: una mandria di sudditi acritici e obbedienti, che conosce i propri processi mentali assai meno di chi la pilota e delega completamente all’autorità, investita di proiezioni genitoriali, le decisioni più sacre, rinunciando ad esercitare l’autodeterminazione sul proprio corpo e in ultima analisi anche il diritto alla salute, visto che la sua salute individuale, in tutto questo processo, è una variabile irrilevante. Se fosse rilevante, lo Stato non cercherebbe di forzare il suo consenso con intimidazioni o ricatti, non si userebbe costantemente il terrore per indebolire e dividere le persone, le voci critiche dei ricercatori veri non sarebbero censurate ferocemente, i medici scrupolosi non sarebbero costantemente minacciati di radiazione, alla TV non si organizzerebbero processi sommari nei confronti di medici che guariscono i loro pazienti senza vaccino né si darebbe autorevolezza solo ai testimonial del prodotto da vendere, presentati come il non plus ultra della scienza medica. Nemmeno si parlerebbe con insistenza di obblighi o di ritorsioni per i renitenti.
Ad essere onesti, la scienza e l’etica non c’entrano proprio con questo scenario. La scienza procede per critiche e confutazioni, non per plotoni d’esecuzione televisivi o per campagne di odio e di epurazione. L’etica non tratta le persone come mezzi in vista di un fine, buono o cattivo che sia. Come ci spiegano senza infingimenti questi esperti statunitensi, si tratta in realtà di marketing. Un marketing fondato sulla paura, spietato e degradante, la cui reason why per fornire il proprio consenso al prodotto insindacabile è un simulacro di libertà da riconquistare a prezzo della cessione della propria autodeterminazione sul corpo e della disponibilità a rinunciare ai propri diritti inviolabili. Nello Stato terapeutico, insomma, non c’è spazio per concetti obsoleti come libertà, democrazia, integrità, pensiero critico. Si tratta di un pessimo segnale. Come ci ha mostrato tante volte la storia, se il popolo accetta di essere ridotto a gregge, non potrà mancare il pastore che ne assumerà la guida. Non certo nel suo interesse.
Lunga intervista per Radio Studio 54 sul libro Emergenza scuola. I bisogni ignorati dei nostri figli nella crisi sanitaria. Molti suggerimenti per riuscire ad affrontare il grave disagio prodotto dal clima sociale e dalle misure sanitarie.
(SCANU) Dall’ultima volta che abbiamo parlato di scuola con Lei, so che ha pubblicato un libro insieme alla sua collega Giuditta Fagnani, dal titolo Emergenza scuola. I bisogni ignorati dei nostri figli nella crisi sanitaria. Com’è nata l’idea? Ce ne vuole parlare?
(FAGNANI) Dottoressa Fagnani, so che Lei è psicologa dell’età infantile. Può raccontarci la sua esperienza di questi mesi con i bambini? Come stanno vivendo questo periodo così anomalo?
(SCANU) E gli adolescenti? Quali conseguenze hanno su di loro le misure sanitarie adottate, soprattutto nelle scuole?
(FAGNANI) Nel titolo del libro avete parlato di bisogni ignorati. Di che cosa hanno bisogno bambini e ragazzi? E’ davvero il Covid il nostro nemico?
(SCANU) Si può fare qualcosa per aiutarli? Si parla spesso di resilienza, ma che cos’è?
(FAGNANI) Lei che cosa suggerisce per la salute dei bambini?
(SCANU) Tanti ascoltatori mi hanno scritto, chiedendomi dei consigli per affrontare un disagio psicologico sempre più marcato. Molte persone stanno male, anche fra gli adulti. Come si può preservare la propria salute psichica? Avete qualche suggerimento pratico per gli adulti?
(FAGNANI) Vuole aggiungere qualcosa, magari sul potenziale della mente nelle situazioni difficili?
(SCANU) Vuole lasciarci una riflessione conclusiva?
I RAGAZZI SONO RESILIENTI | #IOPENSO I ragazzi stanno male, ma sono resilienti. Questo il messaggio positivo scaturito dalla splendida conversazione intrattenuta per la piattaforma www.iopenso.eu con Patrizia Scanu (Docente liceale e psicologa) e Giuditta Fagnani (Psicologa), coautrici del libro fresco di pubblicazione “Emergenza scuola”.
Intensa e competente intervista del dottor Eugenio Serravalle sul libro Emergenza scuola. I bisogni ignorati dei nostri figli nella crisi sanitaria, condotta il 17 dicembre 2020.
Paola Mastrocola e Chiara Saraceno hanno espresso su La Stampa la convinzione che l’interruzione della scuola e il ricorso alla DAD o didattica digitale possa presentare alcuni lati positivi, come il recupero di spazi di solitudine e di riflessione, la possibilità di dare spazio alla creatività svuotando la giornata da impegni frenetici, l’occasione per ripensare la didattica e innovare il modo di fare lezione.
Sulla carta, potrebbero sembrare argomenti stimolanti. Perché non vedere il lato positivo di una situazione difficile? Perché ostinarsi a volere il ritorno alla scuola in presenza? Non sarà per ragioni che non hanno a che fare con la sacra missione di studiare e imparare?
Nella realtà, invece, ragionamenti di questo tipo, che rimangono su un piano astratto, tendono ad ignorare alcuni dati di fatto di cui si sta parlando assai poco nei media. Provo a farne una sintesi parziale, basata sull’esperienza diretta e su alcuni dati della ricerca.
La scuola non è il luogo dove si travasano informazioni, ma quello in cui si accendono fiamme di conoscenza, attraverso il dialogo, il confronto, la relazione, la condivisione, l’emozione della scoperta. Gli esseri umani sono intimamente sociali, hanno un corpo e l’assoluta necessità del contatto fisico, dei legami, della gioia e della serenità dell’apprendere insieme, attraverso l’azione, la parola e la comunicazione non verbale. Noi impariamo meglio ciò che associamo ad esperienze vitali e positive. Nella DAD tutto questo è mortificato o assente. Per quanto ci si sforzi, aspetti fondamentali dell’educazione scolastica, come l’educazione affettiva ed emotiva, l’inclusione, l’accoglienza, la solidarietà, il rispetto e l’empatia sono pressoché esclusi, con danni tanto più gravi quanto più giovani sono gli scolari. Ma sono escluse anche tutte le attività che si possono svolgere solo in presenza, come le attività di laboratorio, le verifiche scritte serie, i viaggi e le visite di istruzione.
La DAD non è un’attività didattica liberamente scelta dal docente né richiesta dagli studenti. Se lo fosse, sarebbe certamente utile e stimolante, almeno come modalità aggiuntiva e non sostitutiva della didattica in presenza. Ma dove c’è costrizione, non ci può essere motivazione. Questo vale per i docenti e per gli studenti, i quali dicono in modo pressoché unanime che la DAD è demotivante, faticosa, triste.
Ai ragazzi è stato tolto tutto: oltre alla scuola, le amicizie, le relazioni sentimentali, lo sport, il gruppo dei pari, lo svago, i viaggi, il divertimento, le feste, i nonni. Sono stati colpevolizzati come untori, proprio loro che sembrano ben poco toccati dal virus. Con uno sforzo di empatia, possiamo provare a metterci nei loro panni? Noi lo avremmo accettato? Gli adolescenti stanno male e nessuno sembra accorgersene. Basta chiedere loro come si sentono, per sentire risposte inequivocabili: si sentono in prigione, soffocati, privati del diritto di fare le esperienze necessarie alla loro crescita. Parlano di vita rubata, di tristezza, di peso, di mancanza di energia e di senso. Molti di loro scompaiono nel silenzio delle loro caselline sullo schermo, finché non si presentano più. Non di rado, sono i più bravi, quelli che investono di più sulla scuola e che amano leggere.
Sono aumentati in misura preoccupante la dispersione scolastica, con punte drammatiche del 10% e più, come testimonia una ricerca del CENSIS di giugno 2020, le violenze domestiche (i traumi cranici da abuso si sono decuplicati durante la quarantena, secondo quanto emerso a ottobre al 32° Congresso dell’Associazione Culturale Pediatri), la dipendenza dal digitale, a cui sono condannati anche se non vogliono, l’ansia, lo stress post-traumatico, la depressione, i suicidi, i disturbi dell’alimentazione, l’isolamento sociale completo, la regressione delle competenze cognitive e sociali, drammatica nei ragazzi autistici. Secondo uno studio dell’ospedale Gaslini, l’86% dei minori aveva mostrato segni di disagio la scorsa primavera, stando a quanto riferito dai loro genitori. Basta leggere quanto riassunto nel Report di settembre 2020 Le conseguenze psicologiche del periodo pandemico su bambini e adolescenti ed azioni necessarie del Comunicato degli psicologi (www.comunicatopsi.org). Inoltre, il 42% degli alunni vive in abitazioni sovraffollate e non ha uno spazio tranquillo per studiare. Non dimentichiamoci che anche i loro genitori sono spesso stressati dalla perdita del lavoro o dell’attività. Quale Cultura sarà mai accessibile per loro attraverso la loro traballante connessione a Internet, in condizioni simili, nonostante lo sforzo ingegnoso dei loro insegnanti per intrattenerli? Quale beata solitudo potranno mai apprezzare?
Stiamo assistendo ad una massiccia desocializzazione delle giovani generazioni, dagli esiti incerti, benché non imprevedibili e di cui non si conosce la scadenza. Certo, anche nella prigionia si può trovare qualcosa di buono. Tommaso Campanella scrisse La Città del Sole in una buia cella. Non è però una buona ragione per giustificare la reclusione di massa di milioni di scolari. A furia di giustificare tutto, finiremo con il considerare ineluttabili queste misure estreme, dimenticandoci che siamo l’unico Paese europeo a non aver riaperto le scuole in primavera e che in Svezia non le hanno mai chiuse, riportando solo lo 0,05% di casi COVID-19 nella popolazione fra 0 e 19 anni. La stessa percentuale della Finlandia, che ha interrotto la scuola e attuato il lockdown. Nessuna domanda, ovviamente, sul perché di questa interessante identità di risultati. Ma l’essere umano è così adattabile, che finisce per mettere le tendine anche alla finestra della sua cella. Quando non c’è più libertà, però, la scuola non è vita, ma morto indottrinamento, per non dire rieducazione ad una nuova e sinistra “normalità”.
“Ho 18 anni: mi avete tolto tutto, rivoglio la mia vita”, titolava una lettera pubblicata pochi giorni fa sul Corriere della Sera. Come molti suoi coetanei, l’anonimo estensore del grido di aiuto appartiene ad una categoria di persone particolarmente colpita dalle misure sanitarie di questi mesi. Certo, gli adolescenti non sono i soli a pagare un prezzo elevato per la sistematica violazione dei diritti fondamentali durante l’emergenza infinita: tocca anche agli anziani lasciati morire soli nelle RSA e negli ospedali; ai bambini costretti a regole da carcere sanitario e indottrinati ad obbedire, a sentirsi in colpa, a non fare i bambini; ai piccoli imprenditori, agli artisti e alle altre categorie di lavoratori disperati e impotenti. Sono aumentati in misura preoccupante i suicidi per ragioni economiche, le violenze domestiche sui bambini (decuplicati i casi di trauma da abuso), i disturbi psichici di ogni genere, specie ansia e depressione, in tutte le fasce di età. Ma sugli adolescenti si sono accanite con particolare violenza la comunicazione mediatica e la furia coercitiva delle norme liberticide: niente scuola, niente svago, niente sport, nessuna relazione sociale o di coppia, niente viaggi, uscite, cene, feste, attività di gruppo, nessun contatto con gli amici, i nonni e con i familiari fragili. In compenso, colpevolizzazione continua dei loro comportamenti naturali, del loro bisogno di fare gruppo, di fare esperienze, di stare fuori casa. Vengono additati come untori, ma sono le vittime principali di questa follia collettiva.
Per gli adolescenti, dai 12-13 ai 19-20 anni, ma anche oltre, il compito evolutivo fondamentale è conquistarsi l’identità (personale e sociale) attraverso la progressiva emancipazione dalla famiglia. Uscire di casa e conquistarsi l’autonomia è un’esigenza primaria a questa età. Frequentare gli amici, stipulare alleanze, misurarsi con gli altri, esplorare la sessualità e le identità possibili, scoprire vocazioni e talenti, imparare dal passato e progettare il futuro, sperimentare la costruzione di piccoli mondi sociali, mettersi alla prova, sentirsi adulti sono bisogni di crescita essenziali e vitali almeno quanto l’aria che è loro tolta con le mascherine. E le conseguenze di queste smisurate privazioni si vedono, gravi, allarmanti, potenzialmente irrimediabili.
Dopo otto mesi senza scuola, a parte una breve parentesi a inizio anno scolastico, questi ragazzi – i nostri figli, gli adulti di domani – non ce la fanno più. Stanno male, nell’indifferenza degli adulti. Basta ascoltarli un momento, chiedere loro come stanno, che cosa provano, ed ecco che cosa si raccoglie: “Non possiamo stare insieme come classe. Mi sento PRIVATA di un’esperienza”; “Ci hanno SOTTRATTO la vita un po’ alla volta”; “Non abbiamo nessun tipo di interazione sociale”; “A volte stai bene, poi ti svegli la mattina dopo e non hai voglia di niente”; “È come essere un po’ in una GABBIA”; “Come se mi mancasse il RESPIRO”; “Dove mettiamo tutte le energie che abbiamo?”; “Mi manca il sociale”; “La BOTTA più difficile è stata la seconda chiusura”; “Ritorno a fare le cose di sempre a vedere gli amici a uscire e poi… Arriva il secondo blocco, CROLLO, lì si fatica a recuperare”; “Manca qualcosa, le domande che noi ci facciamo non hanno nemmeno più un TERRENO da cui partire”; “Fatichiamo a dare un SENSO alle cose”; “La seconda volta è PESANTE”; “C’è il bisogno di non sentirsi soli”; “Rabbia, tristezza, disperazione: manca l’energia davanti al PC, l’energia è calata molto”; “Siamo in un momento in cui cerchiamo di capire i nostri COLORI, ma come possiamo capirlo in questo modo?”; “Si AMPLIFICANO le emozioni, soprattutto quelle negative”; “Mi sento PRIVATA della mia libertà, è la cosa più importante che abbiamo”; “Io ero una persona sempre allegra ora mi sento molto più insicura come se fossi in STANDBY”; “A volte mi domando: quella che gli altri VEDONO davanti al PC sono veramente io?”; “Mi manca la MOTIVAZIONE”; “NESSUNO ci chiede come stiamo”; “Sento INGIUSTO l’aver interrotto il LEGAME con i miei nonni ed i miei amici”.
Demotivazione, perdita della gioia di vivere, privazione, senso di prigionia, perdita di riferimenti sicuri, pesantezza, disorientamento, impossibilità di dare direzione e senso al proprio agire e di fare esperienza sono i sentimenti più comuni, insieme a rabbia, tristezza, senso di ingiustizia, stress, solitudine, ansia, senso di colpa. Alcuni ragazzi non escono più di casa, non si presentano alle lezioni a distanza, tagliano tutti i legami sociali con i coetanei. Questo naufragio silenzioso avviene sotto i nostri occhi e ha proporzioni enormi. Un’indagine condotta dal CENSIS a fine giugno 2020 mediante un questionario somministrato ai dirigenti scolastici (oltre il 35% del totale) ha constatato che l’89% delle scuole considerate aveva perso per strada almeno qualche allievo durante l’interruzione scolastica; il 40% circa dei dirigenti segnalava, a fine aprile, una “dispersione” nella DaD superiore al 5% degli studenti delle proprie scuole, con punte che raggiungevano più del 10% per quasi un quinto dei dirigenti coinvolti nello studio. Al Sud la quota maggiore di dispersi: il 23% dei rispondenti segnalava che, nelle scuole da loro dirette, non era stato raggiunto dall’offerta didattica più del 10% del totale degli studenti.
Una ricerca italiana condotta durante il lockdown mostra come il 62,2% degli studenti complessivamente ha affermato di percepire che la distanza fisica dai compagni ha influito negativamente sugli apprendimenti[1]. Per gli esseri umani, anzi, per tutti i mammiferi il contatto fisico è una necessità fondamentale e insopprimibile, come ha spiegato magnificamente l’etologo Frans De Waal nel suo libro L’ultimo abbraccio. Ma per bambini e adolescenti è addirittura strutturante, come un’impalcatura che sorregga un edificio in costruzione. La socialità plasma letteralmente il cervello. La scarsità di relazioni sociali e la solitudine possono avere effetti deleteri sui sistemi cognitivi e di memoria. Sappiamo dalla ricerca che avere solide relazioni interpersonali è fondamentale per la sopravvivenza ad ogni età [3], che gli esseri umani traggono beneficio psicologico e fisico dall’interazione sociale, che l’isolamento sociale è fattore predittivo significativo del rischio di morte, che un’insufficiente stimolazione sociale influenza negativamente il ragionamento, la memoria, l’omeostasi ormonale, la connettività e funzionalità della sostanza grigia e bianca del cervello, la resilienza alle malattie fisiche e mentali. Sappiamo poi che la solitudine danneggia direttamente il sistema immunitario aprendo le porte a malattie e infezioni ed è infatti dimostrato che far parte di gruppi, come società sportive, chiese, associazioni, riduce il rischio di sviluppare depressione quasi del 25%.
Di questa catastrofe non sembra interessarsi nessuno. La didattica a distanza non è scuola nemmeno lontanamente e consegna dei ragazzi soli, tristi e privati di tutto alla dipendenza dal digitale, alla perdita di occasioni irripetibili di crescita umana ed intellettuale, alla depressione e alla mancanza di senso, per l’asserita, ma non dimostrata esigenza di proteggerli da una malattia che li tocca solo marginalmente e di cui di conseguenza non sembrano essere nemmeno portatori. In compenso, il malessere psicologico è notoriamente associato a vulnerabilità alle malattie e al peggioramento della salute generale. Negli USA, già a giugno i suicidi e le morti per overdose avevano superato quelle per Covid fra gli studenti delle superiori. Da un’indagine[3]sulla salute mentale svolta a giugno dai CDC statunitensi è infatti venuto fuori, in conseguenza delle misure sanitarie, che i sintomi di ansia e depressione “aumentavano notevolmente”: l’11% degli intervistati dichiarò di aver “preso seriamente in considerazione” il suicidio negli ultimi 30 giorni; tra i 18 ei 34 anni, il numero era più che raddoppiato, raggiungendo il 25%.
Continuare così significa spezzare in modo irreparabile la loro integrità, specie per i più fragili, i più svantaggiati, i disabili. Certo, non per tutti, per fortuna, ma nemmeno per pochi. Dobbiamo fare qualcosa, e subito, se abbiamo a cuore davvero la loro salute. Non possiamo fare finta di nulla; noi siamo i custodi del loro benessere. Gli adolescenti hanno bisogno di condividere i loro vissuti, di incontrare gli amici, di sentirsi parte attiva della società, di andare a scuola. L’attività fisica è per loro fondamentale e costituisce un potente antidoto alla depressione. Per questo, dopo aver lanciato in più occasioni un allarme (con il Comunicato degli psicologi e degli psichiatri, con una conferenza stampa alla Camera dei Deputati a settembre, con report periodici sui risultati delle ricerche scientifiche in corso), un gruppo di psicologi firmatari del Comunicato psi, riuniti sotto il nome di SinergEtica, sta pensando a come sostenere le risorse di resilienza dei ragazzi e aiutarli a incanalare le loro energie verso se stessi, verso gli altri, verso il futuro. Solidarietà, condivisione e gratuità sono ciò che ci serve per non lasciarci portare via la dignità umana e la capacità di aiutarci a vicenda. Chi vorrà partecipare al progetto (psicologi, studenti, educatori, giovani disposti a collaborare), potrà trovarne notizia nel sito http://sinergeticapsi.org
Articolo pubblicato su Sovranità popolare, anno 2, n° 9, dicembre 2020.
[1] Di Palma, D., Belfiore, P. (2020). Tecnologia e innovazione didattica nella scuola ai tempi del Covid-19: un’indagine valutativa dell’efficacia didattica nella prospettiva dello studente. Formazione e insegnamento, 18(2):169-179.
[2] Bzdok, D., Dunbar, R. I. M., (2020). The neurobiology of social distance. Trends in Cognitive Sciences, 24(9): 717-733.
[3] Czeisler, M. É., Lane, R. I., Petrosky, E. et al. (2020). Mental health, substance use, and suicidal ideation during the COVID-19 pandemic — United States, June 24–30. MMWR – Morbidity and Mortality Weekly Report 2020,69:1049–1057.
Lunga intervista per Radio Studio 54 sulla conferenza stampa tenuta alla Camera il 9 settembre 2020 insieme alla dott.sa Giuditta Fagnani e sulle tecniche psicologiche di manipolazione del consenso.
Ieri alla Camera ha parlato di scuola. Vuole dirci com’è andata? Quali sono i principali problemi che si preannunciano all’inizio delle scuole?
Si parla molto del patto di corresponsabilità, che i dirigenti chiedono di firmare per rientrare a scuola. Come devono comportarsi i genitori?
Alla fine del suo intervento ha parlato di manipolazione e di tecniche di controllo comportamentale messe in atto dai mass media in questi mesi. A che cosa si riferisce?
Ci può fare qualche esempio di manipolazione?
Sono compatibili democrazia e manipolazione del consenso?
Come ci si accorge di essere manipolati?
Com’è avvenuta la manipolazione in questi mesi?
Che cos’è il debunking?
Ma qual è il fine della manipolazione?
Come ci si può difendere?
Come può aiutare la scuola a essere liberi dentro?
Ringrazio l’on. Sara Cunial per l’invito e voi qui presenti per la disponibilità ad ascoltarci.
Questo intervento corale di un gruppo di psicologi è rivolto a tutti i genitori e a coloro che si occupano dei bambini e dei ragazzi per compito istituzionale. Noi abbiamo molto a cuore il loro benessere e la loro integrità e per questo sentiamo la responsabilità di comunicarvi, in scienza e coscienza, tutta la nostra preoccupazione per quanto sta accadendo nelle scuole italiane, perché nessuno possa dire in seguito di non essere stato informato sui probabili effetti di lungo termine di un clima di paura prolungato e generalizzato su questa generazione di bambini e adolescenti.
Durante il confinamento obbligatorio in casa, la scorsa primavera, molti psicologi hanno segnalato i rischi dell’isolamento per la salute complessiva della popolazione italiana e soprattutto dei più giovani, sui quali si sono accanite con particolare rigidità le misure restrittive. Benché la quarantena di massa per un periodo così lungo fosse un evento mai verificatosi nella storia, era infatti già vasta la letteratura scientifica sui danni conseguenti alla quarantena e all’isolamento sociale, che comprendono stress post- traumatico, disturbi di adattamento, ansia, sintomi depressivi, perdita di motivazione, senso di affaticamento fisico e cognitivo, sentimenti di autosvalutazione, tristezza, rabbia, paura e colpa, aumento della violenza e dell’aggressività, sospettosità paranoide, suicidio. Potete trovarne documentazione sul sito https://comunicatopsi.org/.
In un’intervista del mese di agosto[1], il prof. Gabriele Sani del Policlinico Gemelli ci informa che dagli studi in corso risulta che l’80% della popolazione ha sviluppato sintomi ansiosi e depressivi, anche gravi.
Oltre 700 psicologi e psichiatri a fine aprile hanno lanciato un allarme[2], rivolto alle autorità e alla popolazione, che non è stato evidentemente raccolto. Facevamo presente, nel Comunicato, che, come la ricerca dimostra, il malessere psicologico ha effetti negativi sulla salute fisica, perché indebolisce le difese immunitarie, proprio in un momento in cui la protezione della propria salute generale mediante uno stile di vita sano e all’aria aperta, una sana alimentazione, una saggia gestione delle proprie emozioni sarebbero indispensabili per affrontare con successo una malattia virale.
Invece, i media hanno continuato a diffondere allarme e paura anche quando l’impatto straordinario di ricoveri nei reparti di terapia intensiva era cessato; quando per fortuna, anche grazie ai medici che hanno fatto le autopsie, trasgredendo le indicazioni ministeriali, sono state trovati farmaci e cure per la malattia, riducendo drasticamente il numero dei morti; quando i numerosissimi studi scientifici svolti in tutto il mondo hanno permesso di cominciare a comprendere meglio la malattia ed hanno evidenziato che, a differenza degli anziani e di adulti affetti da altre patologie, i bambini e gli adolescenti si ammalano pochissimo di Covid-19 oppure manifestano sintomi lievi e molto raramente hanno bisogno di terapie intensive.
Per questo, correttamente il CTS ha evidenziato, nel verbale n. 82 del 28 maggio 2020, che “L’infezione da SARS-CoV-2 in Italia, nell’età evolutiva (0-18 anni), è stata a oggi, documentata in circa 4.000 casi: il 7 % ha richiesto il ricovero ospedaliero (più numerosi nel primo anno di vita e nell’età preadolescenziale) e 4 decessi (tutti in pazienti con gravi patologie preesistenti). Nei bambini e nei ragazzi le forme cliniche sono prevalentemente paucisintomatiche, lievi e/o moderate, eccezionalmente si sono avuti 3 casi gravi che hanno necessitato di cure intensive”.
Perciò, vogliamo rassicurare i genitori: non temete per i vostri bambini e ragazzi, abbiamo delle buone notizie dalla ricerca. Possiamo rilassarci un momento e tirare il fiato.
Il Covid ora si può curare con successo nella stragrande maggioranza dei casi e bambini ed adolescenti non sono una fascia di popolazione a rischio di conseguenze gravi. Ad ulteriore conferma, uno studio molto ampio e importante[3] condotto in Gran Bretagna e pubblicato il 27 agosto sul British Medical Journal, che raccoglie i dati su bambini e adolescenti ricoverati in 183 ospedali britannici, ci informa che bambini e adolescenti rappresentano solo l’1-2% dei casi di ricovero per Covid-19, hanno un minore rischio di infezione rispetto agli adulti, che per loro nella stragrande maggioranza dei casi è blanda o asintomatica, con pochissimi casi di morte (6 sui 651 bambini ricoverati, meno dell’1%), tutti con gravissime patologie preesistenti. Questo dato emergeva già in Cina a gennaio-febbraio, come evidenzia una ricerca retrospettiva cinese5[4] pubblicata a giugno su Pediatrics: il 94,1% dei bambini infettati aveva superato la malattia senza problemi, poiché era asintomatico aveva sintomi lievi o moderati; su 2351 casi sospetti o accertati, solo un morto di 14 anni.
In compenso, i danni psicologici derivanti dalla quarantena e dall’interruzione scolastica sono davvero gravi, diffusi e allarmanti, come mostrano decine di studi scientifici nazionali e internazionali. Dall’indagine dello scorso giugno del Gaslini di Genova sullo stato psicologico dei bambini e adolescenti a tre settimane di distanza dal lockdown emergono alcuni elementi di criticità sul loro stato emotivo, a prescindere dalla condizione psicosociale di partenza. Il professor Lino Nobili, direttore della Neuropsichiatra Infantile del Gaslini di Genova spiega che “nel 65% di bambini di età minore di 6 anni e nel 71% di quelli di età maggiore di 6 anni (fino a 18) sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di regressione”.
Chiusi in casa, brutalmente separati dai loro coetanei, bombardati di notizie e di immagini terrorizzanti, privati di ogni sostegno psicosociale, i bambini e gli adolescenti, specie i più fragili a livello personale, socioeconomico e familiare, hanno già pagato un prezzo altissimo e secondo noi non giustificato per le misure estreme di contenimento adottate. Il Centro di Gravità, fondato da Giulietto Chiesa, partendo dall’autorevole premessa pedagogica di Benedetto Vertecchi e da un’analisi dei dati scientifici disponibili dei prof. Bizzarri e Prestininzi, già a marzo aveva proposto alla Ministra Azzolina un piano di rientro a scuola almeno parziale per il mese di maggio, fondato sui criteri di gradualità e volontarietà, ma è rimasto lettera morta. Mentre i nostri ragazzi erano segregati in casa, in tutti i Paesi europei le scuole hanno riaperto già fra aprile e maggio; in Svezia non hanno mai chiuso. Eppure, non ci sono stati picchi epidemici e di ricoveri in terapia intensiva dopo la riapertura delle scuole. Un report dell’Agenzia per la Salute pubblica svedese[5] a metà luglio constatava che, fra febbraio e giugno c’erano stati 1124 casi confermati di Covid-19 fra i minori in Svezia, circa lo 0,05% dei bambini e degli adolescenti, esattamente la stessa percentuale della Finlandia, che aveva adottato il lockdown. In compenso, gli scolari svedesi stavano meglio a livello mentale ed educativo. Inoltre, non c’era alcuna evidenza di un rischio maggiore per gli insegnanti rispetto ad altre categorie di lavoratori. Le previsioni più pessimistiche sono state smentite dai fatti. Vi ricordate l’infausta previsione del CTS di fine aprile che prevedeva oltre 150mila ricoveri in terapia intensiva entro giugno? Era così poco attendibile, che il prof. Zangrillo potè dire il 30 maggio che il virus era “clinicamente morto”, ma tanto bastò a tenere le scuole chiuse. Uno studio recente pubblicato dal British Medical Journal[6], che esamina i dati provenienti da diversi Paesi, conclude che 1) i bambini hanno minore probabilità di infettarsi rispetto agli adulti; 2) contraggono una passeggera infezione alle vie respiratorie superiori e mostrano sintomi lievi; 3) sono scarsamente infettivi nell’ambiente domestico, essendo responsabili solo di una percentuale dei contagi che, a seconda degli studi, varia da 0 al 10%; 4) non vi sono prove di insegnanti contagiati dai loro allievi; 5) ci sono evidenze molto scarse di un effetto del Covid-19 su bambini con comorbidità, al contrario degli adulti. La conclusione è che “al momento attuale, non sembra che i bambini siano super-diffusori.”
“Nemmeno un solo bambino è finito in ospedale con il Coronavirus dopo la riapertura delle scuole a giugno”, titola con enfasi il 23 agosto un articolo del giornale britannico The Telegraph[7]. Nei mesi estivi, i bambini hanno ripreso ad uscire, a giocare, a frequentare i coetanei, senza conseguenza drammatiche. Gli adolescenti si sono frequentati nuovamente, com’è naturale. Perché allora non rimandarli a scuola normalmente, in modo da rimediare per quanto possibile al danno gravissimo già subito? Perché costringerli a misure di controllo sanitario eccezionali e gravemente lesive dei loro diritti naturali alla socialità, al movimento, al gioco, all’apprendimento sereno e gioioso? Il rischio di causare in loro patologie psichiche gravi o gravissime è molto elevato, a fronte di un basso o bassissimo rischio sanitario. Misure eccezionali richiedono prove eccezionali. Ma quali sono queste prove? Dov’è la valutazione del rischio psicologico? Possibile che nessuno ci abbia pensato nel CTS? Alcune misure previste potevano avere senso durante il momento peggiore dell’epidemia, ma ora appaiono ben poco giustificate. I positivi di oggi sono quasi tutti asintomatici, cioè sani, cioè inoffensivi. Lo stesso immunologo statunitense, dr Anthony Fauci, membro eminente della Task Force per il Coronavirus, ha dichiarato in conferenza stampa ufficiale[8] mesi fa che “l’unica cosa di cui storicamente le persone devono rendersi conto è che, anche se c’è una trasmissione asintomatica, in tutta la storia dei virus respiratori di qualsiasi tipo la trasmissione asintomatica non è mai stata la causa dei focolai. Il responsabile dei focolai è sempre una persona sintomatica. Anche se c’è un raro caso di persona asintomatica che potrebbe trasmettere, un’epidemia non è determinata dai portatori asintomatici.” Ripeto: Fauci dice che solo chi ha i sintomi può essere causa di focolai infettivi. I positivi di oggi per lo più non hanno sintomi, cioè sono SANI. E anche questa è una buona notizia, sebbene i media sembrino preferire quelle cattive, e chiamare “casi” o “contagiati” individui sani con tracce di virus al tampone, che non misura la carica virale.
Per darvi un’idea vivida di che cosa aspetti i bambini italiani al rientro a scuola, vi leggo però un messaggio arrivato da un’insegnante di scuola primaria il 2 settembre: “Dunque, oggi pomeriggio, in videoconferenza, si è svolto il Corso di Formazione anti Covid sulle misure di sicurezza e applicazione del protocollo stilato dalla scuola, in base alle normative dettate dal CTS. Dopo lunga delucidazione da parte del formatore e del medico che, per il PERIODO di emergenza, affiancherà le scuole del nostro distretto, si è arrivati ad una conclusione: Che non si può lavorare! Fermi nei banchi ad un metro di distanza, due dal docente, senza mascherina (se non si muovono) … Con mascherina se si avvicinano di pochi centimetri a chiunque altro. I fazzolettini con reflussi organici buttati in appositi contenitori. Tutto il materiale didattico (ma anche i giocattoli, alla materna) sarà esclusivamente ad uso personale… vietato lo scambio anche temporaneo. Ogni verifica (in fogli) una volta consegnata, sarà raccolta con i guanti, dal docente, che la dovrà mettere in quarantena per almeno 48h prima di correggerla, ogni libro prestato o preso in biblioteca pure. Tutte le superfici continuamente sanificate. È preferibile che ogni docente, abbia un sacchetto proprio per i gessetti (per la lavagna) … Le finestre aperte ogni ora, anche in caso di pioggia. L’impianto di riscaldamento continuamente controllato. La ricreazione, fatta da seduti in classe se piove o in piccoli gruppi a distanza di un metro (??), vedrà l’alunno ingurgitare velocemente lo snack… e rimettersi la mascherina, fermo, senza agitarsi e senza alzare la voce. I bagni sanificati ad ogni passaggio… Non si potrà alzare la voce (troppi droplet), non si potrà cantare, suonare uno strumento (andrebbe sanificato), usare un PC della scuola (per lo stesso motivo), non si potranno fare attività di laboratorio, non si potrà lavorare a coppie o a gruppi. La lezione sarà SOLO frontale… la PEGGIORE per i ragazzi con BES, per non parlare degli iperattivi inchiodati ai banchi… Fino allo sclero! E con i bimbi disabili… ne vogliamo parlare? “
Poi, continua la docente, “Sarà istituita la saletta Covid, dove, in caso di sintomi sospetti, l’alunno sarà portato in attesa che i genitori vengano a prenderlo, mentre il referente Covid avviserà la ASL e cercherà di risalire alle frequentazioni pregresse (con l’influenza ti voglio! I sintomi sono uguali!). Lo starnuto nel gomito o nel fazzoletto (ma i più piccoli lo ricorderanno?). I maestri NON POTRANNO soffiare il naso ai più piccoli… Non potranno abbracciare i bambini che piangono (e i bambini a scuola piangono, anche alle medie). Tutto a distanza, sempre! Per le attività motorie, svolte senza mascherina, le distanze dovranno essere di 2 metri, ma assolutamente banditi sport di squadra, gruppo e contatto. I ragazzi eseguiranno un corpo libero FERMI sul posto. La Palestra sarà sanificata dal personale ATA ad ogni cambio d’ora. La docente, se adoperati, sanificherà gli attrezzi. Vi saranno percorsi, cartelli, segnaletiche, tutto nel più rigido controllo, sanzionato se si rendesse necessario. Il mio è un istituto comprensivo e non c’è stato UN solo docente, di ogni ordine (materna, primaria e medie) che non abbia alzato gli occhi in modo miserevole esclamando: “Ma come si lavora 6/8 ore così??”. I due preposti alle informazioni, pur comprendendo il nostro sgomento, in tono monocorde, ripetevano che: QUESTA È LA NORMATIVA per TUTTI e che la differenza tra UN’AZIENDA e UNA SCUOLA… è ABISSALE! Ma la normativa è uguale. Chi, per un solo attimo, ha pensato che tornare a scuola sarebbe stato come prima, non si illuda. [Seguono 44 pagine con dettagli da terapia intensiva] “, conclude sconsolata la maestra.
Questa infatti non è scuola, è un incubo sanitario. Parecchi docenti stanno chiedendo aspettativa non retribuita, pur di non rendersi complici di questo orrore. Quelli che rimarranno, nonostante l’abnegazione e la dedizione che li spingerà a tentare i miracoli, come sempre, si troveranno presto in dissonanza cognitiva, non avendo più alcun margine di libertà di insegnamento e dovendo gestire il malessere degli alunni. Ci aspettiamo che anche loro possano manifestare un disagio psicologico. Un eccesso di medicalizzazione del genere, per i danni irreparabili che infligge al sano sviluppo dei bambini, specie ai più piccoli, somiglia di più ad una forma di maltrattamento sistematico e organizzato, una forma di ipercura istituzionale, con esiti devastanti per loro e per la società intera, tanto più perché sostenuto dall’autorità. Si chiede ai bambini di rinunciare ad essere bambini, si inducono in loro fobie e senso di colpa, li si invita a segnalare i trasgressori. Chi ne ottiene un vantaggio? Loro non di sicuro, magari qualcun altro, magari chi parla compiaciuto di una “nuova normalità”, come se la disumanità fosse un destino senza ritorno. Come minimo, questi ragazzi odieranno la scuola, e a ragione. Ricordiamo che per l’OMS è maltrattamento all’infanzia quello “che ha come conseguenza un danno reale o potenziale alla salute del bambino, alla sua sopravvivenza, sviluppo o dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, fiducia o potere”. Privare un bambino di tutto ciò che gli permette una crescita sana e felice proprio nel contesto della scuola che ha come scopo quello di custodirne e svilupparne le infinite potenzialità è contrario ad ogni principio pedagogico, psicologico e di umanità. Non c’è ragione al mondo che lo possa giustificare. Ed è certamente un danno, uno dei più gravi che si possano infliggere all’infanzia. Un attentato imperdonabile al futuro dei bambini, ai cui responsabili verrà chiesto conto dal tribunale della storia.
Poiché il rischio zero non esiste, che senso ha concentrare ogni sforzo sanitario ed una spesa pubblica enorme per contrastare un’unica patologia che non colpisce i bambini e gli adolescenti se non in modo del tutto marginale, trascurando tutto il resto? La salute, secondo la definizione OMS, è “un completo stato di benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia”. La salute è un diritto, non un obbligo, e va protetta nella sua globalità. Non c’è salute senza benessere psicologico e non ci sono né salute né benessere senza relazioni sane e soddisfacenti[9][10]. Imporre mascherine, distanziamento, disinfezione continua degli ambienti, regole da carcere sanitario con tanto di punizioni e minacce, didattica a distanza, esami sanitari invasivi, isolamento sociale e delazione distruggerà la mente dei nostri figli. Come dicono i medici con amara autoironia, magari la cura funzionerà, ma il paziente sarà morto.
L’uso prolungato delle mascherine ostacola la comunicazione verbale e quella non verbale, che rappresenta più del 90% della comunicazione umana e che passa in misura consistente attraverso la mimica facciale (noi umani abbiamo oltre 200 muscoli dedicati solo all’espressione del volto). La percezione e il riconoscimento delle espressioni facciali sono implicati nello sviluppo delle competenze empatiche, nella comprensione delle intenzioni altrui, nel riconoscimento dei volti, nell’espressione e nella comunicazione delle emozioni, come hanno spiegato gli psicologi Ekman e Friesen[11], Baron-Cohen[12] ed altri. Poiché questa abilità, per cui abbiamo una predisposizione innata, si apprende dall’esperienza mediante apposite vie neurali, imporre la mascherina in età evolutiva potrebbe interferire con un processo di sviluppo cerebrale, con la probabile alterazione o compromissione di alcune fondamentali competenze emotive e sociali, indispensabili per una normale vita di relazione. Diciamo “probabile” perché uno studio sperimentale sui bambini non ci risulta che esista ancora, non essendoci precedenti, e comunque incontrerebbe non pochi ostacoli di natura etica, proprio perché potenzialmente dannoso. La ridotta capacità di riconoscimento delle espressioni facciali è correlata da diversi studi alla schizofrenia[13], così come il deficit nella teoria della mente è collegato da Baron-Cohen[14] e altri ai disturbi dello spettro autistico. L’assenza di empatia è stata invece associata al disturbo antisociale e ai comportamenti violenti[15][16], benché gli studi sugli adolescenti non abbiano ancora condotto a risultati conclusivi, per ragioni soprattutto metodologiche[17][18].
Il distanziamento fisico inibisce la socialità, il contatto e la vicinanza che sono i bisogni più fondamentali di ogni essere umano, anzi, di ogni mammifero, come ha spiegato magnificamente l’etologo Frans De Waal nel suo libro L’ultimo abbraccio. Bloccare un impulso naturale come la socialità, che è connesso alla produzione di ossitocina, l’ormone dell’amore, dei legami e dei comportamenti prosociali, può generare, come effetti a breve termine, sentimenti di disperazione, incertezza, tristezza o insicurezza[19][20][21][22], disturbi emotivi, disturbi del sonno, irritabilità e agitazione psicomotoria, sindromi depressive, disturbi d’ansia, stress e burnout[23][24]. A lungo termine, ci possiamo aspettare, sulla base delle ricerche disponibili sull’isolamento sociale e degli effetti sul sistema immunitario, depressione[25][26], diminuzione dell’autostima[27], diminuzione della capacità di apprendere[28], diminuzione della competenza empatica[29][30], ridotta resilienza[31], infiammazione e malattie autoimmuni[32], ipertensione[33][34][35][36], patologie cardiache[37] e oncologiche[38], disturbi del comportamento alimentare[39], disturbi comportamentali[40]. Non possiamo offrire dati certi sul futuro, perché una situazione come questa non si è mai verificata a memoria d’uomo. Si tratta di una sorta di esperimento sociale senza preventiva valutazione etica. Ma sulla base di ciò che sappiamo, ci aspettiamo dall’insieme di queste misure disumanizzanti protratte nel tempo un incremento non quantificabile ora di casi di ansia, fobie, depressione, suicidi, dipendenze, ossessioni di igiene, pensieri deliranti[41], sospettosità paranoide, ipocondria. L’allarme sull’aumento dei suicidi e delle morti per overdose di stupefacenti negli studenti delle superiori in conseguenza del Covid-19 arriva già dagli Stati Uniti. Il dottor Robert Redfield, direttore del CDC, ha affermato a fine luglio che le morti per suicidio e quelle per overdose hanno superato quelle per Covid fra i giovani delle superiori[42]. Gli autori una ricerca pubblicata ad aprile su una importante rivista di psichiatria scrivono: “Dal punto di vista della prevenzione del suicidio, è preoccupante che la strategia sanitaria cruciale per la crisi da Covid-19 sia il distanziamento sociale”[43]. [Per i giornalisti: possiamo consegnarvi alla fine l’elenco puntuale degli studi scientifici a cui facciamo riferimento per ogni singola affermazione].
E poi misure invasive e di dubbia utilità come il tampone, per di più ripetuto, l’isolamento dei presunti “sintomatici” o, peggio ancora, degli asintomatici (cioè SANI), la negazione del contenimento emotivo tramite l’abbraccio, le carezze, il sorriso, il gioco, gli insegnanti trasformati in carcerieri e i dirigenti in sceriffi, che effetto faranno sui più piccoli? Ma voi vi ricordate il vostro primo giorno di scuola? Come lo vivreste in una situazione del genere, soli e immobili nel vostro banco, senza vedere in faccia né i compagni né le maestre, prelevati, isolati e tamponati dal 118 nel naso con uno stecco di 13 cm alla prima febbre, senza giochi, senza canto, senza risate, senza contatto fisico con nessuno, davanti ad una maestra piena di paura che vi tratta come un appestato e vi sgrida ad ogni movimento? Vorreste ritornarci il giorno dopo? Penso proprio di no. Questa, ripeto, non è scuola nemmeno lontanamente. È una follia di menti insane degna della peggiore distopia.
Si sta minando la salute psichica di milioni di bambini e adolescenti per l’asserita, ma non dimostrata intenzione di proteggerli da un rischio quasi inesistente per loro o, peggio ancora, per l’asserita, ma non dimostrata finalità di proteggere altri a prezzo del loro sacrificio. Non è sicurezza ciò che distrugge l’anima e tutto ciò che ci rende umani, ma ha un altro nome più oscuro, che lascio a voi trovare. Ricordo che l’isolamento sociale prolungato dei detenuti è considerato una forma di tortura. E nemmeno la didattica a distanza è una soluzione, perché oltre all’isolamento sociale, alla dipendenza, ai danni alla salute psicofisica che sono ampiamente documentati come conseguenza dell’uso prolungato dei dispositivi digitali, con la DAD, specie per i più piccoli, ma non solo, non sono possibili l’apprendimento della scrittura, l’apprendimento della lingua, l’apprendimento della matematica, delle scienze sperimentali, del disegno, della musica, della motricità, le attività di laboratorio tecnico-professionali, il dialogo, la discussione, le competenze sociali, l’emozione della scoperta, le competenze di cittadinanza democratica, la costruzione del sé, l’autostima, per citarne solo alcune. Senza contare la discriminazione sociale che ne consegue e la sistematica violazione della privacy.
La domanda che vi rivolgo perciò è se è davvero questo che vogliamo per i nostri bambini. Pensate che ricordo avranno della scuola. La sofferenza psicologica dei bambini può manifestarsi a scoppio ritardato e in modi imprevedibili. Secondo un’importante ricerca statunitense guidata dal prof. Loades[44], l’impatto della solitudine sulla salute mentale potrebbe durare almeno 9 anni, gli effetti potrebbero essere ritardati e potrebbero essere necessari fino a 10 anni per capire la portata dell’impatto sulla salute mentale creato dalla crisi Covid-19. Nessuno di noi adulti, genitori, insegnanti, politici, medici, esperti del CTS ha lontanamente il diritto di infliggere una simile sofferenza a chi è affidato alle nostre cure. Noi siamo i custodi dei bambini, non i loro aguzzini. Noi comprendiamo i genitori che hanno paura della malattia e vogliono proteggere i propri figli. L’obiettivo è giusto, è il mezzo che non va bene. Non possiamo sacrificare i loro diritti alla nostra paura, dandoci la penosa giustificazione che insegniamo loro ad essere responsabili. Noi siamo responsabili per loro, non loro per noi. Se non li proteggiamo dal vero pericolo, che per loro non è il virus, ma la perdita dell’infanzia e della socialità, ne porteremo per sempre il peso sulla coscienza e non potremo dire a noi stessi che non lo sapevamo o che la nostra incolumità era più importante della loro. I bambini sono sacri e vanno rispettati; sono un fine, non un mezzo. Il gioco è un diritto umano fondamentale, come il movimento, il contatto, la spontaneità, la gioia, la relazione calda, sintonizzata e amorevole. Nessuno li può comprimere e ogni intervento attuato in nome della salute deve proteggerli con ogni mezzo. Inutile inserire nelle scuole lo psicologo, se mancano la normalità, la serenità e la gioia, in una parola la VITA. È la relazione che cura e getta le basi dell’intersoggettività. Se vogliamo proteggere la loro salute, bisogna trovare una strada meno dannosa.
Tuttavia, c’è un’altra buona notizia. Possiamo fare molto per i nostri figli. Possiamo imparare noi e insegnare loro a gestire la paura, la rabbia e la tristezza, a proteggere se stessi, a riconoscere i segnali di disagio, a proteggere la loro gioia interiore; possiamo intervenire quando i loro diritti vengono violati; possiamo creare intorno a loro un ambiente accogliente, vivo e nutriente, a contatto con gli altri e con la natura; possiamo insegnare loro come proteggere la propria salute con uno stile di vita equilibrato; possiamo insegnare loro ad ascoltare il proprio Sé profondo e a difendersi dalla manipolazione, che nella comunicazione mediatica di questi mesi è stata usata a profusione, con tutto il repertorio delle più scaltrite tecniche psicologiche di controllo del comportamento, che noi psicologi abbiamo riconosciuto al volo. Per esempio, possiamo insegnare loro che le leve della manipolazione sono la paura, il senso di colpa, l’inadeguatezza, la riprovazione sociale e la spinta al conformismo, la denigrazione dell’altro, la contrapposizione di idee e posizioni, l’indifferenza al bene individuale, mascherata dall’appello alla responsabilità per gli altri, l’incoerenza, la falsità ripetuta, l’uso divisivo e svalutante del linguaggio, la pressione informativa, che consiste nel dare come scontato ciò che invece andrebbe dimostrato.
Se vogliamo bene ai nostri figli, aiutiamoli a crescere integri. Dove c’è divisione e isolamento, nella persona o nella società, c’è solo infelicità e dolore. E noi vogliamo promuovere per loro gioia, bellezza, vita, verità, amore, creatività, cooperazione, da cui dipendono salute e benessere.
Noi psicologi di SinergEtica saremo a vostra disposizione per condividere con voi risorse di resilienza, ossia l’attitudine ad affrontare le avversità, uscendone più forti. Preferiamo prevenire che curare e ci rivolgiamo a tutti, senza distinzione. Abbiamo sofferto insieme i lutti, il disagio e gli effetti economici tragici di questa situazione. Condividiamo tutti insieme un destino comune. Non siete soli, e noi siamo tanti. Come disse il Mahatma Gandhi, “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”.
Che questo resti a futura memoria.
Dott. Sa Patrizia Scanu, Psicologa clinica, Gestalt Counsellor, docente liceale
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