Se questo è un uomo. Il caro estinto come rifiuto da smaltire

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Bolliti e sciolti con l’idrossido di potassio: in questo consiste l’acquamazione o idrolisi alcalina, il procedimento super green di trattamento dei cadaveri già diffuso negli USA, in Canada, in Australia, in Messico e in Sudafrica, approdato nel Regno Unito e in Olanda e che potrebbe arrivare anche da noi. Funziona all’incirca così: il corpo del defunto viene insacchettato e introdotto in un contenitore a tubo pressurizzato e riempito con una soluzione di acqua e idrossido di potassio. Viene poi riscaldato e fatto bollire a circa 160 gradi, in modo da sciogliere completamente i tessuti molli, e dopo 4-6 ore è completamente liquefatto. Le ossa vengono prelevate, cremate e ridotte in cenere, infine consegnate ai parenti in forma di polvere bianca di fosfato di calcio, da conservare al cimitero o in casa o da disperdere in natura, secondo la volontà del morto. Eventuali protesi e dispositivi medicali vengono raccolti e smaltiti a parte, come mostra questo video girato presso l’University of California, Los Angeles (UCLA).

Niente di più ecologico, sostengono con convinzione i promotori della cremazione ad acqua, che avrebbe un impatto sulla CO2 decisamente inferiore rispetto alla cremazione con il fuoco (circa la metà) e consumerebbe fino al 90% in meno di energia. Con un piccolo dubbio: il liquido prodotto, che contiene aminoacidi, peptidi, zuccheri e sali (ma non DNA o RNA, giurano gli esperti), dove va a finire? Nelle acque reflue, come qualunque rifiuto di fogna, dicono.

Un video, che ha largamente circolato in rete (The Dead Are Liquified And Are Fed To The Living), ha insinuato tuttavia il dubbio atroce che questi resti liquefatti finiscano nella catena alimentare umana all’insaputa degli utenti, dopo adeguato trattamento, ovviamente. Non era stato il filantropo per antonomasia, Bill Gates, a investire premurosamente in sistemi di depurazione delle acque reflue che trasformano l’acqua del gabinetto in acqua potabile per i poveri del Terzo Mondo (e non solo) e si era pure fatto immortalare mentre beveva con gusto il risultato di questa meraviglia? Sempre sul pezzo, insomma, l’onnipresente Bill. Se di acque reflue si tratta anche per i corpi liquefatti con l’acquamazione, tale destino non può certo essere escluso del tutto. Del resto, se i vivi possono mangiare insetti e carne sintetica, perché non potrebbero bere acqua di fogna e liquame di cadaveri? Potrebbe essere il top dell’ecocompatibilità e forse un efficace rimedio per l’ecoansia.

Non abbiamo alcun elemento per confermare o smentire l’agghiacciante insinuazione, davvero complottista; possiamo comunque constatare che i fact-checker più accreditati si sono subito scatenati per smentirla sdegnosamente, il che già di per sé potrebbe suggerire cattivi pensieri in chi sa da chi vengono finanziati.

In alternativa, il morto può essere cremato e trasformato in diamante della memoria, da portare sempre con sé, oppure in compost da disperdere in natura, sempre per ridurre l’impatto ambientale. Non che la sepoltura classica qui in Europa sia il non plus ultra: morire in ospedale, non di rado nell’indifferenza degli altri, restare qualche ora in una squallida camera mortuaria, per essere poi zincati e seppelliti quasi subito in un cimitero dopo un frettoloso funerale non ha certamente la valenza empatica e spirituale delle pratiche funerarie di altre tradizioni culturali, ancora abituate a onorare i defunti e a considerarli spiriti incarnati.

Ma la questione è ancora un’altra: che dignità resta a un corpo umano bollito e gettato nello scarico del WC? O cremato e trasformato in diamante della memoria? O trasformato in compost per fertilizzare i terreni agricoli e i giardini? Non era la dignità riservata ai defunti il segno del passaggio dalla natura alla cultura? Abbiamo testimonianze di sepoltura che risalgono al Paleolitico. Molte civiltà umane, fra le quali quella egizia, quella greca e quella romana, hanno dato grande valore ai riti funebri e rispetto al corpo dei morti, qualunque sia la forma di sepoltura scelta: per cremazione, per inumazione, per tumulazione. Il corpo morto è stato abbandonato dall’anima, ma è un corpo umano, a cui i vivi sono legati da vincoli di sangue e di affetto, perciò va trattato con cura. E l’anima del defunto va accompagnata nel suo cammino ultraterreno, mentre i vivi devono riuscire a elaborare il lutto della perdita. Come non ricordare Antigone, figlia di Edipo, che sfida il divieto del re di Tebe per celebrare un fugace rito funebre sul corpo morto del fratello Polinice, pagando con la vita il suo atto di pietas?

Il rito funebre è un rito sociale, collettivo, che permette a chi resta di accettare poco per volta la perdita definitiva. Come scrisse l’antropologo Robert Hertz, il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti è un processo lento: «noi non possiamo pensare alla morte come tale tutta in una volta». Noi esseri umani abbiamo bisogni di riti e di tempo per dare un senso agli eventi della vita. Il rito è funzionale agli uomini, al loro equilibrio personale e comunitario, non è una procedura di smaltimento del rifiuto organico per pretestuose e antiscientifiche motivazioni ambientali (per chi ancora crede che sia la CO2 il nostro problema consiglio il documentario Climate: The movie). È la motivazione a essere raccapricciante, perché ignora la sacralità della morte e la riduce a mera questione tecnica.

Ma questa riduzione del caro estinto a pura materia disanimata da riciclare, a cosa senza valore, è del tutto in linea con la violenta disumanizzazione che abbiamo vissuto nella storia passata e recente: con gli anziani lasciati morire soli nelle RSA, senza l’estremo saluto dei propri familiari, con le persone sane inghiottite dagli ospedali per un tampone positivo e restituite in sacco nero, con i funerali proibiti, con le migliaia di morti improvvise di bambini, giovani e adulti di cui non parla nessuno sui media nazionali, con i bambini sventrati per il commercio degli organi, con i bambini fatti a pezzi e lasciati fra le macerie nel genocidio di Gaza, con i tantissimi morti di una guerra inutile in Ucraina, in Iraq, in Siria, in Cambogia e in ogni altro luogo dove il vilipendio dei morti fa il paio con la cancellazione della dignità e del diritto a esistere dei vivi.

La biocremazione sarà green, ma fa orrore. Testimonia a che punto di degradazione è giunta la nostra civiltà, che riesce solo a pensare ai vivi come mangiatori inutili e ai morti come rifiuti da smaltire. Una cultura spietata, di morte e di distruzione delle qualità spirituali, che rendono l’uomo umano e la vita degna di essere vissuta. Se questo è ancora un uomo.

Pubblicato su Sovranità popolare, n° 2, ottobre 2024 (in inglese)

If this is a man. The dearly departed as waste to be disposed of

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Boiled and dissolved with potassium hydroxide: this is aquamation or alkaline hydrolysis, the super-green procedure for treating corpses already widespread in the USA, Canada, Australia, Mexico and South Africa, which has landed in the United Kingdom and the Netherlands and could also arrive here. It works roughly as follows: the body of the deceased is bagged and placed in a pressurised tube container and filled with a solution of water and potassium hydroxide. It is then heated and boiled to about 160 C°, so that the soft tissue is completely dissolved, and after 4-6 hours it is completely liquefied. The bones are removed, cremated and reduced to ashes, and finally given to relatives in the form of a white powder of calcium phosphate, to be kept at the cemetery or at home, or to be scattered in nature, according to the wishes of the dead person. Any prostheses and medical devices are collected and disposed of separately, as this video shot at the University of California, Los Angeles (UCLA) shows.

Nothing could be more environmentally friendly, the promoters of water-based cremation strongly argue, as it would have a much lower CO2 impact than cremation by fire (about the half) and consume up to 90% less energy. With one small doubt yet: the liquid produced, which contains amino acids, peptides, sugars and salts (but not DNA or RNA, the experts swear), where does it end up? In sewage, like any sewage waste, they say.

A video, which has circulated widely on the net (The Dead Are Liquified And Are Fed To The Living), has, however, raised the atrocious doubt that these liquefied remains end up in the human food chain unbeknownst to the users, after proper treatment, of course. Wasn’t it the philanthropist par excellence, Bill Gates, who thoughtfully invested in sewage purification systems that turn toilet water into drinking water for the poor of the Third World (and beyond) and even had himself been filmed while drinking with delight the result of this marvel? Always on the ball, in short, the ubiquitous Bill. If wastewater is also the case for bodies liquefied by aquamation, such a fate certainly cannot be entirely ruled out. After all, if the living can eat insects and synthetic meat, why couldn’t they drink sewage water and corpse slurry? That could be the ultimate solution in eco-friendliness and perhaps an effective remedy for eco-anxiety.

We have no element to confirm or deny this chilling insinuation, which is indeed conspiratorial; we can however note that the most accredited fact-checkers have immediately gone wild to disdainfully deny it, which in itself might suggest bad thoughts in those who know who they are funded by.

Alternatively, the dead can be cremated and turned into a memory diamond, to be carried with you at all times, or into compost to be dispersed in nature, once again to reduce environmental impact. Not that classical burial here in Europe is the non plus ultra: dying in a hospital, not infrequently to the indifference of others, remaining for a few hours in a dingy mortuary, only to be galvanised and buried almost immediately in a cemetery after a hasty funeral certainly does not have the empathic and spiritual value of the funeral practices of other cultural traditions, still used to honouring the dead and considering them incarnate spirits.

But the question is yet another: what dignity is left to a human body boiled and flushed down the toilet? Or cremated and turned into a memory diamond? Or turned into compost to fertilise farmland and gardens? Was not the dignity reserved for the dead the sign of the passage from nature to culture? We have evidence of burial dating back to the Palaeolithic period. Many human civilisations, including the Egyptians, Greeks and Romans, placed great value on funeral rites and respect for the body of the dead, whatever form of burial they chose: by cremation, inhumation, burial. The dead body has been abandoned by the soul, but it is a human body, to which the living are bound by bonds of blood and affection, so it must be treated with care. And the soul of the deceased must be accompanied on its afterlife journey, while the living must manage to grieve the loss. How can we fail to remember Antigone, daughter of Oedipus, who defies the ban of the king of Thebes to perform a fleeting funeral rite over the dead body of her brother Polynices, paying with her life for her act of “pietas”?

The funeral rite is a social, collective rite that allows those left behind to accept the ultimate loss little by little. As the anthropologist Robert Hertz wrote, the transition from the world of the living to the world of the dead is a slow process: “We cannot think of death as death all at once”. We human beings need rituals and time to make sense of life’s events. The ritual is functional to human beings, to their personal and community balance, it is not a procedure in order to dispose of organic waste for specious and unscientific environmental reasons (for those who still believe that CO2 is our main problem, I recommend the documentary Climate: The movie). The motivation is indeed quite creepy, because it ignores the sacredness of death and reduces it to a mere technical issue.

But this reduction of the dearly departed to pure rough, dead matter to be recycled, to a worthless thing, is entirely in line with the violent dehumanisation we have experienced in past and recent history: with the elderly left to die alone in the nursing homes (without the final farewell of their families); with healthy people swallowed up by hospitals for a positive swab and delivered in black sacks; with forbidden funerals; with the thousands of sudden deaths of children, young people and adults that no one talks about in the national media; with children disembowelled for the organ trade; with children blown to pieces and left in the rubble in the Gaza genocide; with the countless deaths of an unnecessary war in Ukraine, Iraq, Syria, Cambodia and everywhere else where the vilification of the dead is matched by the erasure of the dignity and right to exist of the living.

Biocremation may be green, but it is horrifying. It testifies what point of degradation our civilisation has reached, since it can only think of the living as useless eaters and of the dead as waste to be disposed of. A ruthless culture of death and destruction of the spiritual qualities that make man human and life worth living. If this is still a man.

Pubblicato su Sovranità popolare, n° 2, ottobre 2024

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La scuola del futuro.

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📚 TRASMISSIONI in differita
LA SCUOLA CHE NON C’È

In questa puntata della rubrica di Giusy Pace: “La scuola del futuro”.
Riflettiamo su come è possibile formulare una proposta educativa per formare anime libere e capaci di sentire e di pensare, con ispirazione al modello umanistico dell’educazione integrale, che coinvolge corpo, mente, anima e spirito.

OSPITE SPECIALE la dottoressa Patrizia Scanu

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La guerra dentro noi stessi: perché il patriarcato non è una spiegazione

Si può spiegare completamente il fenomeno della violenza di genere contro le donne come un effetto del patriarcato? La comunicazione mediatica suggerisce con insistenza questo collegamento. Ma è davvero così? Esiste una spiegazione unica, valida per tutti casi di violenza? Ecco l’analisi di Patrizia Scanu, psicologa, Gestalt counsellor e formatrice.

Si può spiegare completamente il fenomeno della violenza di genere contro le donne come un effetto del patriarcato? La comunicazione mediatica suggerisce con insistenza questo collegamento. Ma è davvero così? Esiste una spiegazione unica, valida per tutti casi di violenza? O dobbiamo allargare lo sguardo e andare più a fondo? Sicuramente, si tratta di un fenomeno complesso e multiforme, che non si presta a spiegazioni elementari e onnicomprensive e che richiede di considerare con attenzione la potenza evocativa e definitoria del linguaggio. Le parole creano la realtà e a volte ne impediscono la comprensione. Per questo la psicosofia esamina le parole con curiosità e apertura. 

Etimologicamente patriarcato significa “legge del padre” e si riferisce a una forma particolare di famiglia, nella quale il patriarca è a capo di una stirpe. Il concetto è ben delimitato dal punto di vista storico e socio-antropologico e designa il potere incontrastato che i maschi più anziani esercitano su tutti membri – uomini, donne, bambini, servi e schiavi – della famiglia estesa, soprattutto in ambiti dove è fondamentale mantenere indivisi e amministrare in modo univoco i beni della famiglia. Storicamente, se ne possono rinvenire le origini nell’antica Roma e più indietro ancora nella società descritta dall’Antico Testamento.

Nella figura del pater familias romano o del patriarca biblico si sommano il diritto di vita o di morte sui membri della famiglia e nello stesso tempo la protezione nei confronti dei familiari, di cui il patriarca ha la responsabilità e a cui è tenuto da una serie di obblighi anche gravosi. Lo squilibrio di potere è indubbiamente condizione favorevole alla violenza, ma non la contempla necessariamente e non implica sempre oppressione; anche nel mondo patriarcale ogni caso è a sé.

Le nostre società attuali portano l’impronta evidente di un secolare squilibrio di potere fra uomini e donne e tale squilibrio rende più facile ricorrere alla violenza: questo è un fatto che non può essere negato e che in sociologia viene definito come disuguaglianza sociale. Senza andare troppo lontano, possiamo ricordare che fino al 1975 il diritto di famiglia italiano chiamava “capofamiglia” il padre e sanciva la completa subordinazione della moglie al marito nei rapporti personali, in quelli patrimoniali, nelle relazioni di coppia e nei riguardi dei figli.

Tuttavia, se possiamo riconoscere anche nel nostro passato antico e recente una visione marcatamente sessista dei rapporti fra uomo e donna, non appare chiaro come il patriarcato in sé possa essere considerato l’unica causa della violenza di genere (essendo oggi tale struttura familiare piuttosto residuale nelle società occidentali) se non sulla base di un’analogia astorica e solo parzialmente utile alla comprensione del fenomeno. 

Dagli anni ’60 e ’70 (anche prima, negli Stati Uniti) sociologi di diverso orientamento, da Parsons e Bales a Riesman e a Horkheimer e Adorno parlano in coro di «crisi della famiglia» e di «società senza padre»: tale figura è entrata progressivamente in crisi, indebolita nelle sue funzioni tradizionali, che Parsons riconosceva nel procacciare sostentamento economico, nel prendere decisioni strategiche per la famiglia, nel definire le regole familiari e nel controllarne l’osservanza. 

Lungi dall’essere un padre-padrone, l’uomo attuale fatica a darsi un ruolo sociale definito e spesso vive con le donne una relazione competitiva. Non deve perciò meravigliare che la violenza sulle donne sia molto diffusa nelle società del Nord Europa, dove il patriarcato è sepolto da tempo ed è entrata largamente nella mentalità comune l’idea della parità fra i sessi. Per alludere al sessismo ancora presente nella nostra vita sociale, forse sarebbe più adatto il termine “maschilismo”, che indica una modalità relazionale fondata sul dominio, sul possesso e sulla supremazia, invece che sulla cooperazione paritaria e il riconoscimento reciproco fra uomo e donna.

Ma allora come si spiega la violenza di genere? Intanto, è impossibile individuarne una causa unica: si tratta di un fenomeno multifattoriale, al quale contribuiscono in misura notevole e variamente combinata, oltre ai fattori culturali, anche cause individuali e di contesto, come l’immaturità affettiva, l’analfabetismo emozionale, i modelli familiari vissuti da bambini, i modelli dei media (per esempio, la pornografia), i rapporti sociali predatori, lo stress lavorativo, il narcisismo diffuso, la fragilità derivante dalla perdita di ruolo e di potere, la visione materialista della vita, fondata sul possesso, tanto per citarne alcuni. 

Il problema non riguarda solo le donne: la violenza è diffusa anche nelle coppie omosessuali e, magari in forme diverse, colpisce pure gli uomini. Sarebbe un errore considerare la violenza come una prerogativa esclusiva dei maschi. Se vogliamo considerare il problema con lo sguardo più ampio e comprensivo della psicosofia sinergetica, potremmo dire che la violenza di genere è solo uno dei modi nei quali si manifesta la violenza latente nelle nostre società e che si presenta soprattutto nella famiglia, perché lì si esprimono tutte le tensioni e le contraddizioni generate dalla vicinanza e dalla relazione profonda in un contesto sociale profondamente degradato e squilibrato. Noi diventiamo violenti quando non riusciamo a tenere a bada e a trasformare la nostra mente animale (rettiliana e limbica) con la Coscienza. La violenza è cecità spirituale (avidyā) e assenza di empatia. E nelle nostre società quasi tutto congiura a mantenerci al livello più basso della nostra umanità.

Dentro ciascuno di noi, uomini e donne, sono presenti una parte maschile e una femminile, nel senso che incarniamo in noi stessi la dualità metafisica fra due opposti complementari, ben raffigurati dal Rebis alchemico e dalla polarità Yin-Yang nel Tao e descritti anche dai filosofi greci, per esempio dai Pitagorici. In questo senso, possiamo dire che un certo numero di persone (uomini e donne) manifesta un maschile violento, fatto di aggressione, predazione, sopraffazione, dominanza, possesso, competizione, tipiche della nostra natura animale oppure (spesso anche) un femminile sottomesso, vittimizzato, manipolativo, bisognoso, gregario. Quando pensiamo e agiamo usando questa parte arcaica della nostra mente siamo completamente incoscienti di ciò che facciamo e dell’effetto che ha sugli altri e su noi stessi, dato che ci degradiamo ogni volta che agiamo senza coscienza.

Ma noi siamo molto di più: abbiamo una coscienza spirituale, capace di sintonizzarsi con i valori più alti: etica, responsabilità, giustizia, amore, empatia, bellezza, gioia. Ce ne accorgiamo quando siamo creativi (la creatività è il sintomo della nostra natura spirituale), quando facciamo azioni giuste, etiche, amorevoli, quando sappiamo accogliere e dire di no a seconda dei casi. Possiamo immaginare la violenza in una persona che è così presente a se stessa?

Purtroppo, ci portiamo dentro anche la violenza e l’umiliazione millenarie dei nostri avi, sotto forma di memorie genetiche di sopraffazione e di sottomissione, che fanno da terreno fertile per ulteriori azioni dannose, in una catena infinita nella quale siamo contemporaneamente vittime e carnefici, prede e predatori, quando rimaniamo al livello più basso della nostra mente. Per questo dobbiamo stare attenti a evitare la polarizzazione del linguaggio, che semina divisione e odio fra le persone, perfino fra uomini e donne. La guerra fra i sessi è assurda come la guerra fra la nostra parte maschile e quella femminile. Il problema è la guerra dentro di noi, quando perdiamo di vista la nostra natura autentica e tiriamo fuori la bestia inconsapevole, sentendoci vittime o padroni, mentre potremmo contribuire a elevare la qualità delle relazioni umane cominciando da noi stessi.

Articolo pubblicato sul sito dell’editore Terranuova: https://www.terranuova.it/News/Crescita-interiore/La-guerra-dentro-noi-stessi-perche-il-patriarcato-non-e-una-spiegazione

Oltre la scuola e l’homeschooling

Intervista con Fabio Frabetti su Bordernights del 27 novembre 2023.

Dove sta andando la scuola? Che cosa servirebbe per migliorarla? Che cos’è la pedagogia nera? Di questo e di altro discuto con Fabio Frabetti in questa intervista.

https://www.youtube.com/live/He0NCypVYFg?si=eZ1MPspnHdCvKYmN

La scuola del mondo che verrà

Conferenza di presentazione del libro Oltre la scuola e l’homeschooling. Riparare i danni della pandemia ed educare per il mondo che verrà.

Video della conferenza tenuta venerdì 24 novembre a Vidracco, presso la sala comunale, su invito della Liber School di Damanhur.

Oggi parliamo di Psicosofia sinergetica

Da oggi si può visitare la nuova pagina delle Attività: Psicosofia sinergetica

Per chi cerca nella relazione psicologica un’occasione di esplorazione dell’anima e del senso profondo della vita e della morte.

La scuola del mondo che verrà

TEDx Cuneo, 6 maggio 2023

Chiedete mai ai vostri figli se sono felici a scuola? Me lo chiedo spesso anch’io. In tanti anni di insegnamento, ho osservato via via la scuola perdere di vista le più ovvie e consolidate conoscenze pedagogiche, fino ad arrivare al paradosso di un’istruzione povera, standardizzata, burocratica e noiosa (anche se non ovunque, per fortuna!) e a intere classi di studenti ormai passivi e rassegnati. Un adolescente passivo e spento è qualcosa di contraddittorio e spaventoso insieme. Non dovrebbe essere un’esplosione di energia e di entusiasmo? Che cosa manca perché questo avvenga? Dobbiamo dare risposta a questa domanda. E poi ce ne sono altre: qual è il modello educativo adatto a riscattare questa generazione di ragazzi? Quale adulto immaginiamo come risultato dell’intero percorso? In sostanza, quale mondo futuro vogliamo costruire?

Intanto, chiariamo: educare e istruire non sono la stessa cosa. Spesso la scuola istruisce, ma rinuncia a educare. L’istruzione è trasmissione di conoscenze, ma l’educazione è molto di più. L’educazione è una forma d’arte, la più gravida di futuro; essa guarda in avanti, all’uomo nuovo da plasmare, ed è insieme ricca del sapere tramandato dal passato. I nostri ragazzi hanno bisogno non solo di istruzione, ma anche e soprattutto di educazione, perché hanno bisogno di guardare al futuro. Provate a chiedere ai vostri figli come immaginano il proprio futuro e chi vogliono diventare. Vi accorgerete che molti di loro non riescono a vedere nulla davanti a sé, al massimo qualche incerta prospettiva lavorativa. Il mondo in cui viviamo è troppo liquido e incomprensibile. Tocca a noi, perciò, aiutarli a pensare un futuro vivibile e a sostenerli nel complicato processo di scoprire chi sono.

Il nostro ruolo è di essere per loro un ponte fra passato e futuro. L’essenza dell’educazione è proprio conservare e rinnovare insieme; il suo fine è scoprire e sviluppare le potenzialità e i talenti dei nostri ragazzi e farli crescere con cura amorevole. Quando un ragazzo esprime la sua essenza profonda nell’agire e nel conoscere, è appagato e in pace con se stesso. Maria Montessori lo diceva: il bambino è un “embrione spirituale”, per via delle infinite potenzialità che può esprimere.

Dobbiamo allora chiederci: qual è il modello di uomo che vogliamo per il XXI secolo? In pieno Umanesimo, Giovanni Pico della Mirandola ci ha spiegato che cosa è l’uomo: l’uomo è un grande miracolo, scrive, perché ha la capacità di plasmare se stesso e di scegliere se degenerare al livello dei bruti o rigenerarsi nella sua natura divina. Pico ci ha detto tutto ciò che ci serve: per la rinascita dell’umano e per la fioritura del seme divino che ci portiamo dentro ognuno di noi deve sviluppare la sua libertà interiore e la sua creatività. Perché non ci può essere un essere umano senza libertà interiore e creatività. Sarebbe uno schiavo senza coscienza, e noi non vogliamo questo per i nostri figli. Perciò ora più che mai è necessario dar vita a un nuovo umanesimo, per rimettere al centro i più autentici bisogni umani e la dignità dell’uomo. I nostri ragazzi proprio di questo hanno bisogno: di senso, di relazione e di direzione. E questo è il nostro compito di educatori.

Il mondo che verrà, se vogliamo ancora un mondo umano e non un incubo transumano, dovrà essere più consapevole e più giusto. Dovrà essere fondato sulla cooperazione e sui valori spirituali, non certo sulla competizione e sull’avidità. E quando parlo di spiritualità non do al termine alcuna connotazione religiosa o new age. Semplicemente lo spirito è ciò che rende l’uomo umano, è l’insieme delle qualità più alte: etica, responsabilità, giustizia, amore, empatia, bellezza. La spiritualità, infatti, è autotrascendenza, ovvero capacità di elevarsi al di sopra della propria mera natura biologica e animale e di gettare uno sguardo all’Oltre, all’oceano sconfinato delle potenzialità di essere e dei mondi possibili. Senza questa qualità speciale, non avremmo la musica di Bach, i dipinti della Cappella Sistina di Michelangelo, i disegni di Leonardo, i capolavori architettonici dell’arte gotica o la Divina Commedia di Dante.

La scuola del mondo che verrà sarà un luogo di gioia, di libertà consapevole e di crescita integrale, ovvero fisica, emotiva, intellettuale e spirituale insieme. Una testa riempita di nozioni frammentarie è simile ad un ammasso di mattoni senza calce e senza progetto. Non ci serve! Ci serve, invece, quello che diceva Michel de Montaigne nel ‘500: formare una testa ben fatta, non ben piena, formare una persona sveglia, integra, che sviluppi armoniosamente corpo, mente, anima e spirito, che abbia amore per la verità e per la bellezza.

Nella scuola del mondo che verrà si imparerà in piccoli gruppi, nella natura, in spazi belli e luminosi. L’esperienza dell’imparare e del collaborare con gli altri dovrà essere sempre associata a vissuti gratificanti e stimolanti. A queste condizioni, la scuola sarà il luogo più amato dai bambini e dai ragazzi. Saranno felici, perché la loro naturale curiosità e la motivazione a mettersi alla prova saranno ampiamente soddisfatte. D’altra parte, non sarà più necessaria la competizione; perciò non ci saranno voti, ma i ragazzi riceveranno costanti rimandi sui loro progressi. La tecnologia digitale, che li ha resi dipendenti e depotenziati, avrà uno spazio minimo, almeno fino all’adolescenza. Dobbiamo dare il tempo al cervello di formare le vie neurali necessarie al pensiero complesso. Per questo serve usare le mani e fare esperienza. Si impara facendo, infatti, e anche sbagliando. Si dovrà riscoprire la felicità dell’errore, che, quando accolto e analizzato, stimola l’onestà intellettuale e la creatività.

Ci siamo chiesti quali siano i bisogni fondamentali dei bambini e dei ragazzi? Solo riconoscendoli possiamo dar vita ad una scuola su misura per loro: movimento all’aperto, gioco, natura, relazione, amicizia, fiducia, manualità, bellezza, empatia, ma soprattutto senso. Molti ragazzi sono annoiati a scuola, proprio perché non riescono a trovare il senso di ciò che studiano, cioè a rispondere alla domanda: “A che scopo lo faccio?”. È difficile essere felici, se non si riesce a dare un senso alla propria vita e al proprio agire. Per questo ci servono insegnanti formati e selezionati con molta cura, dotati di talento pedagogico e di competenza comunicativa, studiosi appassionati delle loro materie, persone capaci di relazioni autentiche e oneste ed entusiasti di stimolare continuamente i ragazzi al limite delle loro possibilità. Niente è più efficace di un insegnante che ama ciò che insegna e che sollecita a farsi domande. Come scriveva François Rabelais, “il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Tutti ricordiamo con nostalgia gli insegnanti che hanno saputo accendere in noi la fiamma del desiderio di conoscenza.

Per questo motivo ho provato a dar vita, due anni fa, ad una comunità educativa ispirata al modello del Giardino filosofico di Epicuro. Ho radunato un gruppo di adolescenti dai 16 ai 20 anni e con loro e con alcuni colleghi ho fatto l’esperienza di una serie di seminari residenziali di alcuni giorni nel verde. Abbiamo condiviso i pasti, le passeggiate, le meditazioni, i laboratori di teatro, di musica, di arte, di aikido, di consapevolezza emozionale e tanto, tantissimo sapere dai campi più disparati: storia, letteratura, fisica quantistica, economia, scienze, filosofia, psicologia, mass media, comunicazione. Abbiamo parlato della morte e della bellezza, della mente e della coscienza, della libertà e del senso della vita. Erano tristi e demotivati all’inizio; man mano vedevo rinascere in loro la gioia, la vita, il desiderio di conoscere.

Ne ho concluso che per la nuova educazione, integrale e fondata sui valori spirituali perenni, ci servono la conoscenza di sé, la trasversalità, il pensiero critico, l’integrità e la creatività.

Conoscere se stessi è fondamentale per far brillare la propria luce interiore e per ricordare chi si è veramente: un’essenza divina, ci ha detto Pico. Vuol dire soprattutto conoscere a fondo anche il proprio lato in ombra. Vuol dire comprendere le trappole della mente e sviluppare la Coscienza. Perciò a scuola si imparerà la mindfulness, la presenza a se stessi, alle proprie sensazioni fisiche, alle emozioni e ai pensieri. Per esempio, si imparerà che la consapevolezza del respiro aiuta a gestire l’ansia e che si può riuscire a osservare i pensieri con distacco.

Dovremo insegnare ai ragazzi ad avere una mente aperta e non bloccata da pregiudizi. Perciò occorre superare le barriere stagne delle discipline e sviluppare la trasversalità. L’eccesso di specializzazione ci fa guardare al mondo attraverso il buco della serratura. Ma in un mondo tanto complesso occorrono strumenti per decifrare la complessità, collegando fra loro ambiti diversi del sapere e dando vita a intuizioni e sintesi originali. Come l’uomo universale del Rinascimento, l’allievo del futuro dovrà abbracciare vasti orizzonti.

Non ci può essere senso a scuola senza il pensiero critico. Chi pensa con la propria testa può riconoscere falsità e inganni e difendere la propria libertà. Come si può sviluppare il pensiero critico a scuola? Per esempio, imparando a farsi domande e non dando niente per scontato, invece di ripetere passivamente un sapere predigerito. Oppure imparando a riconoscere le manipolazioni linguistiche, logiche, storiche, statistiche che distorcono la realtà. Perciò servono la storia, la lingua, la logica, la matematica. Li ho visti, gli studenti dopo questo tipo di lavoro: diventano svegli e pronti a mettere in discussione tutto ciò che sentono, anche da me!

Non se ne parla mai, ma non c’è educazione senza integrità. L’integrità ha a che fare con il senso di avere dei sani confini personali e di farli rispettare. Dobbiamo insegnare ai ragazzi a volersi bene, ad essere empatici con se stessi, a prendersi cura di sé con responsabilità. Solo così lo faranno anche con gli altri. Possiamo essere soddisfatti, quando i nostri allievi imparano la meravigliosa capacità di dire di no a ciò che è dannoso a sé o agli altri.

La creatività è la principale caratteristica dello spirito umano e la più necessaria nella scuola del futuro. Creatività è capacità di plasmare se stessi e di trasformare il mondo in modo imprevedibile. Nella scuola del mondo che verrà, avranno un posto centrale le discipline creative, come l’arte, la musica, la danza, la poesia, il teatro. Ma la creatività riguarda qualunque attività intellettuale: per esempio, la matematica, la filosofia, l’educazione, e perfino l’agire quotidiano. Creatività non è assenza di regole, ma apertura mentale, ricchezza ideativa, audacia e insieme disciplina interiore e massima concentrazione. Per valorizzare nei nostri ragazzi la creatività, però, anche gli insegnanti dovranno essere creativi, e questo significa liberarsi dall’abitudine e dai pregiudizi. Non vi è creatività senza bellezza. La bellezza è la via d’accesso ai mondi spirituali. Per questo si dovrà educare a riconoscere e a creare il bello. Senza la sensibilità al bello, l’essere umano si svilisce. Un momento indimenticabile che ho vissuto con i ragazzi dei residenziali è stato vederli completamente assorti e rapiti nell’ascoltare la lettura teatrale del discorso di Diotima sulla Bellezza nel Simposio di Platone, seduti in cerchio in mezzo al bosco.

La scuola del mondo che verrà sarà viva, una vera scuola di vita, perciò richiederà massimo coinvolgimento non solo degli insegnanti, ma anche dei genitori. Noi adulti dovremo imparare a nostra volta a esprimere al meglio le nostre qualità spirituali, perché tutti noi per i ragazzi siamo dei modelli da imitare. Si può insegnare infatti solo ciò che si è. Noi dovremo essere quindi autorevoli, saper ascoltare, saper dialogare, saper accogliere. Un adulto autorevole usa la forza in modo protettivo, mai coercitivo, e dà poche regole, ma chiare e condivise; soprattutto riesce ad essere autentico. La ricerca scientifica in psicologia ha mostrato un’interessante correlazione fra autenticità e benessere psicologico. Si sta bene con chi ci dà amore, onestà e rispetto. E lo si riconosce subito!

Per gli uomini e le donne di domani, l’insegnante sarà la figura più preziosa da prendere a modello per crescere interiormente forti, autonomi, sensibili e svegli. Bambini e ragazzi hanno bisogno di veri maestri. Questa sarà la nostra responsabilità di adulti verso le generazioni future: testimoniare ai giovani come si diventa ciò che si è nel profondo di se stessi. Solo così ritroveremo le qualità più alte dell’essere umano e potremo costruire mondi sociali più giusti, consapevoli e felici.

Tutto questo può sembrarvi extra-ordinario; in realtà sta già avvenendo.

Ritrovare l’Essenza attraverso il Femminile e il Maschile interiore

https://www.terranuova.it/News/Crescita-interiore/Ritrovare-l-Essenza-attraverso-il-Femminile-e-il-Maschile-interiore

«Viviamo in un mondo in declino, governato da una logica competitiva, materialista, predatoria. Ma è questa la nostra vera natura? È questo che ci rende felici e dà senso alla nostra vita?»: così la dottoressa Patrizia Scanu ci parla del tema del capitolo che ha scritto per il libro “Psicosofia. Un ponte tra psicologia e spiritualità”   (Terra Nuova Edizioni).

«Viviamo in un mondo in declino, governato da una logica competitiva, materialista, predatoria – una logica darwiniana, che ci è stata instillata in due secoli di ideologia capitalistica: la vita è una lotta per la sopravvivenza; se non vinci, meriti di essere un perdente; mors tua, vita mea. Ci siamo assuefatti all’idea di vedere nell’altro un concorrente o addirittura un nemico, a ritenere legittimo “sgomitare” per conseguire i nostri obiettivi; a considerare la competizione come un dato di fatto; ad accettare senza protestare enormi ingiustizie e un livello sempre crescente di ostilità e di aggressività verso tutti. Ma è questa la nostra vera natura? È questo che ci rende felici e dà senso alla nostra vita?»: così la dottoressa Patrizia Scanu ci parla del tema del capitolo che ha scritto per il libro “Psicosofia. Un ponte tra psicologia e spiritualità”  (Terra Nuova Edizioni).

«Se proviamo un momento a osservarci dall’alto, ci rendiamo immediatamente conto che qualcosa non va. Se in una realtà sociale così violenta non c’è spazio per i valori spirituali, allora c’è una parte essenziale di noi che non riesce a manifestarsi. Ci comportiamo come animali, animali umani, certamente, dato che gli altri animali non mostrano tutta questa cattiveria, ma pur sempre scimmie nude, prive di coscienza, di etica, di responsabilità e di bellezza.

Pico della Mirandola vedeva nell’uomo un essere indeterminato, che può salire alle altezze degli angeli o degradarsi al livello della bestia. Quando noi agiamo da animali umani, la nostra coscienza dorme e noi seguiamo le indicazioni della mente animale, nelle sue componenti maschile e femminile: pensiamo alla sopravvivenza, al territorio, a vincere nella lotta, a conquistare la femmina, a possedere, a fare il capobranco, il carnefice  o il predatore, se siamo nel maschile animale; oppure a proteggere la prole, a sacrificarci per il gruppo familiare, a cercare e possedere un partner, ad accettare il ruolo di gregario, di vittima o di preda, se siamo nel femminile animale. In nessuno di questi comportamenti saliamo al livello della nostra Coscienza spirituale».

«Non ci rendiamo conto di nulla, non vediamo il male e il dolore che provochiamo a noi stessi e agli altri. Non siamo liberi, ma determinati dalle memorie della specie, e agiamo alla cieca – aggiunge ancora la dottoressa Scanu -Ma per fortuna abbiamo anche un Maschile e un Femminile interiori di livello spirituale. Sono da intendersi come principi metafisici, come la manifestazione duale dell’unica Essenza divina che costituisce la nostra vera natura. Sono entrambi degradati in questo mondo: la secolare umiliazione del femminile nelle donne ha svalutato il principio femminile in tutti e spinto il maschile al livello animale. Anche nell’uomo, infatti, la svalutazione del femminile ha come ritorno la perdita di sé. Il risultato è una progressiva separazione dalla nostra Essenza autentica. Risvegliando e potenziando il Femminile spirituale in noi, possiamo rivitalizzare anche il Maschile spirituale e ritrovare forza, coraggio, etica, giustizia, amore autentico, bellezza, gioia, vitalità, creatività e connessione. Il percorso da fare è conoscere ed esplorare a fondo la nostra parte animale, per liberarla dai vincoli che ci impediscono di rigenerare la nostra Essenza spirituale. In prospettiva psicosofica, significa imparare a stare nel qui ed ora, in piena presenza, nel sentire, nella consapevolezza di quanto avviene in noi e intorno a noi nel mondo invisibile. Solo così si può riprendere il filo interrotto della memoria e ritrovare il senso profondo del nostro essere qui. Si tratta di un viaggio entusiasmante nella conoscenza, oltre tutte le illusioni che ci impediscono di vedere come ci siamo ridotti e che cosa potremmo diventare, se solo prestiamo attenzione a noi stessi. La verità su noi stessi ci renderà liberi».

Articolo pubblicato su Terra Nuova il  20 Febbraio 2023.

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di Terra Nuova

La Nuova Normalità dei mangiatori di insetti

Piatti di pasta brulicanti di vermi e altri insetti, fritture di cavallette e blatte, latte di scarafaggio, sontuosi panini farciti con larve e presentati come una specialità gastronomica e una necessità senza alternativa. La galleria degli orrori alimentari si arricchisce di giorno in giorno di nuovi, stomachevoli risvolti.

bambini olandesi spinti a mangiare insetti, mentre l’agricoltura olandese viene distrutta; Beppe Grillo che sostiene l’opportunità di insegnare ai bambini italiani a mangiare insetti a scuola; la Fondazione Barilla che butta lì uno spot per sostenere la bontà dell’entomofagia; alcune aziende italiane magnificano il cibo del futuro; la Commissione Europea che pontifica sulle virtù del cibo a base di insetti (si chiama “Dalla fattoria alla forchetta: per un sistema alimentare equo, salutare e amico dell’ambiente”), mentre l’UE autorizza a commercializzare le larve dei vermi della farina come alimento; il sempre chiaroveggente Bill Gates che compra a man bassa terreni agricoli e spinge verso la carne sintetica e gli OGM, oltre che ad estrarre acqua potabile dagli escrementi; i numerosi e accattivanti siti che esaltano e magnificano le virtù del Grande Reset Alimentare; gli immancabili scienziati che corroborano la scelta politica con studi e ricerche, ovviamente condotti per puro amore di verità (per chi ci crede); i giornaloni che scrivono articoli su articoli e perfino i sempiterni siti di sbufalatori, anch’essi notoriamente mossi da nobile spirito filantropico, che inarcano il sopracciglio con sdegnosa pedanteria per criticare, ridicolizzare e screditare altri scienziati che ne documentano, studi alla mano, il rischio per il consumo umano per diverse ragioni, ovviamente documentate (per esempio, la scarsa digeribilità della chitina o la presenza di parassiti, tossine, allergeni).

Siamo all’ennesima Finestra di Overton, una delle tante aperte in questi tre anni di colpo di stato globale. I padroni del mondo vogliono farci diventare mangiatori di insetti e non da ora. Per capire che non si tratta di un caso, basta fare qualche passo indietro. Nel 2013 la FAO, organismo dell’ONU per il cibo e l’agricoltura, pubblica un documento di 200 pagine[1], conclusivo di un percorso pluriennale di ricerca, intitolato “Insetti commestibili. Prospettive future per il cibo e per la sicurezza alimentare”. Già nel titolo e nella prima riga della premessa compaiono due concetti-chiave del linguaggio globalista e malthusiano che ben conosciamo: la presunta “sicurezza”, in questo caso alimentare, e l’ossessione per l’aumento della popolazione mondiale: “È largamente accettato che intorno al 2050 il mondo ospiterà 9 miliardi di persone. Per accogliere questo numero, l’attuale produzione di cibo dovrà almeno raddoppiare”. La ricetta fornita unisce il disprezzo per la plebe umana e il paternalismo tipico dell’élite che, intanto, pasteggia a caviale e champagne, senza dover rendere conto a nessuno dei suoi progetti insensati e liberticidi. La retorica (ingannevole) è sempre la stessa: “Non c’è alternativa” (solo per la plebe, naturalmente). Per la stesura del documento, la FAO collaborò con il Laboratorio di Entomologia dell’Università di Wageningen in Olanda, guarda a caso il primo Paese europeo a somministrare insetti ai bambini nelle mense scolastiche.

Certamente è vero che gli insetti costituiscono una fonte di cibo per numerose popolazioni da molto tempo. Ma, in primo luogo, non costituiscono né l’unica né la principale fonte di proteine, ma solo una varietà di cibo in una dieta molto più ricca e varia, e, in secondo luogo, nella scelta di ciò che è “buono da mangiare” hanno un ruolo fondamentale i fattori culturali. Secondo la teoria del foraggiamento ottimale dell’antropologo Marvin Harris, un cibo è pensato culturalmente come commestibile se è disponibile in grande quantità e se procurarselo costa meno calorie che mangiarlo. Gli insetti in Europa sono molto meno presenti che in altri continenti, sono dispendiosi da reperire e sono disponibili fonti alternative di proteine; questo spiegherebbe perché non sono tradizionalmente considerati cibo. Il rifiuto culturale di un alimento è accompagnato da disgusto, ma nel futuro mondo senza libertà e senza identità culturali tutto sarà possibile a chi avrà il monopolio delle risorse alimentari e potrà distribuirle secondo gli standard che preferisce. Come non accettare gli insetti, nuovo cibo per nuovi poveri, se l’alternativa sarà la fame per i più? Descrive bene questa situazione il film allegorico del regista coreano Bong Joon Ho “Snowpiercer”, uscito nel 2014. Da guardare.

Il problema del disgusto per l’entomofagia è infatti al centro delle preoccupazioni del World Economic Forum. In un articolo[2] del luglio 2021, in piena pandemia, che inizia con la frase rituale “La popolazione mondiale raggiungerà i 9,7 miliardi entro il 2050” (proprio la stessa di prima!), viene spiegato che gli insetti sono fonte di proteine, sono salutari, sono prodotti in modo “sostenibile” (altra parola magica), sono un ottimo fertilizzante naturale, ma che il principale ostacolo al loro consumo alimentare sono le “idee preconcette” (a questo si riduce la cultura!). Due anni prima, sempre sul sito del WEF, uno psicologo, professore all’Università di Auckland, scriveva che il disgusto, pur avendo l’ovvia utilità di produrre avversione per cibi dannosi, presenta anche il limite di impedire l’adozione di “stili di vita più sostenibili” (ancora!), come mangiare fonti alternative di proteine o bere acqua riciclata (!). Il professor Consedine sa bene che la risposta del disgusto si forma nell’infanzia ed è difficile da modificare. Ma ha la soluzione: “le risposte che implicano idee culturalmente condizionate su ciò che è ‘naturale’ possono essere modificate con il tempo”. Basta presentare gli insetti o l’acqua riciclata come naturali… Con il tempo, l’opportuna campagna di “naturalizzazione” e “a little nudging”, una spintarella gentile (così si chiama la manipolazione comportamentale del popolo bue), avremo il risultato. Per capire che cos’è il nudging, basta guardare il documentario sulle mense scolastiche olandesi. La finestra di Overton scorrerà liscia fino all’ultima casella.

Intanto l’UE ha messo la riforma della produzione di cibo e la sicurezza alimentare fra le priorità del New Green Deal. E che cosa c’è di più sostenibile e sicuro degli insetti? L’obiettivo è «aumentare la disponibilità e la fonte di proteine ​​alternative come piante, microbi, marine e proteine ​​a base di insetti e sostituti della carne»L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, su richiesta della Commissione Europea ha espresso un parere scientifico e approvato l’uso alimentare dei vermi essiccati della farina come “nuovo cibo”, sulla base del Regolamento Europeo 2015/2283. Si possono utilizzare sotto forma di snack, farina o ingrediente da aggiungere nelle proprie ricette. Il 4 maggio 2021 gli Stati membri dell’UE, su proposta della Commissione, ne hanno autorizzato il consumo. Per questo li troviamo già sugli scaffali del supermercato. Il “Sole 24 ore” a maggio 2021 osservava che “Nel mondo il mercato degli insetti ha superato i 55 milioni di dollari nel 2017e secondo Global Market Insights progredirà fino a toccare i 710 milioni di dollari a valore nel 2024. L’Ipiff stima che ogni anno in Europa siano prodotte più di 6mila tonnellate di proteine di insetti e le previsioni al 2030 sono di 3 milioni di tonnellate, con un potenziale di crescita compreso in un range tra i due e i cinque 5 milioni di tonnellate l’anno”.

Molte altre specie di insetti sono sotto esame da parte dell’EFSA. Perciò dobbiamo aspettarci un incremento esponenziale di spot, articoli scientifici, programmi televisivi, testimonial famosi che ci inonderanno di informazioni su quanto sono buoni, sani, naturali, ecosostenibili ed equi gli insetti e l’acqua sporca e su quanto siamo buoni noi a proteggere il pianeta mangiandoli. La psicologia verrà di nuovo messa al servizio della nuova causa e di spintarella in spintarella sarà messa a rischio di estinzione la straordinaria cultura alimentare del nostro Paese. Del resto, non era il Rapporto[3] True Cost of Food” della Fondazione Rockefeller a indicare che la colpa del danno ambientale è degli agricoltori familiari tradizionali e che il rimedio sono i prodotti OGM con il loro seguito di veleni?

“L’uomo è ciò che mangia”, scriveva nell’Ottocento il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Ciò che mangiamo ha un effetto sulla nostra psiche e sulla nostra anima. Sarà un cattivo pensiero, ma poiché non c’è alcuna necessità di mangiare insetti o di bere acqua dal trattamento di urina e feci, verrebbe da dire che cambiare il cuore e l’anima umani, per degradarli al livello più basso del mondo vivente, sia l’obiettivo finale. Un obiettivo in linea con la visione distopica della società umana ridotta ad alveare o a sciame come quella anonima degli insetti, senza individualità, senza libertà, schiacciata con la fame sotto un controllo totalitario senza scampo, senza dignità e senz’anima. Non è solo questione di proteine. Bisogna resistere.

[1] AA. VV., Edible insects: future prospects for food and feed security, FAO FORESTRY PAPER 171, Rome 2013.

[2] Why we need to give insects the role they deserve in our food systems

[3] True Cost of Food: Measuring What Matters to Transform the US Food System.

Articolo pubblicato su Sovranità Popolare, n° 5, anno 4°, dicembre 2022.

Disponibile online: https://www.sovranitapopolare.org/2023/01/05/insetti-e-larve-e-la-dieta-mediterranea/