L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte terza]

Fonte: Il Fatto quotidiano, 17/01/2013 (https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/17/che-senso-hanno-attuali-vaccinazioni-pediatriche-di-massa/472111/).

Dopo i primi due articoli sull’obbligo vaccinale, il primo sugli aspetti etico-giuridici, il secondo sulle modalità autoritarie e manipolative del decreto Lorenzin, proseguo la riflessione sull’argomento provando a delineare un quadro complessivo dello scontro in corso, nella speranza di poter fornire un primo schema orientativo nell’enorme complessità della questione, senza alcuna pretesa di completezza e senza alcuna presunzione di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Siamo infatti pienamente nel campo dell’opinabile, nonostante la strategia mediatica di contrapporre Verità ed eresia, ed è giusto che ciascuno si formi un’opinione propria. D’altra parte, quello che proverò a ricostruire è un dibattito impossibile, per il rifiuto delle istituzioni politiche e sanitarie a dialogare con posizioni critiche, a beneficio dei cittadini e della trasparenza democratica.

Per fare un quadro sintetico delle diverse posizioni in tema di obbligo vaccinale, occorre elencare ed esaminare alcuni punti controversi del dibattito e vedere con quali argomenti vengono affrontati dalle varie fazioni. Questo resoconto cerca di essere descrittivo e sufficientemente imparziale, anche se chi scrive ha maturato una chiara posizione personale, esplicitamente dichiarata, sulla base dei fatti richiamati.

Sono però necessarie almeno tre premesse.

In primo luogo, c’è una sproporzione macroscopica di forze in campo: da una parte, il Governo, gli accordi commerciali internazionali del GHSA, le multinazionali farmaceutiche, la finanza internazionale (che punta sui cosiddetti bond vaccinali), i vertici delle istituzioni sanitarie pubbliche, l’Ordine dei Medici e la stampa mainstream, dall’altra dei gruppi numerosi, ma minoritari di cittadini combattivi (continuamente delegittimati e ridicolizzati dal blocco politico-sanitario-mediatico), un numero significativo di medici, soprattutto clinici, ma anche ricercatori (intimiditi e minacciati di radiazione dall’Ordine professionale per ogni presa di posizione critica) e un proliferare di associazioni e iniziative dal basso, accuratamente silenziate dalla stampa e dalla televisione. Il sociologo Ugo Viale ha sintetizzato benissimo la questione della contestazione al decreto Lorenzin e della inaccettabile censura alla quale è stata sottoposta.

In secondo luogo, le modalità del dibattito sono palesemente drogate da falsità, colpi bassi e fallacie argomentative che sono più tipiche di un sistema autoritario che di una democrazia avanzata e di un serio dibattito scientifico. Questo aspetto comunicativo rende difficile formarsi un’opinione basata su dati obiettivi, come sarebbe necessario in democrazia, e nell’insieme indebolisce la forza persuasiva degli argomenti “ufficiali”, ingenerando il sospetto che non siano così solidi, se devono essere sostenuti in modo manipolativo o decisamente coercitivo, anziché attraverso una discussione razionale, serena e pacata.

In terzo luogo, è necessario scindere la valutazione della necessità, sicurezza ed efficacia delle singole vaccinazioni – ricordando che tale valutazione non può essere fatta in blocco, ma sempre sui singoli preparati farmaceutici e sugli eventuali effetti aggregati – dalla opportunità, legittimità ed efficacia dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge che impone la vaccinazione obbligatoria di massa, sanzionando chi nega il consenso. I due piani del discorso non sono facilmente separabili, perché il secondo implica il primo, ma vanno comunque tenuti distinti. Noi ci occuperemo soprattutto dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge Lorenzin.

Le posizioni sull’obbligo vaccinale (favorevole/sfavorevole) si incrociano con il grado di rigidità delle rispettive posizioni (alto/basso), generando complessivamente quattro atteggiamenti diversi:

1) COERCITIVI (favorevoli/rigidi), che possiamo indicare con la sigla COE, per i quali i vaccini sono assolutamente necessari, sicuri ed efficaci; gli effetti avversi per definizione non esistono o sono trascurabili; il rapporto costi/benefici è per definizione favorevole a prescindere per qualsiasi vaccino; non c’è limite al numero di vaccini che si possono somministrare in sicurezza; è necessario avere la massima copertura vaccinale; è giustificato obbligare a prescindere dalle condizioni soggettive, anche sacrificando altri diritti fondamentali, come l’integrità fisica, il diritto allo studio o ad un trattamento non discriminatorio; è giustificato radiare i medici che sconsigliano le vaccinazioni e punire i genitori resistenti;

2) TOLLERANTI (favorevoli/flessibili), che possiamo indicare con la sigla TOL, per i quali i vaccini sono complessivamente necessari, sicuri ed efficaci, ma non in blocco; esistono casi particolari di salute e circostanze che possono sconsigliarne l’uso; essendo farmaci, possono avere effetti avversi, che vanno attentamente monitorati; l’obbligo vaccinale è ammissibile e necessario in casi di emergenza sanitaria, mentre va attentamente valutato come regola, considerando ciascun vaccino caso per caso e senza generalizzazioni; si deve armonizzare l’obbligo vaccinale con gli altri diritti soggettivi; il numero di vaccinazioni obbligatorie deve essere sempre limitato al necessario; occorre rigore scientifico nel valutare gli effetti avversi; non si deve punire chi si sottrae all’obbligo;

3) LIBERALI (sfavorevoli/flessibili), che possiamo chiamare LIB, per i quali i vaccini possono essere anche utili, ma sempre a seconda del contesto, della persona e del singolo farmaco; essendo farmaci, per di più somministrati a soggetti sani, comportano comunque un rischio, perciò la scelta di vaccinarsi deve essere assolutamente libera e lo Stato deve solo renderla accessibile e gratuita, previa attenta verifica che il rapporto costo/beneficio sia davvero favorevole per ciascun individuo, visto che varia a seconda delle condizioni e del tipo di vaccino; l’obbligo non è giustificabile, se non in casi di gravissima emergenza sanitaria, e costituisce una violazione di diritti umani fondamentali, perché sacrifica la salute del singolo al presunto bene della collettività; gli effetti avversi vanno monitorati con rigore molto maggiore dell’attuale; i medici critici verso le vaccinazioni vanno ascoltati, perché il principio di precauzione deve avere il sopravvento; devono essere esclusi rigorosamente i conflitti di interesse dall’ambito sanitario; i danni devono essere risarciti dalla case farmaceutiche e non dallo Stato;

4) RADICALI (sfavorevoli/rigidi), che possiamo chiamare RAD, per i quali i vaccini sono per lo più inutili e dannosi; l’obbligo non si giustifica in nessuncaso e si presenta come un abuso violento dello Stato sul corpo dei cittadini più indifesi; chi non vuole vaccinarsi deve poterlo fare senza conseguenze; i medici critici sono la prova che non c’è unanimità nemmeno sull’efficacia delle vaccinazioni; lo Stato e le autorità sanitarie dovrebbero, per recuperare un minimo di credibilità ai loro occhi, tutelare la salute anche in altro modo.

Le precedenti definizioni sono da preferire rispetto a quelle attualmente in voga di PRO-VAX (posizioni COE e TOL), di FREE-VAX (posizione LIB) e di NO-VAX (posizione RAD), perché non si tratta di posizioni pro o contro i vaccini, come si è voluto far credere all’opinione pubblica in questi mesi con una certa dose di mistificazione politica, bensì pro o contro l’obbligo vaccinale nelle forme assai rigide del decreto Lorenzin. In realtà, nemmeno l’unica posizione contraria sia all’obbligo che ai vaccini (quella RAD) pretende di imporre a nessuno il proprio punto di vista né critica chi voglia vaccinarsi. Vi si riconoscono molti genitori i cui figli hanno subito gravi danni dalle vaccinazioni.

Bisogna osservare che la posizione LIB è attualmente quella di gran lunga maggioritaria in Europa, nonché quella che personalmente condivido, benché le spinte politico-commerciali verso un’estensione dell’obbligo ad altri Paesi sia forte, come si è visto in Francia, dove in un Parlamento semideserto alla vigilia di Capodanno è stata approvata una legge che introduce 11 vaccini obbligatori dal 2018. Di recente, la posizione LIB è stata sostenuta con forza anche da una rivista scientifica prestigiosa come Nature, in un editoriale sull’obbligo vaccinale in Francia. Essa punta sulla persuasione, considerandola più efficace dell’obbligo; contesta solo la coercizione su chi non vuole e rivendica il diritto di scegliere come gestire la propria salute, non dando affatto per scontato che la vaccinazione sia l’unico mezzo per raggiungere lo scopo di fare prevenzione attiva. La posizione TOL era quella di fatto presente in Italia prima del decreto Lorenzin ed è tuttora condivisa da molti medici. Il decreto stesso si situa nella posizione COE, sostenuta da alcuni medici molto in vista e vicini al potere e, ovviamente, ben vista dalle case farmaceutiche ed è stata imposta con puro atto d’imperio dal governo senza alcuna possibilità di dibattito dei sostenitori COE con le altre tre categorie elencate all’inizio.

Per entrare nel vivo della discussione, proverò a mettere a confronto le quattro posizioni su alcune questioni fondamentali della controversia sul decreto Lorenzin.

  1. Perché introdurre l’obbligo vaccinale?
  2. Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?
  3. Perché proprio quei 10 vaccini?
  4. Perché escludere dalla scuola i bambini non vaccinati?
  5. Esistono o no gli effetti avversi?
  6. Chi deve risarcire i danni?
  7. I vaccini sono efficaci? E lo sono tutti allo stesso modo o alcuni più di altri?
  8. Perché radiare i medici dissenzienti?
  9. Qual è il ruolo della scienza medica in una società democratica?

NOTA BENE: I documenti a cui fare riferimento per ciascuna affermazione sono moltissimi e di diversa qualità. Ho scelto intenzionalmente di preferire documenti in lingua italiana (quando possibile), per rendere più agevole la lettura ed ho dovuto comunque effettuare una scelta, senza alcuna pretesa di completezza. Molti argomenti sono assai controversi anche fra i ricercatori e non mi è sembrato necessario proporre lunghi elenchi di studi in lingua inglese (che pure esistono). Ho preferito documenti di tipo giornalistico, a cui ciascuno darà il valore che ritiene di dover dare; molti di essi contengono link ai documenti originali. Chi vuole, troverà modo di approfondire. Lo scopo di questo articolo, ripeto, è solo dare un’idea, in assenza di un confronto pubblico fra esperti che consenta di formarsi un’opinione.

1. Perché introdurre l’obbligo vaccinale?

COE e TOL. Perché vaccinare l’intera popolazione permette di elevare oltre i livelli critici l’effetto gregge e quindi di proteggere i bambini non vaccinabili. Le vaccinazioni sono indispensabili per ridurre la diffusione delle malattie e le relative complicanze e per migliorare lo stato di salute della popolazione. In Italia, la percentuale di vaccinazioni è scesa sotto tale soglia critica del 95% e c’è il rischio di epidemie, perciò si rende necessario l’obbligo, come ha segnalato anche l’OMS. Le vaccinazioni di massa sono un risparmio economico per il paese rispetto al costo sanitario di dover curare eventuali malati; recuperare/ridurre i suscettibili è prioritario e irrinunciabile.

COE non distingue fra patologie (tutte egualmente gravi e tutte da affrontare esclusivamente tramite vaccinazione di massa, ad assoluta discrezione dell’autorità sanitaria), mentre TOL distingue fra le varie patologie e fa valutazioni di caso in caso.

LIB E RAD. La vera ragione, richiamata dal testo del decreto Lorenzin (D. L. 7 giugno 2017, n. 73: “Ritenuto altresì necessario garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale”), è l’accordo politico-commerciale fatto con le multinazionali del farmaco nel 2014 a Washington, il GHSA, del cui contenuto peraltro non si sa ufficialmente nulla (a che cosa esattamente ci siamo impegnati e in cambio di che?), che prevede di vaccinare 4 miliardi di persone entro 5 anni, e si tratta di un affare assai più lucroso di qualunque investimento farmaceutico, reso sicuro dall’obbligatorietà. L’effetto gregge è un calcolo probabilistico teorico basato sull’osservazione delle conseguenze dell’immunizzazione naturale, diverso per ogni malattia, e non sembra avere un senso preciso applicato all’immunità da vaccino, visto che viene continuamente smentito dai fatti; inoltre le soglie sbandierate dal Ministero della Salute (95% per tutte le malattie) non corrispondono a quelle – assai più blande e soprattutto differenziate – dell’OMS. Per un approfondimento sull’effetto gregge e sull’immunità di gregge, nonché degli aspetti controversi relativi alle vaccinazioni, si può leggere l’analisi pacata del prof. Paolo Bellavite, Professore Associato di Patologia Generale, Università degli Studi di Verona.  Qui si possono leggere le soglie di riferimento calcolate da diversi ricercatori e adottate dall’OMS. L’approfondimento della nozione di “effetto gregge” (o “immunità di gregge”) è fondamentale per qualunque discussione sui vaccini. Non per niente ne è stato fatto un uso improprio a sostegno dell’obbligo vaccinale, come si può leggere qui

Anche vaccinando tutti i bambini fra 0 e 16 anni si raggiunge una quota assai piccola della popolazione totale, benché in crescita di anno in anno (14-15%, altro che 95%!), non si garantisce l’immunizzazione per tutti né un’immunità permanente come avviene con la malattia (si parla di 2-10 anni di durata) e vaccinare tutta la popolazione per raggiungere una quota teorica del 95% è inutile, oltre che impossibile, dato che l’immunità non è garantita (alcune persone non la sviluppano proprio), non è permanente, con continui richiami la vaccinazione costerebbe troppo rispetto al vantaggio (aumentando i rischi di danno) e la malattia si potrebbe diffondere all’interno della popolazione interamente vaccinata, come avvenuto in Mongolia per il morbillo (50.000 casi fra 2015 e 2016 su una popolazione di 3,2 milioni di persone con il 99% di copertura vaccinale e oltre il 95% con almeno due dosi; in Italia siamo a 3-4000 casi l’anno nei momenti di picco su 60 milioni, per intenderci) e negli USA per la parotite. Molti adulti vaccinati nei decenni scorsi non sono più coperti dal vaccino, eppure non sono scoppiate nuove epidemie. I vaccini non impediscono le epidemie, perché sono progettati per lo più per proteggere la persona che li riceve, non per impedire il contagio (è il caso, per esempio, del vaccino contro il tetano, che non è contagioso, di quello antidifterico, di quello antipolio e di quello antipertossico). Anzi, subito dopo alcune vaccinazioni i bambini possono essere contagiosi (è il caso, per esempio, di vaccino contro poliomielite, morbillo, rosolia, pertosse e varicella, come suggerisce l’ospedale John Hopkins nella sua “guida per i pazienti”, dove, in caso di immunodepressione, raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati) e possono essere pericolosi – benché sia un evento raro – per i coetanei e per le donne in gravidanza, come scritto nelle schede tecniche dei vaccini MPRV (si legga la scheda tecnica del Priorix Tetra, pagina 2). I bambini immunodepressi non sono affatto al sicuro in mezzo a bambini vaccinati, che quasi mai seguono le avvertenze indicate nei foglietti illustrativi e sui quali nessuno verifica l’effettiva immunizzazione vaccinale; inoltre, sono esposti a molte malattie per le quali non esistono vaccini e devono essere tutelati in altro modo. Perciò si deve lasciare ai singoli e alle famiglie la decisione se vaccinarsi o no.

2. Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?

COE e TOL. Assicurare un’adeguata protezione ai bambini e migliorare la loro salute, preservandoli dai rischi delle malattie infettive. Sottrarre alle famiglie la decisione, per contrastare l’ignoranza in materia e la disinformazione prodotta da ricerche non controllate. Ridurre in prospettiva la spesa pubblica per i danni delle malattie.

LIB e RAD. Al contrario, la finalità è favorire in modo non trasparente interessi privati, cosa di cui in Italia abbiamo già fatto esperienza in passato (si ricordino i casi delle tangenti a De Lorenzo e Poggiolini per l’introduzione del vaccino antiepatite B obbligatorio e lo scandalo della collusione internazionale fra OMS, case farmaceutiche e autorità sanitarie per la vendita di vaccini non adeguatamente testati per l’influenza aviaria e quella suina, che causarono molti danni da vaccino). Si ricordi inoltre che i preparati polivalenti sono coperti da brevetto farmaceutico e costano molto di più di quelli singoli, che per questo non si trovano più (per capirci: stando ai prezzi trovati in siti di prodotti farmaceutici o delle ASL, l’esavalente Infanrix Hexa costerebbe 98 euro e l’MPR Prorix circa 28 euro a dose; il vaccino tetravalente contro la meningite Menveo costerebbe circa 99 euro a dose; viene anche raccomandato con insistenza pure ai maschi il Gardasil contro il papillomavirus, a ben 171 euro a dose). La questione è stata oggetto di denuncia del Codacons  e trattata nella tv pubblica francese nel 2016 (qui un estratto sottotitolato in italiano ). Nel primo anno, secondo calendario vaccinale, i neonati dovrebbero fare una quindicina di iniezioni e ricevere più dosi, per oltre 30 inoculazioni complessivamente delle malattie coperte da vaccino, secondo il Piano Nazionale di Prevenzione vaccinale 2016-2018  (pp. 48-50). Quanto costi ai contribuenti, sarebbe un’interessante informazione, come rilevato dall’Antitrust già nel 2016. I conflitti di interesse sono stati rilevati a proposito di alcune figure di medici dal doppio ruolo pubblico e privato (nelle multinazionali farmaceutiche) che hanno scritto questa legge.

Se fosse l’interesse per la salute dei bambini a prevalere, il Ministro Lorenzin non avrebbe mentito spudoratamente sui bambini morti per morbillo in Inghilterra; i medici responsabili della Sanità pubblica l’avrebbero corretta e non avrebbero avallato la diffusione di notizie tendenziose (per esempio, che i bambini sani non vaccinati sono pericolosi); l’AIFA avrebbe consegnato in tempo e il Ministro avrebbe recapitato ai Parlamentari il Rapporto 2014-15 sui danni da vaccino (pubblicato in seguito a procedimento legale del Codacons); non si sarebbero ingigantiti come flagelli di Dio i casi del tutto nelle norma di meningite e di morbillo; si sarebbero fatti studi sugli effetti cumulativi dei 10 vaccini obbligatori, invece di renderli obbligatori con irresponsabile leggerezza, senza nemmeno un solo studio preliminare, configurando un vero e proprio esperimento di massa non dichiarato; non si continuerebbe a negare irragionevolmente l’esistenza degli effetti avversi a prescindere da ogni dato di fatto, a fronte del numero molto elevato di casi accertati di cui la stessa Lorenzin ha dato notizia in Parlamento; si sarebbe migliorato il servizio di farmacovigilanza, che mostra parecchie lacune; non si sarebbe emanata una circolare per i medici che riduce irragionevolmente le controindicazioni alla vaccinazione praticamente al solo shock anafilattico; le ASL non impedirebbero di fare gratuitamente le analisi prevaccinali previste dalla legge in caso di obbligo e non si sarebbe minacciato di radiazione qualunque medico che sconsigli la vaccinazione.

L’obbligo vaccinale potrebbe preludere ad altre gravi limitazioni della libertà personale, che potrebbero in futuro minare definitivamente il diritto di un cittadino a proteggere il suo corpo e a difendersi da un’autorità arbitraria che voglia controllarlo o condizionarlo. Sugli aspetti pericolosamente antidemocratici e illiberali di questa legge ha scritto il sociologo Ugo VialeQui anche un video.

3. Perché proprio quei 10 vaccini?

COE Nessuna risposta. Così hanno deciso le Autorità sanitarie per garantire la necessaria copertura della popolazione. Somministrati in forma polivalente (esavalente + quadrivalente), che sono i formati commercialmente disponibili, consentono di fare solo due iniezioni, pur esistendo anche (pochi) altri vaccini monodose. Si può ascoltare il Ministro Lorenzin.

TOL Forse sarebbe stato meglio valutare con maggiore calma. Il vaccino per il morbillo sembra il più indispensabile; si poteva aggiungere ai 4 già esistenti e lasciare gli altri facoltativi. La discussione è troppo polarizzata e volerla estremizzare nuoce ad una sana discussione tecnico-scientifica.

LIB. L’assenza di motivazione è già una risposta. Non c’è nessuna ragione di necessità e urgenza per l’obbligo indiscriminato, per nessuno dei 10 vaccini, nemmeno per il morbillo, dato che il numero di casi registrati l’anno scorso rientra rimane nei limiti delle normali oscillazioni cicliche della malattia (nel 2002, con quasi 3 volte i casi del 2017, non ci fu alcun allarme morbillo). Lo ha detto perfino Gentiloni. Il decreto è passato con il voto di fiducia, senza un’adeguata valutazione e senza alcuna trasparenza. Il caso Ricciardi insegna, come rilevato anche dalla giornalista Giulia Innocenzi

Non ci sono rischi epidemici per nessuna delle 10 malattie, come si vede in buona parte dell’Europa dove l’obbligo non c’è, e si poteva tranquillamente sospendere l’obbligo e monitorare, agendo a livello locale laddove si manifestassero eventuali focolai. Il tetano non è contagioso. La poliomielite e la difterite sono pressoché scomparse; il poliovirus si trova ancora praticamente solo nei vaccini ed è assente in Europa da 35 anni. L’epatite B è una malattia grave, ma si trasmette per via ematica e sessuale e il vaccino in età neonatale si può giustificare solo in presenza di rischi accertati. Si poteva al più consigliarlo in età più avanzata. Il morbillo è contagioso anche fra vaccinati; il vaccino, impedendo l’immunità naturale e ritardando nel tempo la malattia, perché sposta in avanti la soglia di suscettibilità senza fornire un’immunizzazione duratura, non protegge i neonati attraverso gli anticorpi materni con l’effetto che la malattia tende a colpire soprattutto gli adulti (non immunizzati per via naturale) e i neonati, per i quali è più pericoloso. L’immunizzazione vaccinale delle madri è infatti meno efficace dell’immunizzazione naturale e non si trasmette attraverso la placenta, proteggendo i neonati nei primi mesi di vita. Quindi, sarà anche utile, ma non risolutivo, visto che il traguardo dell’eradicamento si sposta sempre in avanti da decenni, senza mai essere raggiunto con qualunque soglia di copertura vaccinale. Il vaccino per la parotite non impedisce né la malattia né il contagio in un numero consistente di casi. Il vaccino contro l’Hemophilus Influentiae B – molto raro, peraltro (12 casi di malattia invasiva nel 2016 in Italia, 4 in vaccinati, 5 in adulti, 3 in non vaccinati su 60 milioni di abitanti, ovvero lo 0,00002%) – non protegge dai ceppi non tipizzabili, che sono i più frequenti e viene somministrato arbitrariamente fino a 17 anni, nonostante non sia raccomandato oltre i 4 anni, anche secondo il “Board Calendario per la vita” (con l’irresponsabile faciloneria che caratterizza l’applicazione di questa legge). Utilizzare un vaccino al di fuori del range di età per cui è stato autorizzato e testato può essere inutilmente pericoloso e rappresenta una palese violazione del codice di deontologia medica (art. 13 e 18). Ma anche il vaccino esavalente viene indicato come obbligatorio dal Board calendario per la vita ben oltre la fascia di età per il quale è stato testato. Un caso interessante è il vaccino anti-meningococco B, prima inserito fra gli obbligatori e poi tolto. Qui il rapporto costi-benefici è davvero assai dubbio. Nell’inserto con le “caratteristiche del prodotto” della ditta produttrice attualmente online si riferisce, per esempio, di un 2,1% di effetti aversi registrati negli studi di approvazione del prodotto. Si tratta di un numero molto elevato, specie per una malattia di così bassa incidenza. Sulla base di questi dati, il numero di effetti avversi gravi per questo vaccino registrati dall’AIFA (175 nel 2016 e 60 nel 2015) andrebbero moltiplicati rispettivamente per 35 o per 47 volte. Un esempio di come il rapporto costi-benefici vada valutato su ogni singolo vaccino e di quanto siano sottostimati i dati dell’AIFA. E anche di come si ignorino allegramente le indicazioni sulla fascia di età per la quale il farmaco è stato approvato, ovvero dai 10 anni d’età in su, con due dosi. In Italia invece lo si somministra anche ai neonati a partire dai tre mesi di età, con tre dosi.

Da ultimo, le quattro Commissioni parlamentari della Difesa che hanno indagato sulle cause delle gravi patologie che colpiscono i militari italiani, dopo anni di accertamenti hanno focalizzato l’attenzione sui vaccini e in particolare sull’MPR, giungendo a raccomandare il numero massimo di 5 vaccini per i soldati in servizio.  Perché ai militari 5 e ai neonati di pochi giorni 10 (più quelli raccomandati, che possono fare 14), a prescindere dalle loro condizioni (prematuri, sottopeso, affetti da patologie ecc.), senza avere nemmeno uno solo studio che abbia indagato in via preventiva gli effetti di questa particolare associazione di vaccini, confrontando gruppi randomizzati di bambini vaccinati con questi 10-14 vaccini e bambini non vaccinati? Ai genitori italiani è stato taciuto che i loro figli sono sottoposti ad un esperimento di massa senza codice etico e senza possibilità di scelta volontaria. Roba da dittatura nazista, altro che consenso informato! E non si tratta di un’esagerazione: un esperimento obbligatorio violerebbe il Codice di Norimberga.

Un problema ulteriore è dato dalla presenza di nanoparticelle e di metalli neurotossici in alcuni campioni di preparati vaccinali (peraltro assenti in analoghi prodotti veterinari). Si può ascoltare un’intervista alla dottoressa Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere di fama internazionale (osteggiata violentemente da quando si occupa di vaccini con il marito, dottor Stefano Montanari) e uno studio dell’infettivologo e specialista in Medicina preventiva dottor Fabio Franchi sulla quantità di sali di alluminio non solubili iniettati per via intramuscolare nei neonati, che supera di molto le dosi massime indicate dall’EMA (peraltro, è ignoto quale quantità massima di alluminio iniettato per via intramuscolare in forma di sali insolubili sia tollerabile per un neonato senza provocare danni, ma la cosa non sembra suggerire alcun atteggiamento di precauzione).

[continua]

L’allattamento non va definito “naturale”. Neolingua sanitaria e diritti umani

Un articolo pubblicato nell’aprile 2016 su Pediatrics, la principale rivista americana di pediatria, espressione dell’American Academy of Pediatrics (AAP), firmato da due ricercatrici statunitensi della University of Pennsylvania, Jessica Martucci e Anne Barnhill, pone un interessante problema linguistico relativo al termine “naturale”: non dovrebbe essere usato dai pediatri per definire l’allattamento al seno – dicono le autrici dell’articolo – perché viene associato a connotazioni positive, che poi potrebbero spingere i genitori a ritenere dannosi, perché non “naturali”, le vaccinazioni e gli OGM.

L’argomentazione è stimolante nella sua assurdità; perciò credo sia opportuno partire da una citazione testuale (traduzione mia):

Al di sotto della preoccupazione di molti Americani sulla sicurezza dei vaccini, è riconoscibile una specifica e non necessariamente illogica visione del mondo: un rifiuto di ciò che è industriale, sintetico e “innaturale” e l’adesione a ciò che è “naturale” come a qualcosa di più sano e intrinsecamente migliore. I vaccini sono spesso visti come “innaturali” e stimolare l’immunità in modo naturale è visto da alcuni come un approccio più sano e migliore. I Forum online e i Blog dedicati al vivere naturale offrono innumerevoli esempi di questa prospettiva, e il libro recente Vaccine Nation di Elena Conis documenta nei dettagli l’evoluzione di questa visione del mondo. Alcuni studi hanno mostrato che i genitori che fanno resistenza alla vaccinazione tendono a frequentare circuiti di individui dalle convinzioni simili alle loro. Queste sacche di sentimenti antivaccinisti tendono a sovrapporsi alla fiducia e all’interesse nei confronti della medicina complementare e alternativa, dello scetticismo verso l’autorità istituzionale e di un forte impegno e interesse verso la conoscenza in materia di salute, l’autonomia e le pratiche di vita sane.

Nel testo citato, “naturale” è contrapposto a “innaturale”. La linguistica strutturale ci ha insegnato che il significato di un termine si può comprendere all’interno di una coppia di opposizioni. Possiamo quindi comprendere l’accezione di “naturale” – parola ricchissima di accezioni diverse (una rassegna filosofica si può trovare nel Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano) – sulla base dei suoi contrari linguistici: senza la pretesa di essere esaustivi, per esempio, sappiamo che nella storia del pensiero occidentale naturale è stato contrapposto a sovrannaturale nel pensiero cristiano (la natura non ha valore in sé, ma in quanto creazione o manifestazione del trascendente, di Dio) e nel pensiero scientifico (per il quale la natura è un ordine causale necessario, distinto da quello sovrannaturale), a culturale in antropologia (Claude Lévi-Strauss vede nell’uomo la peculiarità di trasformare la natura mediante la cultura), a positivo nell’ambito giuridico (naturale è il diritto che appartiene all’uomo in quanto membro dell’umanità, a prescindere da ogni legislazione umana particolare), ad artificiale dal pensiero greco in poi (per Rousseau, fra gli altri, l’homme naturel è l’uomo integro e autentico, prima della corruzione prodotta dal sapere e dalla civiltà), ad affettato nell’ambito sociale (ove naturale è sinonimo di spontaneo) eccetera.

Si pensi a espressioni come morte naturale, figlio naturale, luogo naturale, gas naturale, acqua naturale, tessuto naturale: in questi, come in altri esempi di uso comune, il termine “naturale” ha una valenza positiva o neutra, mai negativa. Esprime l’idea che l’evento o l’oggetto in questione sia conforme ad un ordine già dato e non discutibile, perché spontaneo, necessario, anteriore all’uomo e alla sua comprensione del mondo, al quale egli appartiene allo stesso titolo di ogni altro abitante del pianeta; un ordine che preesiste alla sua azione trasformatrice, la quale può essere vista come positiva o negativa a seconda dell’ideologia di riferimento.

L’articolo da cui siamo partiti, dicevamo, contrappone naturale a innaturale. È certamente vero che, nell’immaginario del nostro tempo, la parola naturale” è associata a una visione nostalgica, alla mitizzazione di tutto ciò che appartiene ad un passato preindustriale, nel quale si viveva con ritmi più umani, meno artificiali e più sani. Umberto Eco ci ha spiegato come l’universo ideologico che ispira alcune fra le campagne pubblicitarie più riuscite della storia (si pensi al Mulino Bianco) associ naturale a connotazioni positive quali genuino, del buon tempo antico, artigianale, semplice, sano, non contraffatto. La visione idilliaca della natura è la comprensibile reazione di una società altamente industrializzata che ignora la fatica improba del lavoro in campagna e i vantaggi della vita moderna. È perfino ovvio dire che non tutto ciò che è “naturale” è per forza sano (molte erbe sono velenose, per esempio) e non tutto ciò che è “artificiale” è per forza dannoso (il latte formulato o una protesi di titanio, per esempio, possono essere indispensabili ad una vita normale). Inoltre, a volte si ritiene “naturale” un cibo che è frutto di sofisticata lavorazione umana, come avviene per un certo numero di prodotti “bio”. Ma qui l’operazione ideologica che viene proposta palesa un intero universo mentale illiberale e altamente pericoloso.

L’allattamento al seno è sano ed è preferibile senza dubbio all’allattamento artificiale per ragioni mediche e psicologiche. Questo è un dato di fatto; lo dice anche l’AAP (https://www.aap.org/en-us/about-the-aap/aap-press-room/Pages/AAP-Reaffirms-Breastfeeding-Guidelines.aspx). La Natura fa le cose per bene, evidentemente. Quello che non piace alle due ricercatrici è che venga definito “naturale”. Il fatto è che è pure naturale, nel senso che tutti i mammiferi allattano i loro piccoli. Nemmeno su questo c’è dubbio alcuno. Qui “naturale” è termine puramente descrittivo; tra l’altro, l’allattamento è proprio l’attività che definisce alcune specie animali come“mammiferi”. Non per niente l’allattamento alternativo è detto “artificiale”.

E allora perché non lo si dovrebbe definire “naturale”? Perché altrimenti chi ha simili “credenze” finirebbe con l’interessarsi di medicina complementare o alternativa, con nutrire un sentimento antivaccinista, con il diventare scettico verso l’autorità istituzionale, e con l’impegnarsi fortemente nella conoscenza relativa alla salute, nell’autonomia e negli stili di vita sani.

Osserviamo subito la fallacia argomentativa dell’appello alle conseguenze: un’affermazione non è da rigettare solo per le conseguenze che può avere. Un’affermazione può essere vera anche se le sue conseguenze sono sgradevoli. L’allattamento sarebbe naturale anche se usare questo termine implicasse le conseguenze indicate.

Ma tali conseguenze sono sgradevoli per chi? Il dato di fatto che l’allattamento al seno è naturale diventa nell’articolo una semplice “credenza” (belief), destituita di ogni obiettività. Il fatto altamente positivo, nella prospettiva del bene comune e della cittadinanza democratica, che le persone si interessino della salute, diventino autonome e perseguano stili di vita più sani viene reinterpretato come negativo. Perché? Perché chi ha queste caratteristiche assume posizioni critiche verso i vaccini e verso l’autorità costituita (notiamo il termine “sentimento” riferito a chi contesta i vaccini, che fa il paio con “credenza” ad indicare la non obiettività della posizione). Perché è critico, insomma.

E a chi dà fastidio che le persone diventino critiche? Chi ha interesse a che le persone accettino supinamente ogni diktat dall’alto senza protestare, che non pratichino stili di vita sani, non si facciano domande sui vaccini e non diventino autonome? Magari chi produce e commercializza cibi industriali provenienti da coltivazioni e allevamenti industriali (di cui mostrano leconseguenze sulla salute e sull’ambiente documentari come Fed up!, Supersize me o Food Inc.)? Chi produce e commercializza latte artificiale, farmaci e vaccini (di cui trattano documentari come Inventori di malattie e Tigers, per non citare il censuratissimo Vaxxed)? Chi approfitta del suo prestigio professionale o istituzionale per avvantaggiare questo o quel potentato economico (come ci raccontano le cronache giornalistiche da sempre)? Non certo chi dimostra con la ricerca scientifica che il cibo che si mangia, l’aria che si respira, le sostanze di sintesi che si introducono nel corpo, vaccini compresi, hanno un impatto sulla salute (e che non ha certo vita facile, visti gli interessi che mette in discussione).

Di colpo, “naturale” deve diventare negativo, pericoloso, insidioso, anche quando certamente è il contrario, perché “innaturale” possa diventare positivo, addirittura preferibile. Questo sembra essere implicito nella rimozione della parola. Dobbiamo scordarci ogni legame con la natura e accettare la completa artificializzazione della nostra vita, e non perché sia obiettivamente meglio per noi, ma perché ce lo richiede chi intende governare le nostre scelte in nome delle leggi del mercato. La verità fattuale deve essere accantonata perché può mettere strane idee in testa: che “sano” e “naturale” si equivalgano (come di fatto è, nel caso dell’allattamento).

Insomma, non importa quali siano i fatti e quali le opinioni. Basta ridurre i fatti a credenze (l’allattamento al seno è naturale e sano) e trasformare le credenze in fatti indiscutibili (i vaccini sono sani e gli stili di vita sani o il senso critico sono indesiderabili). Nomina e res si scambiano i ruoli, in un’operazione propagandistica degna della neolingua di George Orwell. Occorre cassare la parola “naturale” dal linguaggio medico. L’allattamento al seno è sano non perché è naturale, ma perché lo dice l’AAP, che dice pure che bisogna vaccinare tutti senza eccezione. È l’autorità la fonte della verità, non l’evidenza dei fatti. Va da sé che qui la scienza non c’entra nulla.

Il fatto è che i vaccini non sono certamente naturali (nemmeno le due ricercatrici osano affermarlo) e non garantiscono affatto un’immunità certa e duratura come quella naturale, conseguente a malattia (anche la malattia è “naturale” nelle cause e spesso “culturale” nelle manifestazioni, come insegna l’etnomedicina; i giudizi di valore su di essa sono relativi al modello medico e valoriale di riferimento). In più, che i vaccini siano tutti sani o che migliorino sempre e comunque lo stato di salute di chi li riceve è tutto da dimostrare, viste le numerosissime prove scientifiche e giudiziarie del contrario, che possono essere ignorate solo con la repressione del dissenso scientifico, con l’intimidazione e con la disonestà intellettuale. Perciò, definirli in blocco “sani” corrisponde più ad una credenza o ad un atto di fede che a un dato di fatto. Ma tutto è lecito, purché non si tocchino gli interessi privati in gioco – questo alla fine appare ad occhi interessati veramente immorale.

Però, anche in questa operazione disonesta emerge un dato di fatto involontario: allattamento al seno, buona alimentazione, stili di vita sani, conoscenza della salute e senso critico verso l’autorità e verso le vaccinazioni di massa appartengono tutti ad una stessa visione del mondo. Quella di chi ha una concezione della vita più complessa e autonoma ed è consapevole dell’attacco continuo a cui sono sottoposti i diritti alla sicurezza alimentare, ad una ambiente vivibile, all’autodeterminazione in materia di salute, all’integrità del proprio corpo, ad un’informazione trasparente, all’espressione del dissenso verso l’autorità. Notiamo che alcuni di essi fanno parte dei cosiddetti diritti naturali, il nome più antico di quelli che chiamiamo diritti umani. Quelli che oggi, nell’avanzante neofeudalesimo senza diritti, dobbiamo difendere con le unghie e con i denti.

Se la gente associa “sano” a “naturale”, la fiducia nei vaccini vacilla. Questa sembra la vera preoccupazione, come si legge nella conclusione dell’articolo:

L’opzione ‘naturale’ non si allinea completamente con gli obiettivi di salute pubblica. Se fare ciò che è ‘naturale’ è ‘meglio’ nel caso dell’allattamento al seno, come possiamo aspettarci che le madri ignorino quella prospettiva potente e profondamente persuasiva quando scelgono in fatto di vaccinazione?

Già. Come si fa a convincerle a perseguire non la salute in sé, ma gli obiettivi di salute pubblica fissati dai governi? E in assenza di fatti, occorre confondere le idee, manipolare le menti e negare l’evidenza. Business is business. Il senso critico va combattuto e indebolito. Il pensiero va colonizzato con nuove associazioni semantiche, indirizzato, riprogrammato. Poiché solo il pensiero che sostiene e mantiene l’attuale assetto economico- politico è funzionale allo scopo, deve diventare pensiero unico, semplificato, neutralizzato. Artificiale è sano, naturale è pericoloso. Obbedienza è bene, critica è male. OGM è bene, biologico è male. Vaccino è salute, immunità naturale no. L’innaturale diventa magicamente più naturale (sano, benefico) del naturale, quando c’è di mezzo il profitto (non è questa per esempio la perversa strategia di marketing del latte artificiale in diversi Paesi del mondo, fra cui il Pakistan? Ce lo racconta il film Tigers).

Certo, il profitto è lecito. Ma non a scapito dei diritti umani e della salute e a prezzo della verità. Guarda a caso, lo dice l’IBFAN (International Baby Food Action Network), rete internazionale per la protezione dell’allattamento e della nutrizione infantile, criticando (indovinate un po’?) la Bill e Melinda Gates Foundation, che oltre alle campagne vaccinali sta promuovendo la diffusione di alimenti per l’infanzia prodotti dalla compagnie private (http://www.ibfanitalia.org/call-to-action/), cercando di influire sulle regole del Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Come dicono gli attivisti dell’IBFAN, “tali aziende non mettono – e non potrebbe essere altrimenti – il rispetto dei diritti umani davanti al loro profitto. La loro partecipazione in qualunque processo di ideazione e sviluppo di politiche e programmi di pubblico interesse, men che meno nel monitoraggio del Codice, sarebbe come invitare una volpe a costruire un pollaio”.

È questo il pericolo dell’ibridazione fra pubblico e privato, quando sono in gioco i diritti fondamentali e il privato è più forte del pubblico: che le regole in materia sanitaria non siano dettate da istituzioni pubbliche e trasparenti, ma dalle aziende portatrici di interesse; che i fini non siano la salute e il bene comune, ma il profitto privato; che i mezzi siano scelti dai giocatori (le aziende) e non indicati dall’arbitro (le istituzioni politiche e giudiziarie) e definiti dalle regole; che l’arbitro non abbia la forza o l’autorità di imporre le regole, perché minacciato o comprato dai giocatori; che gli esperti (gli scienziati e i clinici) dipendano per fondi, benefit, carriere e prestigio dai giocatori e che i cittadini, destinatari delle politiche sanitarie, siano passive marionette da manipolare con il lavaggio del cervello perché non disturbino il gioco e paghino i danni in silenzio.

Gli antichi dittatori caddero perché non sapevano dare ai loro soggetti sufficiente pane e circensi, miracoli e misteri. E non possedevano un sistema veramente efficace per la manipolazione dei cervelli […] Ma sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne cresceranno nell’amore della servitù e mai sogneranno la rivoluzione. Non si vede per quale motivo dovrebbe mai crollare una dittatura interamente scientifica.

Aldous L. Huxley, Ritorno al mondo nuovo

La scienza è davvero oggettiva?

Il metodo scientifico è indubbiamente una delle più grandi conquiste dell’umanità. Grazie al pensiero critico della scienza si è messo in discussione il principio di autorità e si è preparata la strada ad una società democratica. Ma oggi si rischia di trasformare la scienza in quello che non è, ovvero un sapere autoritario e dogmatico. Uno sconcertante articolo di Nature del 2017 constata che il 70% o più delle ricerche pubblicate non è replicabile, e quindi non credibile in base al metodo scientifico.

Su questo argomento, e in generale sull’illusione dell’obiettività scientifica, ha scritto pagine molto riflessive e pacate Rupert Sheldrake, biologo all’Università di Cambridge (Seven Experiments that could changhe the world, New York, Riverhead, 1995, 2002, pp. 165-177). Cito in traduzione mia:


“Molti non-scienziati sono intimoriti dal potere e dall’apparente certezza della conoscenza scientifica. Altrettanto succede a molti studenti di materie scientifiche. I libri di testo sono pieni di fatti apparentemente incontestabili (hard) e di dati quantitativi. La scienza sembra supremamente oggettiva. Oltretutto, la credenza nell’obiettività della scienza è argomento di fede per molte persone oggi. (…) Questa immagine della scienza viene raramente discussa esplicitamente dagli stessi scienziati. Essa tende ad essere assunta implicitamente e data per scontata. Pochi scienziati mostrano grande interesse per la filosofia, la storia o la sociologia della scienza, e c’è poco spazio per questi argomenti nel fitto curricolo dei corsi di laurea in scienze. I più semplicemente danno per scontato che per mezzo del “metodo scientifico” le teorie possano essere testate oggettivamente da un esperimento in un modo che sia incontaminato dalle aspettative, dalle idee e dalle credenze personali degli scienziati. Gli scienziati amano pensare di se stessi di essere impegnati in una audace e impavida ricerca della verità.


Questa visione ora suscita un certo cinismo. Ma io penso che sia importante riconoscere la nobiltà di questo ideale. Finché l’impresa scientifica è illuminata da questo spirito eroico, c’è molto da lodarla. Tuttavia, in realtà la maggior parte degli scienziati è ora serva di interessi militari e commerciali. Quasi tutti perseguono carriere all’interno di istituzioni e organizzazioni professionali. La paura di un rovescio nella carriera, il rifiuto di articoli da parte di riviste scientifiche, la perdita di fondi, e la sanzione estrema del licenziamento sono potenti disicentivi ad avventurarsi troppo lontano dall’ortodossia corrente, almeno in pubblico. Molti non si sentono sicuri abbastanza da esprimere le loro reali opinioni finché non sono andati in pensione o hanno vinto un premio Nobel o entrambe le cose.


I dubbi popolari sull’obiettività degli scienziati sono largamente condivisi, per ragioni più sofisticate, da filosofi, storici e sociologi della scienza. Gli scienziati sono parte di più vasti sistemi sociali, economici e politici; essi costituiscono gruppi professionali con proprie procedure di accesso, pressioni dei colleghi, strutture di potere e sistemi di ricompensa. Essi lavorano per lo più nel contesto di paradigmi o modelli di realtà stabiliti. E anche nei limiti posti dal sistema di credenze scientifiche prevalente, essi non vanno in cerca di puri fatti per il loro interesse: essi fatto congetture o ipotesi su come stiano le cose, e poi le testano con un esperimento. Di solito questi esperimenti sono motivati dal desiderio di supportare un’ipotesi preferita o di respingere quella rivale. Ciò che si ricerca e perfino ciò che si trova è influenzato dalle proprie aspettative consce e inconsce”. (pp. 165-166).


Il discorso poi procede sui biases della ricerca, sull’autoinganno e sui problemi delle Peer review, compresa la selezione degli articoli, la replicabilità e la frode. Insomma, Nature ha scoperto l’acqua calda…

L’obbligo vaccinale, ovvero: perché molti cittadini italiani non si fidano del loro governo? [Parte seconda]

Considerata dal punto di vista politico-economico, la questione dell’obbligo vaccinale (e non della vaccinazione in sé, che non è qui in discussione) assume ulteriori aspetti rilevanti.

La Global Health Security Agenda (GHSA), un accordo patrocinato nel 2014 dagli USA con oltre 50 Paesi, organizzazioni ed enti non-governativi con l’obiettivo rendere il mondo sicuro dalle malattie infettive e di porre la sicurezza sanitaria fra le priorità nazionali e globali, ha individuato nell’Italia e nel Portogallo i Paesi capofila a livello mondiale della vaccinazione contro il morbillo e contro le malattie infettive per gli anni 2014-2019 (GHSA Action Package Prevent-4). L’intento è di arrivare in Italia alla copertura vaccinale del 90% in cinque anni per i bambini di 15 mesi. Ovviamente, il piano si inserisce in un progetto globale degli USA che mirano a vaccinare 4 miliardi di persone in 30 Paesi entro 5 anni, come dice con enfasi l’infografica del GSHA. L’interesse statunitense si spiega con il fatto che le maggiori aziende produttrici di vaccini sono statunitensi.

Questa iniziativa americana, alla quale evidentemente il nostro governo ha aderito con entusiasmo, stante anche il richiamo della OMS all’Italia per l’aumento dei casi di morbillo nel nostro Paese, rappresenta una potente motivazione per il decreto sull’obbligo vaccinale del Ministro Lorenzin e per l’improvviso allarme diffuso sui media rispetto alla vaccinazione contro il morbillo. Pur riconoscendo le possibili gravi complicanze che possono derivare da questa malattia, sono da osservare i toni allarmistici e i dati scorretti forniti dal ministro e rimbalzati sui media sulla pericolosità del morbillo. Tre esempi.

A Porta a Porta del 22/10/2014 al minuto 36:22 la Ministra Beatrice Lorenzin dichiara che “solo di morbillo a Londra, cioè in Inghilterra, lo scorso anno [quindi nel 2013] sono morti 270 bambini per una epidemia di morbillo molto grave”. Secondo i dati ufficiali del governo inglese, invece, nel 2013, di morbillo si è registrato 1 decesso, di un uomo di 25 anni, in seguito ad una polmonite acuta quale complicanza del morbillo, come si legge qui a fondo pagina . Da notare che i test per stabilire se la causa del decesso fosse il virus non hanno dato alcun esito. L’ultimo anno in cui si sono registrati più di 200 morti per morbillo nel regno Unito è il lontano 1953.

A Piazza Pulita del 22/10/2015 [esattamente un anno dopo] al minuto 5:57 la Ministra Beatrice Lorenzin dichiara: “Di morbillo si muore, in Europa! … c’è stata una epidemia di morbillo a Londra lo scorso anno [quindi nel 2014], sono morti più di 200 bambini…”. Invece, secondo i dati ufficiali, nel 2014 ci sono stati 59 casi totali di morbillo a Londra e nessun decesso (si può controllare qui). Dal 1989 al 2013 i decessi per morbillo nell’intero Regno unito sono oscillati tra 0 e 4, come si può verificare qui. Come anche in Italia, del resto, dove, a fronte di un aumento dei casi di malattia nell’ultimo anno rispetto a quello precedente con prevalente interessamento della popolazione adulta, non si è registrato nemmeno un decesso. Si può verificare qui, sul bollettino ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità.

Tanto per continuare sulla stessa linea (quindi la ministra o ignora quello che dice, e la cosa sarebbe grave, o mente intenzionalmente, e allora è gravissima), il 21 luglio 2016, in un’intervista de Il Messaggero, la Ministra Lorenzin risponde: «…… In Gran Bretagna tre anni fa c’è stata una epidemia di morbillo – dovuta proprio al fatto che molti avevano rinunciato al vaccino – che ha causato la morte di centinaia di persone. Per correre ai ripari è stato varato un piano di emergenza e di prevenzione costato centinaia di milioni di euro».

Tra l’altro, il fatto che il maggior numero di nuovi casi (incidenza cumulativa per fascia di età) si collochi nella fascia di età superiore ai 15 anni (oltre il 73% dei casi; si veda il rapporto RM News appena citato a p. 3), rende difficile comprendere quale nesso vi sia fra questo picco di casi e la diminuzione della copertura vaccinale nei neonati, registrata negli ultimi anni, che pure è l’unica spiegazione ufficialmente addotta e qui ripetuta dalla ministra per giustificare l’introduzione dell’obbligo vaccinale. Ci possono essere – e in questo caso ci sono per forza – anche altre ragioni che spieghino l’aumento dei casi. Il fatto è un Ministro di una democrazia non dovrebbe permettersi di mentire ad un intero Paese, perché così facendo vìola ogni patto fiduciario con i cittadini. E la stampa – se fosse libera – dovrebbe rilevare subito la clamorosa manipolazione dei dati. Un Ministro che mente non dovrebbe restare al suo posto. Solo una concezione arrogante, proprietaria e illiberale del potere può dare vita ad una relazione così poco trasparente e democratica fra governo e cittadini. Da notare che le autorità sanitarie non sono mai intervenute – almeno a quanto mi risulta – a correggere pubblicamente i dati palesemente scorretti; il che getta un’ombra, ovviamente, anche sulla loro buona fede e mette in allarme i cittadini più consapevoli.

Ma perché gonfiare in questo modo i dati? Perché creare allarme nella popolazione, citando continuamente le cifre di un bollettino di guerra, che riguarda al più i Paesi in via di sviluppo, dove le epidemie si diffondono per condizioni igienico-sanitarie carenti, mentre nei Paesi europei e negli USA si tratta di un numero di morti che si conta (quando ce ne sono) sulle dita di una mano? Come si deve chiamare questo tipo di politica? Terrorismo psicologico? Procurato allarme? Intimidazione? Fake news?


Questa modalità manipolativa di gestire l’informazione sui vaccini, specie se proviene dagli organi istituzionali, non può che ispirare diffidenza nella gente. I genitori più dubbiosi sulle vaccinazioni sono anche quelli che vanno a cercare informazioni su Internet, e soprattutto sui siti istituzionali. E qui scoprono che, mentre vengono enfatizzate in misura iperbolica le morti per il morbillo, si tace del fatto che si sospetta siano molto più numerose le morti per il vaccino antimorbillo. Il 24 ottobre 2010 il Sunday Times pubblica un articolo sui danni vaccinali. Si tratta di dati ufficiali del MHRA, la Medicines and Healthcare products Regulatory Authority del Regno Unito, ovvero l’autorità governativa che si occupa di farmaci e di salute pubblica, non pubblicati ufficialmente, ma ottenuti dal Sunday Times sulla base del Freedom of Information Act. Sulla base dei dati raccolti sulle reazioni avverse dei vaccini, specie del vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia, si scopre che, dal 2003, “ci sono state più di 2100 gravi reazioni avverse ai vaccini pediatrici, alcune delle quali a rischio della vita”. L’articolo dice testualmente: “Si sospetta che quaranta bambini siano morti come conseguenza della somministrazione di routine dei vaccini negli ultimi 7 anni. Si sospetta anche che le vaccinazioni in età infantile abbiano lasciato due bambini con danni al cervello e che abbiano causato più di 1500 reazioni neurologiche, inclusi 11 casi di infiammazione cerebrale, 13 casi di epilessia e uno di coma”. Certo, un sospetto non è una certezza, e può anche darsi che gli eventi avversi abbiano una spiegazione diversa, ma perché tanta reticenza a rendere pubblici i dati? Dovrebbe essere cura e preoccupazione delle autorità sanitarie e pubbliche verificare scrupolosamente e con la massima trasparenza anche il minimo sospetto di correlazione fra i vaccini e eventuali danni alla salute, non importa quanto improbabile sembri.

In Italia il Codacons ha accusato l’AIFA di non aver pubblicato il report sui danni vaccinali dopo il 2013, finché non lo ha fatto il Codacons sul sito FB. Ora, dopo le polemiche, il rapporto integrale dell’AIFA per gli anni 2014-15 è disponibile su Internet a questo link, insieme ad una sintesi. Certo, l’AIFA sottolinea correttamente che le segnalazioni di effetti avversi non sono una prova di relazione causale fra essi e le vaccinazioni, ma quanto si va a fondo nella ricerca di queste relazioni causali? Molti genitori hanno la percezione che venga posta un’enfasi diversa sui vantaggi delle vaccinazioni (l’AIFA dichiara testualmente e iperbolicamente “In Italia ogni anno i vaccini salvano milioni di vite”) rispetto ai danni, che vengono per lo più minimizzati. Ma perché questi toni sempre enfatici e privi di misura, così poco scientifici, direi, come se gli Italiani fossero dei sempliciotti da imbonire? Una modalità comunicativa più equilibrata e obiettiva incoraggerebbe molti genitori a valutare in modo più positivo le vaccinazioni.

La questione, quindi, non è strettamente medica. È una questione soprattutto politica e comunicativa. Perché la trasparenza fa così paura? Perché i danni post-vaccinali – sia pure talvolta difficili da correlare causalmente alla vaccinazione – sono considerati meri effetti collaterali, quasi una triste necessità, mentre le complicanze delle patologie, a volte meno gravi, vengono dipinte con enfasi tragica? Uno Stato davvero imparziale non dovrebbe essere più preoccupato di questi dati, tra l’altro spesso sottostimati, che dei pochissimi casi di morte per morbillo? E in che cosa consiste questa così enfatizzata epidemia di morbillo in Italia? Forse gli Italiani meriterebbero un’informazione più completa, approfondita e razionale. Se guardiamo il grafico dell’Istituto Superiore di Sanità, emerge solo che il morbillo, come si sa da sempre, ha un andamento ciclico, ha cioè alti e bassi di virulenza. Guardando il rapporto RM News citato prima, si vede che nei primi mesi del 2017 c’è stato un picco di casi un po’ più elevato di quello del 2013, ma lontanissimo dai picchi epidemici di qualche decennio fa. Certo, va monitorato con attenzione, ma come si fa a parlare di epidemia?

E dal momento che gli Italiani non sono tutti degli stupidi irresponsabili, ignoranti e bisognosi di tutela come presuppone il tono autoritario e ricattatorio del Decreto Lorenzin, a queste domande si danno anche le risposte, giuste o sbagliate che siano. Certo l’atteggiamento del Ministro non aiuta.

Dal punto di vista economico, la vaccinazione obbligatoria rappresenta un costo per lo Stato (cioè per noi contribuenti) e una certezza di introiti per le case farmaceutiche. Il Piano Vaccini 2016-2018 prevede un ampliamento della copertura vaccinale per molte malattie e ne calcola il costo per le casse dello Stato:

“Il costo complessivo dei vaccini inseriti nel calendario vaccinale, secondo il prezzo corrente, a regime e con il raggiungimento dei tassi di copertura presentati più avanti viene stimato intorno a 620 milioni di euro. Tale cifra, d’accordo con i produttori, con il principio del partenariato pubblico-privato di rilevante contenuto sociale, e in piena trasparenza, potrebbe essere rivista secondo meccanismi negoziali che permettano, ad esempio, di diminuire il costo unitario del vaccino in proporzione al raggiungimento di tassi di copertura progressivamente più elevati. In tal modo, si raggiungerebbe il risultato di incentivare l’obiettivo di copertura anche con una diminuzione del costo di approvvigionamento del vaccino” (http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?approfondimento_id=6868).

Sono queste le cifre?  In questo testo si ricorda che la vaccinazione costa, ma fa risparmiare lo Stato sulle cure (questo argomento è spesso ripetuto ad ogni obiezione sui costi); dovrebbe però, per correttezza, essere anche valutato quanto costano i danni vaccinali in termini economici ed umani. Un articolo del quotidiano La Verità ha al contrario messo in luce che, dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale, il prezzo dei vaccini è aumentato del 62% e la spesa complessiva è aumentata moltissimo (+130 milioni di euro in un anno). Come si fa a pensare che sia un caso?

Un ministro responsabile dovrebbe chiarire ai cittadini i costi dell’operazione obbligo vaccinale, visto che la pagano loro, e spiegare perché, se è il morbillo che ha avuto un incremento di casi, si decide di obbligare per decreto i genitori a sottoporre i figli a 12 vaccini, sia pure in preparati polivalenti; inoltre, dovrebbe dare completi ragguagli sul perché proprio quelli e non altri. Certo che se le informazioni sono del genere visto prima, si comprende perché i cittadini italiani siano meno fiduciosi rispetto agli altri europei nei confronti del loro governo e delle loro autorità sanitarie.

Il sospetto che i principali beneficiari dell’obbligo vaccinale (ripeto: non dei vaccini in sé, che a certe condizioni sono utilissimi) siano proprio le ditte produttrici e chi le favorisce appare perciò giustificato, data la manipolazione propagandistica dei dati da parte delle autorità, i toni da Santa Inquisizione nei confronti dei medici che osano avanzare qualunque tipo di dubbio non sui vaccini, ma sulla pratica vaccinale indiscriminata, come Roberto Gava, le minacce in stile mafioso che ricevono alcuni scienziati recalcitranti come Stefano Montanari, che mettono in dubbio la purezza e la sicurezza dei preparati vaccinali (ma perché invece non lo querelano, se dice il falso?), l’accanimento con cui vengono negati o minimizzati i danni vaccinali – e il diniego non è certo sintomo di atteggiamento scientifico.


In chi ha qualche anno in più è ancora vivo il ricordo della tangente pagata dalla GlaxoSmithKline nel 1991 all’allora Ministro De Lorenzo per rendere obbligatorio il vaccino antiepatite B, che da allora è rimasto obbligatorio (la sentenza di colpevolezza della Cassazione è del 2012). Non si tratta certo di un precedente rassicurante. A ragione o a torto, i conflitti di interesse esistono e non possono essere assiomaticamente negati. Perciò appaiono così odiose le sanzioni irragionevoli stabilite per i genitori che non intendano sottomettersi all’obbligo vaccinale e che, evidentemente, i nostri decisori politici non sono in grado di convincere. Forse i politici nostrani non percepiscono fino in fondo quanto sia profondo il risentimento degli Italiani verso una classe politica così scadente, priva di credibilità e in larga misura corrotta, ma pronta a bastonarli come degli Arlecchini qualunque.

Ma al di là degli interessi economici in gioco (che sono globali, ricordiamo, e riguardano 4 miliardi di persone in 5 anni), e perfino ipotizzando con la massima benevolenza che l’intenzione del Ministro sia pura ed abbia a cuore esclusivamente la salute dei bambini, la verità politica di questo decreto è che probabilmente sarà un boomerang per il governo e otterrà l’effetto contrario a quello voluto. Molti genitori, allarmati, si stanno già organizzando per resistere e praticare la disobbedienza civile. Il contenzioso giudiziario aumenterà a dismisura, a cominciare dallo strumento stesso del decreto-legge per una misura così ampia e ingiustificata. L’esperienza delle grandi democrazie europee ha già dimostrato che la persuasione è più efficace della coercizione in questo ambito. Non è con il dogmatismo intollerante della propaganda vaccinale senza se e senza ma che si otterrà di fare bella figura con i partner statunitensi e di mettere a tacere ogni dissenso. La realtà sociale è assai più complessa di come se la rappresenta la nostra ministra, nemmeno laureata, ma molto attaccata alle sue certezze, ed esploderà molto presto. Purtroppo, in mezzo ci andranno proprio i bambini, oltre alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni, sia politiche sia sanitarie. Speriamo, a questo punto, anche il decreto con la sua imperiosa arroganza.

[continua]

L’obbligo vaccinale, ovvero: chi decide della salute dei bambini? [Parte 1]

Sulla questione dell’obbligo vaccinale appena imposto per decreto a tutti i bambini italiani per ben 12 diverse malattie si sta consumando una battaglia emotiva e poco trasparente. Come in tutte le questioni controverse, sulle quali non si esercitano liberamente le ragioni della scienza e la saggezza della riflessione ponderata, per via degli enormi interessi economici e delle pressioni ideologiche, la tendenza del conflitto è verso la polarizzazione delle posizioni e verso la contrapposizione radicale vaccinisti/antivaccinisti, che in nessun modo consente di sviscerare la complessità del problema.

I piani sui quali l’obbligo vaccinale – e non l’utilità o meno delle vaccinazioni, sia chiaro – può e deve essere considerato sono molteplici: uno filosofico-giuridico, uno politico-economico, uno storico-sociologico, uno medico-scientifico. Considerarne uno a scapito degli altri tre rende impossibile comprendere che cosa è in gioco veramente in questo scontro.

Cominciamo dal primo, che è anche a mio parere il più rilevante. Considerato dal punto di vista filosofico-giuridico, e più precisamente etico-giuridico, l’obbligo vaccinale ci pone di fronte ad una questione di vitale importanza per tutti noi: può lo Stato imporre ai cittadini un intervento sanitario universalmente obbligatorio contro la loro volontà? Può violare il principio dell’inviolabilità del corpo? E può fare questo sui bambini, per definizione soggetti deboli, sostituendosi alla volontà dei naturali tutori dei loro interessi, i genitori? E può irrogare una sanzione grave come la discriminazione dei bambini rispetto all’accesso di servizi essenziali quali l’asilo nido o la scuola per l’infanzia o la penalizzazione economica non progressiva ai genitori o addirittura la revoca della patria potestà?

È ovvio che il “può” va inteso nel senso di “ha il diritto”. Nel comune sentire, lo Stato ha il diritto di costringere quando è in gioco un bene maggiore, in questo caso la salute pubblica, in altri casi la sicurezza o l’interesse generale. Ma in uno Stato di diritto e soprattutto in uno Stato democratico il potere dello Stato è soggetto a pesanti limitazioni. Se così non fosse, il naturale squilibrio di forze fra Stato e cittadini trasformerebbe questi ultimi in sudditi senza diritti. In uno Stato democratico, la sovranità è dei cittadini, che la esercitano sulla base della Costituzione, la quale a sua volta è frutto di un patto, di un contratto bilaterale fra i cittadini e lo Stato. Lo Stato è al servizio dei cittadini, non viceversa; di per sé, lo Stato non è altro che l’espressione della comune appartenenza dei cittadini ad un unico corpo sociale.

Come in ogni faccenda complessa, è in gioco un bilanciamento di diritti e di doveri. I bambini hanno diritto all’integrità del loro corpo, alla salute, alle cure amorevoli e adeguate dei genitori, alla tutela da parte dello Stato. I genitori hanno il diritto di scegliere ciò che, in base alla loro visione del mondo, ritengono meglio per tutelare e proteggere i loro bambini. Hanno anche il dovere di prendersi cura adeguatamente dei figli. Solo nel caso in cui non siano in grado per incapacità manifesta o per abuso e trascuratezza grave, lo Stato ha il diritto e il dovere di intervenire nella prospettiva dell’interesse superiore del minore: non del minore in astratto, ma del bambino specifico, con nome e cognome e con una sua storia personale. Lo Stato ha il dovere di tutelare ogni singolo bambino di per sé, come titolare di diritti non comprimibili. Tali diritti sono codificati nei trattati internazionali e nei documenti di bioetica e rappresentano una conquista di civiltà irrinunciabile.

Nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (CRC) sono indicati quattro principi generali, trasversali a tutti i principi espressi dalla CRC ed in grado di fornire un orientamento ai governi per la sua attuazione:

  • non discriminazione (art. 2), tutti i diritti sanciti dalla CRC si applicano a tutti i minori senza alcuna distinzione;
  • superiore interesse del minore (art. 3), in tutte le decisioni il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente;
  • diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo (art. 6), non solo il diritto alla vita ma garantire anche la sopravvivenza e lo sviluppo;
  • partecipazione e rispetto per l’opinione del minore (art. 12), per determinare in che cosa consiste il superiore interesse del minore, il suo diritto di essere ascoltato e che la sua opinione sia presa in considerazione.

All’Art. 3, la CRC afferma: “Gli Stati, le istituzioni pubbliche e private, i genitori o le persone che ne hanno la responsabilità, in tutte le decisioni che riguardano i bambini devono sempre scegliere quello che è meglio per tutelare il loro benessere”. Si tratta quindi di determinare in che cosa consista il benessere del bambino.

Il Codice di Norimberga, redatto nel 1946 dopo i processi ai medici nazisti colpevoli di aver condotto esperimenti atroci su esseri umani, cercò di stabilire il confine (assai labile, come si accorsero i giudici) fra gli interventi leciti e quelli illeciti in ambito medico, soprattutto in ambito sperimentale. E la prima regola che venne individuata dai medici statunitensi incaricati della stesura fu la seguente:

«la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia».

La World Medical Association ribadiva inoltre, nella Dichiarazione di Helsinki del 1964, il concetto che solo il consenso esplicito poteva giustificare moralmente la ricerca sui soggetti umani e che “nella ricerca medica gli interessi della scienza e quelli della società non devono mai prevalere sul benessere del soggetto“. Da queste riflessioni sono nati il consenso informato e la riflessione bioetica. Pur con differenze culturali e filosofiche, la bioetica – in particolare quella anglosassone – tende a considerare fra i principi irrinunciabili in ambito medico l’autonomia del paziente (ovvero la libertà di scelta), la beneficità (ovvero l’effettivo beneficio) e la non maleficità dell’intervento (il principio ippocratico primum non nocēre), la giustizia rispetto l’accesso alle cure.

Dai documenti di etica medica deriva un primo punto fermo: un intervento medico si giustifica solo nell’interesse esclusivo di chi lo riceve, solo con il suo consenso espresso, solo se non fa un danno superiore ai benefici che apporta, solo se arreca un beneficio al soggetto. Non si giustifica con un interesse superiore della ricerca scientifica e della società. La CRC pone inoltre come criteri irrinunciabili di ogni intervento la non discriminazione e la tutela del benessere del minore.

Il bambino ha diritto alla difesa della sua salute, che è il bene primario per ciascuno. Ma chi stabilisce in che modo tutelare la salute? L’unica risposta possibile è: i genitori. Sono loro legalmente ad esprimere il consenso alle cure mediche per il proprio figlio. Se non lo possono esprimere, viene meno il principio stesso del consenso informato e siamo di fronte all’arbitrio dello Stato. Uno Stato che si sostituisce ai genitori nello stabilire qual è il modo giusto di proteggere la salute del minore o di curarlo, nel caso che sia malato, sta trattando il genitore o come un incapace o come un criminale. Il compito dello Stato è di informare, educare, sostenere, affiancare un genitore per consentirgli di esercitare appieno la sua libertà educativa e di cura nei confronti del figlio, ma se lo Stato decide per lui, in assenza delle circostanze di necessità, urgenza e di grave manchevolezza di cui abbiamo parlato, allora non siamo più in democrazia. Forse a molti sfugge la gravità di questa imposizione: è un esproprio autoritario della libertà e della sovranità del cittadino nel decidere su una questione fondamentale quale la salute e il benessere dei propri figli. È lo Stato che decide in modo arbitrario che cosa è bene per tutti i bambini, indipendentemente dalle qualità genitoriali dei loro tutori.

Inoltre, se il bambino è sano e l’intervento medico non migliora il suo stato di salute, lo Stato non lo può imporre. Non spetta allo Stato sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio un bambino sano. E nemmeno può violare il corpo del bambino, che è assolutamente indisponibile per lo Stato. L’articolo 32 della Costituzione è chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Che si tratti di un intervento medico e, nel caso estremo, di una violazione dell’integrità della persona è fuori discussione: un vaccino è un farmaco, e come tale ha effetti desiderabili ed effetti collaterali. Per somministrarlo occorre intervenire su un corpo senza il consenso di chi ne ha la titolarità (se il genitore non lo esprime), mediante la sospensione della potestà genitoriale. Data la delicatezza della materia, l’orientamento giuridico prevalente finora è stato infatti favorevole all’obbligatorietà, ma non alla coercibilità della vaccinazione.

Somministrare in modo indiscriminato grandi quantità di farmaci a soggetti sani, senza alcuna conoscenza preventiva dello stato di salute, di un’eventuale immunità preesistente, o di controindicazioni alla somministrazione non risponde né a criteri etici né a criteri scientifici. E non ha a che fare con l’utilità o meno dei vaccini. Un farmaco non è utile a prescindere da chi lo assume. Per fare un esempio, anche se gli antibiotici sono una benedizione per l’umanità, questa non è certo una ragione per somministrarli a tutti, anche a soggetti sani.

La Corte Costituzionale si è espressa più volte in merito all’obbligatorietà delle vaccinazioni, individuando in esse un vantaggio sia per il minore sia per la collettività: con la sentenza 23 giugno 1994 n. 258 ha chiarito che le leggi che impongono l’obbligo vaccinale non contrastano con l’art. 32 Cost., purché “il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili; sia prevista, nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio − ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica − comunque la corresponsione di un equo indennizzo in favore del danneggiato“. Nella stessa pronuncia, la suprema Corte ha aggiunto un’importante invito al legislatore “affinché, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, siano individuati e siano prescritti in termini normativi, specifici e puntuali, ma sempre entro limiti di compatibilità con le sottolineate esigenze di generalizzata vaccinazione, gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze“.

Secondo la Corte, quindi, l’obbligo si giustifica a determinate condizioni, che sono appunto quelle che dovrebbero essere accertate. È evidente, infatti, che i danni vaccinali esistono e possono essere anche gravi, come testimoniano le numerose sentenze che impongono il risarcimento dello Stato ai bambini danneggiati in modo permanente dalle vaccinazioni. Non si può dare per scontato che esse costituiscano esclusivamente un vantaggio per il singolo e per la collettività. Un principio di cautela imporrebbe di verificare il rapporto costi-benefici caso per caso e vaccino per vaccino. Magari la vaccinazione si giustifica per alcune patologie e non per altre. Ne riparleremo più avanti.

Somministrare una grande quantità di farmaci per tutelare altri soggetti più vulnerabili è una violazione della Dichiarazione di Helsinki: nessuno può essere costretto ad un intervento medico potenzialmente dannoso per arrecare beneficio a qualcun altro. Tale principio è ribadito dalla Convenzione di Oviedo, recepita in Italia con legge n.145/2001: Articolo 2 – Primato dell’essere umano. L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza”.

Discriminare un bambino sano rispetto all’accesso ai servizi educativi sarebbe una violazione della Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Tra l’altro, sarebbe una discriminazione davvero paradossale e ingiustificata. A chi fa danno un bambino sano? Più che una misura preventiva, suona come un vero e proprio ricatto ai genitori. Obbligare a vaccinarsi in assenza di pericolo diretto dei soggetti interessati e in assenza di una grave epidemia in atto è una violazione del principio di non maleficità: poiché va bilanciato di caso in caso il rapporto costi-benefici di un vaccino, se non c’è beneficio diretto, ma è presente un danno anche solo potenziale, non si giustifica l’intervento, e comunque non può essere obbligatorio. Devono essere i genitori a prendersi la responsabilità di decidere, soppesando rischi e benefici.

Disporre un trattamento sanitario obbligatorio che non rechi un beneficio diretto al soggetto che vi è sottoposto (principio di beneficità) viola il principio di necessità e di urgenza e viola la Convenzione di Oviedo, che nel sommario iniziale recita testualmente: “La Convenzione consacra il principio che la persona interessata deve dare il suo consenso prima di ogni intervento, salvo le situazioni di urgenza, e che egli può in ogni momento ritirare il suo consenso. Un intervento su persone incapaci di dare il proprio consenso, per esempio su un minore o su una persona sofferente di turbe mentali, non deve essere eseguito, salvo che non produca un reale e sicuro vantaggio per la sua salute”.

Un farmaco si somministra a chi ne ha bisogno, secondo una valutazione in scienza e coscienza, non indiscriminatamente a tutti, perché così è evidente che, statisticamente, qualcuno ne riporterà dei danni anche gravi, e questo è sempre e comunque eticamente inaccettabile. Ogni bambino ha diritto soggettivamente alla sua integrità, alla sua salute, al suo benessere. Non è nemmeno togliendogli la patria potestà dei genitori o il reddito familiare che si favorisce il suo benessere. La sospensione della potestà genitoriale, che sembra introdurre un principio di coercibilità nell’obbligo vaccinale, è stata considerata illegittima da alcune sentenze, fra le quali il Decreto Corte di Appello di Ancona, Sezione minori, N. 1994 del 27.11.98

Riassumendo, possiamo concludere che

ammesso che i vaccini siano utili a prevenire il diffondersi di malattie contagiose ed epidemiche (cosa che deve essere adeguatamente dimostrata);

ammesso che siano sicuri, come sostengono molti medici (anche se non tutti) e le case farmaceutiche;

ammesso che sia dimostrata l’esistenza dell’effetto-gregge non solo per l’immunità naturale, ma anche per quella vaccinale;

ammesso che lo Stato possa, in particolari circostanze, disporre un trattamento sanitario obbligatorio, come previsto dall’art. 32 della Costituzione

tuttavia, dal punto di vista etico tale intervento obbligatorio si giustifica solo a condizione che

– ci sia un grave e immediato pericolo per la vita e la salute del minore (principio di gravità e urgenza),

– sia in corso un’epidemia che minaccia la salute pubblica (principio di emergenza),

– sia impossibile impedire in altro modo il contagio (principio di necessità),

– non sia violata l’integrità psicofisica della persona, che costituisce il limite invalicabile di ogni obbligo (principio di inviolabilità del corpo),

– sia un intervento compatibile con lo stato psico-fisico del minore (principio di personalizzazione),

– sia dimostrata l’incapacità genitoriale di esprimere un valido consenso, posto che il genitore è l’unico soggetto titolare del diritto di esprimerlo per conto del minore (principio di autodeterminazione).

In ogni caso, lo Stato deve garantire:

un dibattito scientifico aperto e sereno su vantaggi e danni da vaccinazione, nell’interesse dei cittadini e della scienza;

un costante e scrupoloso monitoraggio sugli effetti avversi delle vaccinazioni;

un’informazione corretta, trasparente e imparziale;

l’imparzialità rispetto ai portatori di interessi economici che possono trarre vantaggio da una decisione politica a danno anche solo potenziale della salute pubblica;

la piena assunzione di responsabilità rispetto ai danni che ne possono derivare alla salute del minore;

l’assoluta non discriminazione del minore o punibilità del genitore che rifiuti l’intervento. Un genitore scrupoloso, che soppesa con cautela la decisione di far vaccinare o meno il figlio, è soltanto un genitore responsabile.

Quella dell’autodeterminazione e del consenso informato è comunque la strada seguita dai 15 Paesi UE su 27 che non prevedono nessun obbligo vaccinale; esso resiste soprattutto nei Paesi dell’Est europeo: segno, probabilmente, nei Paesi privi di obbligo, di un rapporto governanti-governati più maturo, basato sulla fiducia, sul rispetto e sulla considerazione per la libertà dei cittadini – in ultima analisi, più democratico.

 [continua]