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Ce lo chiede l’Europa? Le politiche scolastiche e la Costituzione neoliberista

Dopo aver analizzato la fondamentale ispirazione neoliberista della legge sulla Buona Scuola (La perversione neoliberista e la legge della “Buona Scuola”), occorre ora comprendere da dove arrivi questa impostazione ideologica.

Sarebbe un errore pensare che la curvatura in senso neoliberista impressa alla scuola italiana negli ultimi 20 anni sia una scelta autonoma dei politici nazionali. È certamente una loro responsabilità ed un effetto della loro ignavia, ma l’origine della scuola neoliberista è da ricercarsi nel modello di Europa che è stato realizzato a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso. Nei trattati europei – il Trattato sull’Unione europea (TUE), del 1986, confluito nel Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), del 2007 – non si parla di una politica europea dell’istruzione. L’Articolo 165 del TFUE (ex articolo 149 del TCE) afferma al comma 1:

L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche.

Non si parla, cioè di un indirizzo comune fra gli Stati europei, ma di una generica collaborazione fra Stati con completa autonomia in materia di istruzione. L’idea di imprimere una direzione comune alle politiche scolastiche matura al di fuori delle istituzioni europee, in alcuni circoli privati di industriali.

Se si vuole situare la nascita di una politica comune in Europa non è alla Commissione europea, al Consiglio dei ministri e ancora meno al Parlamento europeo che dobbiamo guardare quanto, piuttosto, alla potente lobby padronale della Tavola Rotonda Europea degli industriali (ERT). Creato nel 1983, questo gruppo di pressione riunisce una quarantina tra i più potenti dirigenti industriali europei, come Peter Brabeck (Nestlé), Paolo Fresco (Fiat), Leif Johansson (Volvo), Thomas Middelhoff (Bertelsmann), Peter Sutherland (BP) o Jürgen Weber (Lufthansa). Il loro lavoro comune consiste nell’analizzare le politiche europee nell’ambito dei diversi settori e nel formulare raccomandazione corrispondenti ai propri obiettivi strategici. Alla fine del 1989 un «gruppo di lavoro educazione» dell’ERT pubblica un rapporto intitolato «Educazione e competenza in Europa». Questo sarà il primo di una lunga serie di documenti ad affermare «l’importanza strategica vitale della formazione e dell’educazione per la competitività europea» e a perorare «un rinnovamento accelerato dei sistemi d’insegnamento e dei loro programmi».

In particolare vi si legge che «l’industria non ha che un’influenza molto debole sui programmi impartiti», e che gli insegnanti hanno «una comprensione insufficiente dell’ambiente economico, degli affari e della nozione di profitto», che «non comprendono i bisogni dell’industria» [ERT 1989]. Comunque, insiste la Tavola Rotonda, «competenza ed educazione sono fattori di riuscita vitali». In conclusione, la lobby padronale suggerisce di «moltiplicare i partenariati tra le scuole (e) le imprese». Invita gli industriali a «prender parte attiva allo sforzo educativo» e chiede ai responsabili politici «di coinvolgere le industrie nelle discussioni concernenti l’educazione» [ERT 1995].

La Tavola Rotonda rimprovera anche che «nella maggior parte d’Europa, le scuole (siano) integrate in un sistema pubblico centralizzato, gestito da una burocrazia che rallenta la loro evoluzione o le rende impermeabili alle domande di cambiamento provenienti dall’esterno» [ERT 1995]. I datori [di lavoro] reclamano dei lavoratori «autonomi, in grado di adattarsi ad un continuo cambiamento e di accettare senza posa nuove sfide» [ERT 1995].

[Nico Hirtt, L’Europa, la scuola e il profitto. Nascita di una politica educativa comune in Europa, http://www.edscuola.it/archivio/ped/europa_scuola_profitto.htm, traduzione di Paola Capozzi]

Troviamo qui la retorica che accompagnerà tutti i documenti europei successivi: la scuola è finalizzata all’economia e al lavoro, è al servizio dell’industria, coinvolge gli imprenditori nello sforzo educativo, è orientata alla competizione e al profitto, deve rinnovarsi velocemente, deve formare lavoratori autonomi e flessibili, sempre pronti ad adattarsi ai cambiamenti (senza gravare per la formazione sulle imprese) e impegnati nell’educazione permanente.

Un decennio dopo la creazione dell’ERT, nel 1992, il Trattato di Maastricht affida alla Commissione europea (organo non elettivo, ricordiamolo) il compito di delineare una politica europea dell’istruzione:

l’articolo 126 del Trattato di Maastricht accorda per la prima volta alla Commissione europea competenze in materia di insegnamento. A tal fine viene creata la DGXXII, la Direzione generale dell’Educazione, della Formazione e della Gioventù, diretta dalla socialista francese Edith Cresson. Si tratta di una sorta di «ministero» europeo dell’Educazione. Mme Cresson mette rapidamente in azione un «gruppo di riflessione sull’Educazione e la formazione» sotto l’egida del prof. Jean-Louis Reiffers. Dopo aver direttamente partecipato all’elaborazione del Libro Bianco «Insegnare e imparare: verso la società cognitiva», tale gruppo, nel 1996, esprime le proprie raccomandazioni. Si legge che «è adattandosi alle caratteristiche dell’impresa dell’anno 2000 che i sistemi d’educazione e di formazione potrebbero contribuire alla competitività europea e al mantenimento dell’occupazione.» [REIFFERS 1996]. (Ibid.)

La Commissione europea, insomma, mette nero su bianco le indicazioni degli industriali. Emergono continuamente come finalità dell’istruzione l’adattamento alle esigenze delle imprese, l’occupazione e la competitività. Nel 2000, a Lisbona, si esalta l’e-learning come nuova frontiera dell’insegnamento e si tracciano gli obiettivi economici della futura “società della conoscenza”:

L’idea madre, l’ideologia fondatrice di questa politica educativa comune, è riassunta come segue nella maggior parte di questi documenti: «l’Unione europea si trova di fronte ad una svolta formidabile indotta dalla mondializzazione e dalle sfide relative a una nuova economia fondata sulla conoscenza». Da quel momento l’insegnamento europeo deve piegarsi ad un «obiettivo strategico» principale: aiutare l’Europa a «diventare l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica duratura» [CCE 2001]. (Ibid.)

I cardini delle politiche europee (della Commissione, beninteso) per la scuola sono quindi perfettamente collocabili nel quadro dell’ideologia neoliberista: poiché tutta la realtà umana va guardata esclusivamente da una prospettiva economica, la competizione economica è il fine dell’istruzione. Appare quasi superfluo osservare che questo modo di intendere l’istruzione è lontanissimo dalla visione della scuola come organo costituzionale, che forma uomini e cittadini alla vita democratica e trasmette la cultura da una generazione all’altra, quale è delineata dalla Costituzione italiana del ‘48.

Il virus neoliberista penetra in ogni meandro del linguaggio dei documenti europei, contaminando alla radice tutto ciò che nella Costituzione parla di cultura, solidarietà, cooperazione, inclusione, partecipazione democratica, diritti, uguaglianza sostanziale.

Si parla di competenze professionali (nelle nuove tecnologie informatiche, nelle lingue, nello spirito d’impresa, nella pluridisciplinarietà) e sociali («fiducia in se stessi, indipendenza, attitudine ad assumersi rischi» CCE 2000-b), di formazione permanente (sviluppando le competenze di base e la capacità di imparare e facendo così risparmiare le imprese sulla formazione), di alfabetizzazione informatica ed e-learning, di deregolamentazione e decentramento dei sistemi di istruzione nazionali, per renderli “flessibili” e metterli in concorrenza fra loro, di partnerariato con le imprese («Gli istituti scolastici, i centri di formazione e le università dovrebbero essere aperti sul mondo: è opportuno assicurare i loro legami con l’ambiente locale, con le imprese e con i datori di lavoro in particolare, per migliorare la comprensione dei bisogni di questi ultimi e accrescere in questo modo l’occupabilità dei discenti» [CCE 2001]), di diversificazione dell’offerta, per venire incontro a bisogni diversi e «creare sistemi elastici di validità dei titoli» [Présidence du Conseil européen, 2000] (ovvero, indebolire il valore legale del titolo di studio, per aumentare la flessibilità e ridurre le tutele), di mobilità degli studenti, ottimo alibi per l’armonizzazione dei percorsi di studi e per un controllo europeo dell’insegnamento, di cittadinanza e impegno sociale (obiettivo che però poi tende ad indebolirsi nei documenti successivi) e di lotta all’esclusione, da attuare in tre modi: la sponsorizzazione delle scuole da parte di imprese, le convenzioni d’inserimento scuola-impresa (ecco lì l’alternanza scuola-lavoro), l’attuazione di tecnologie educative di punta [CCE 1995].

In un contesto di feroce competizione economica e di continua innovazione tecnologica, se la scuola è finalizzata all’impresa si producono due conseguenze: la prima è che diventano necessarie figure di professionisti ad alta specializzazione tecnologica, la seconda è che la precarizzazione del lavoro aumenta la richiesta di personale a bassa qualifica e con contratti a termine. Il mondo economico neoliberista richiede una scuola duale, nella quale gli estremi si allontanano sempre di più. Il dualismo formativo si accompagna alla terza conseguenza della competizione economica: la riduzione della spesa sociale come conseguenza della riduzione della pressione fiscale richiesta dalle imprese, per sostenerle nella competizione globale (“defiscalizzazione competitiva”). La scuola neoliberista è competitiva e ridotta all’essenziale e convive con una pluralità di enti privati che erogano formazione. Così anche l’insegnamento diventa un mercato e la deregulation coinvolge l’istruzione:

Per la Tavola Rotonda degli Industriali, « la resistenza naturale dell’insegnamento pubblico tradizionale dovrà essere superata attraverso l’utilizzo di metodi che combinano l’incoraggiamento, l’affermazione di obiettivi, l’orientamento verso l’utente e la concorrenza, soprattutto quella del settore privato » [ERT 1989]. (Ibid.)

Di qui l’insistenza sulle competenze, anziché sulle conoscenze e sulla cultura:

Lo scivolamento dei saperi verso le competenze è spiegato quindi non da un sussulto d’innovazione pedagogica, come si potrebbe ritenere, ma essenzialmente da una volontà di adeguamento della mano d’opera ad un ambiente di produzione caotico e dualizzato. Per quel 20-25% di manodopera che occuperà i posti a un livello molto alto di qualificazione, i saperi scolastici sono per lo più obsoleti. Per il 40- 50% dei posti a livello di qualificazione molto basso, sono superflui. Dal che la volontà di concentrare la formazione su quelle competenze di base comuni a tutti: lettura, scrittura, calcolo, alfabetizzazione informatica, adattabilità, capacità di risolvere problemi, competenze sociali, etc… (Ibid.; corsivo mio)

Ecco spiegato perché il governo Berlusconi, con la Ministra dell’Istruzione Letizia Moratti, si pose dal 2001 come obiettivi il ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’ambito dell’istruzione e la concorrenza fra scuola pubblica e privata; la riduzione della spesa per l’istruzione, diminuendo le risorse, il numero dei docenti, delle ore di scuola, in particolare il tempo prolungato e il tempo pieno; il mantenimento del sistema scolastico tradizionale, rigidamente costituito in ordinamenti separati (legge delega n.53 del 2003, solo parzialmente applicata per l’opposizione serrata dei docenti), con la scelta precoce della scuola superiore a 13 anni; la riduzione delle ore di lezione a 27 settimanali; il ritorno al maestro unico di ottocentesca memoria (tutor); l’anticipo della frequenza nella scuola d’infanzia; la progressiva sparizione del tempo pieno; nuovi programmi che, allegati alla legge, diventavano obbligatori, in palese contrasto con la norma, ancora vigente, sull’autonomia scolastica; la creazione di un sistema secondario duale, con la rigida separazione fra i licei, sotto il controllo dello Stato, e gli istituti tecnici e professionali, affidati alle Regioni (D. Lgs. n. 226 / 2005).

Ed ecco l’origine del patetico slogan di quegli anni, le tristemente famose “tre ‘i’” della Moratti: Inglese, Informatica e Impresa. In queste tre parole si sintetizza un intero programma politico europeo, imprigionato dalla retorica neoliberista, e la fine della scuola come organo costituzionale, produttrice di cultura, di cittadinanza democratica e di uguaglianza sostanziale di cui parlava il padre costituente Piero Calamandrei.

È lo stesso paradigma che porta qualche anno dopo il Ministro dell’Economia Tremonti e la Ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini (altro governo Berlusconi) ad una pseudo-riforma (legge 133/2008) che ha come unico criterio il massiccio de-finanziamento della scuola pubblica, già intrapreso da Letizia Moratti. Più che di una riforma, si tratta di una scientifica e draconiana amputazione della scuola pubblica a fini di bilancio e – meno dichiarato – di indebolimento del sistema pubblico di istruzione, che da allora agonizza in mezzo a ristrettezze infinite.

In pochi minuti di Consiglio dei ministri, nel luglio 2008 Tremonti ottiene senza battere ciglio 8 miliardi di euro di tagli alla scuola sui 40 del bilancio complessivo. Nessun comparto pubblico verrà devastato con altrettanta determinazione:

  • 87.000 insegnanti in meno (licenziati in tronco, perché precari), 44.000 ATA (amministrativi e bidelli) in meno, aumento del numero degli alunni per classe, con classi di 30-40 alunni, riduzione del numero di ore delle materie, taglio del tempo pieno e dei moduli alla scuola primaria (con conseguenze gravi soprattutto al Sud nelle terre di mafia), taglio dei laboratori ai tecnici e ai professionali, saturazione delle cattedre a orario pieno (con conseguente discontinuità didattica), aumento del precariato, blocco delle assunzioni per concorso e delle carriere dei docenti, revisione al ribasso dei programmi, con la neutralizzazione di ogni prospettiva critica e con l’indebolimento massiccio dello studio della storia;
  • ritorno alla scuola ottocentesca con il maestro unico nella scuola primaria, il ritorno dei voti numerici, abrogati nel 1977, e riordino della scuola superiore basato sulla Riforma Moratti, con la sua rigida separazione ordinamentale, ignorando i frutti positivi delle sperimentazioni degli anni ‘90;
  • riduzione drastica dei fondi alle scuole, che minaccia il principio di gratuità dell’istruzione (per sopravvivere, le scuole chiedono contributi sostanziosi alle famiglie).

Nonostante una fortissima protesta nel Paese, che raccoglie centinaia di movimenti spontanei di docenti, studenti e genitori, organizzazioni sindacali, prese di posizione politiche, la “riforma” viene condotta a termine senza alcun cedimento, con un atteggiamento autoritario e sprezzante che non ha eguali nella storia repubblicana. Gli effetti non tardano a farsi sentire:

  • l’autonomia scolastica viene fiaccata dalla mancanza di fondi;
  • vengono cancellate tutte le compresenze, utili per i progetti di recupero e integrazione scolastica;
  • il tempo pieno e la specializzazione dei docenti nei moduli, fiore all’occhiello della scuola primaria, vengono ridimensionati o cancellati (il tempo pieno praticamente sparisce al Sud), lasciando il posto al maestro solo e tuttologo (più che unico), allo spezzatino didattico (suddivisione di parti di orario fra diversi docenti per coprire i buchi di orario nelle classi), alle classi-pollaio, all’impossibilità di garantire il servizio di pre-scuola e a volte la stessa vigilanza degli alunni per carenza di bidelli;
  • l’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria cessa di essere affidato ai 9000 docenti specialisti con formazione specifica in Lingue, per essere assegnato alle docenti di classe dopo 30 ore di formazione;
  • gli istituti tecnici e professionali perdono gran parte delle ore di laboratorio;
  • i licei si vedono ridurre le ore di scuola; alcune materie, come la storia e la filosofia, vengono ridotte nel monte-ore, con modifiche alla distribuzione della materia nei cicli di scuola e nelle classi della secondaria superiore che rendono impossibile trattare il Novecento, che resta quindi solo sulla carta delle Indicazioni Nazionali;
  • le sperimentazioni più moderne, capaci di favorire un pensiero critico e complesso, come il Liceo delle Scienze sociali, vengono sostituite da percorsi di studio molto meno consistenti dal punto di vista culturale e svuotati di ogni potenziale critico, come avviene con il Liceo delle Scienze umane, che ripropone, con nome diverso ma eguale ideologia di fondo, il vecchio Istituto Magistrale di gentiliana memoria, una sorta di liceo femminile di serie B.

Nella cronica mancanza di fondi, le scuole vanno avanti di emergenza in emergenza, attingendo ai contributi semivolontari delle famiglie e al volontariato dei docenti, che continuano a fare le stesse cose di prima o gratis o con un compenso da caporalato di Stato.

Questo il quadro desolante nel quale si inserisce la Buona Scuola di Renzi a completare l’opera. La perversione ideologica che sostiene questa visione stravolta ed eversiva della scuola democratica consiste nello spacciare per positivo e vantaggioso proprio ciò che toglie alle future generazioni ogni speranza di riscatto umano e sociale.

L’ossessivo mantra della formazione per il lavoro, della competizione, della centralità delle nuove tecnologie (TIC), del cambiamento a tutti i costi, della partecipazione delle imprese nei programmi e nella didattica, per esempio attraverso l’alternanza scuola-lavoro e il finanziamento privato della scuola pubblica, del rinnovamento dei metodi di insegnamento a favore dello sviluppo delle competenze, dell’educazione permanente, rappresentano il belletto con il quale si maschera una realtà sociale data per scontata e immodificabile, fondata sul profitto ad ogni costo, sulla subalternità di ogni valore al denaro, sullo sfruttamento del lavoro, sul controllo delle coscienze, sull’addestramento di una manodopera docile e complice del proprio asservimento, sul furto di cultura e di identità, sull’impoverimento del sapere.

Negli anni, il mantra si ripete sempre uguale. Questo dice, per esempio, il Progetto dell’UE per la modernizzazione dell’istruzione superiore (COM/2011/567) del 2011:

L’insegnamento superiore incrementa il potenziale individuale e deve dotare i diplomati delle conoscenze e delle competenze trasferibili essenziali che consentiranno loro di riuscire ad ottenere posti altamente qualificati. Tuttavia, i programmi d’insegnamento reagiscono spesso con lentezza all’evoluzione delle esigenze dell’economia in generale e non riescono ad anticipare le carriere del futuro, né a contribuire a modellarle; i diplomati fanno fatica a trovare un impegno di qualità che sia conforme ai loro studi. Associare i datori di lavoro e le istituzioni del mercato del lavoro alla definizione e alla realizzazione dei programmi, sostenere gli scambi di personale e introdurre l’esperienza pratica nei corsi può aiutare ad adattare i programmi di studio alle necessità attuali e future del mercato del lavoro, favorendo l’occupabilità e lo spirito imprenditoriale. Un migliore controllo da parte degli istituti d’istruzione dei percorsi di carriera dei loro ex studenti può fornire importanti informazioni sull’elaborazione dei programmi e migliorare la loro pertinenza. (corsivo mio)
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:52011DC0567

Alla persona comune, può sembrare lodevole che la scuola fornisca competenze spendibili nel mercato del lavoro e diffonda l’uso delle tecnologie digitali, ma questa convinzione si fonda su un colossale inganno: un sapere funzionale all’economia perde infatti ogni funzione emancipante e priva gli studenti della creatività, del pensiero critico, del senso della propria libertà interiore e civile che rende possibile la consapevolezza, la ribellione e la costruzione di un mondo migliore. Alla lunga, mina il senso stesso dell’identità culturale di un popolo e produce lavoratori standardizzati, flessibili, senz’anima e disposti a consegnare le loro precarie esistenze ad una globalizzazione che segue unicamente la legge del mercato. Il nemico della scuola neoliberista non è l’ignoranza, ma la democrazia.

Il confronto fra il dettato costituzionale, che ci descrive il dover essere della scuola democratica, e l’implicita costituzione neoliberista, che invece è a fondamento della scuola reale, frutto del colpo di mano della burocrazia europea e degli industriali, sarà oggetto di ulteriore riflessione.

[continua]

La perversione neoliberista e la legge della “Buona Scuola”

“L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima”

(Margaret Thatcher, intervista a “The Sunday Times”, 1° maggio 1981)

Non credo faccia male riparlare ogni tanto di neoliberismo. Per quanto lo si evochi spesso nelle nostre discussioni politiche, è difficile coglierne subito tutte le profonde e sottili implicazioni. A livello di teorie economiche, sappiamo tutti all’incirca quali ne siano la storia e i princìpi fondamentali: nato in circoli accademici ristretti, lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano, la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago Friederich von Heyek e Milton Friedman, allievo di von Heyek, e ai loro allievi e collaboratori. Le sue applicazioni più note sono quelle di Augusto Pinochet in Cile, di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli USA.

Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) e ideale del mondo economico come di una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato, il neoliberismo, estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico, sociale all’egoistico perseguimento del profitto. Si tratta di un dogma che non ammette smentite, poiché l’idea della capacità dei mercati di autoregolarsi viene assunta come principale e indiscutibile legge dell’economia e qualunque fatto che la contraddica, quale la disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, l’arresto della crescita, viene attribuito dalla teoria esclusivamente all’insufficiente libertà del mercato.

Per autoconvalida, quindi, la ricetta è sempre “meno Stato, più mercato” (salvo quando, in modo contraddittorio, si chiede che lo Stato intervenga ad attuare politiche pro-cicliche di austerity o a proteggere il mercato interno dalla concorrenza estera, per esempio). In questo senso, la teoria accademica diventa, nelle mani dei politici e dei potentati economici internazionali, una ideologia totale, intendendo con questo termine una produzione intellettuale sostanzialmente falsa e inautentica, che mira a dare ordine alla società e ad orientarne l’evoluzione storica, che è incorreggibile e che pretende di essere universale e globale, ovvero di dire tutto l’essenziale sull’uomo, sotto qualunque cielo e in qualunque circostanza.

Le ricette neoliberiste in economia sono principalmente tre: deregulation (ovvero assenza di regole che limitino l’acquisizione di profitti e la circolazione dei capitali), privatizzazioni (sulla base dell’assioma che il privato è più efficiente del pubblico) e riduzione della spesa sociale, per evitare l’”inquinamento” dello Stato nel mondo perfetto dei mercati.

A questa visione discutibile e astratta dell’economia, strumentale allo spostamento di ricchezza dai poveri ai ricchi e responsabile dell’aggravarsi della diseguaglianza, della miseria e della disperazione, laddove essa è stata applicata in modo inflessibile (come spiega molto bene il premio Nobel Joseph Stiglitz nel saggio La globalizzazione e i suoi oppositori), si accompagna, nella realtà storica del processo di globalizzazione, anche e soprattutto una visione distorta dell’uomo e della vita, una vera e propria perversione antropologica, che si insinua nelle coscienze, nelle famiglie, nelle comunità e che distrugge in profondità la spontanea propensione umana alla cooperazione, all’altruismo e all’empatia.

In questa visione, esiste solo il singolo, che persegue avidamente e in modo aggressivo il suo utile egoistico; la vita è una lotta per la sopravvivenza nella quale emerge chi vince nell’incessante competizione per l’accaparramento di beni finiti; l’altro essere umano è una minaccia costante al proprio benessere; il valore di ogni relazione ed esperienza umana si misura con il denaro ed è quantificabile in termini economici; non esistono limiti etici al diritto di trarre profitto dalle proprie attività, visto che per sgocciolamento (trickle down) la ricchezza accumulata dai vincenti porterà comunque benessere a tutti; lo Stato che spende per i servizi sociali è vizioso e il debito pubblico è una sorta di peccato originale che richiede un’espiazione collettiva; i mercati sono l’unico Dio a cui essere sottomessi, senza remissione; la propria felicità si persegue a danno della felicità altrui: mors tua, vita mea, in un eterno gioco a somma zero, in cui la miseria e la sofferenza prodotte sono un male necessario per consentire la crescita indefinita, unico fine dell’attività economica.

Questa deriva ideologica del neoliberismo è ben riassunta dal famoso aforisma di Margaret Thatcher: “Non esiste una cosa chiamata società, ci sono solo individui e famiglie”. Le idee di vita associata, di solidarietà sociale e di beni comuni e inalienabili sono estranee a questa visione del mondo. Tutto è quantificabile, alienabile e privatizzabile; tutto è subordinato al perseguimento dell’interesse privato e lo Stato non ha alcun ruolo nel mediare fra interessi contrapposti, anche quando i costi umani sono altissimi.

Si dice, con una certa ragionevolezza, che il neoliberismo come dottrina accademica non implichi tutte queste sovrastrutture ideologiche e che Von Heyek, Friedman e colleghi non erano così dogmatici. In effetti, qui non stiamo parlando delle teorie economiche in quanto tali, ma del modello di essere umano che esse sottendono, più o meno implicitamente, e che guida la conseguente azione politica. Stiamo parlando cioè di un fenomeno di egemonia culturale, nel senso descritto da Antonio Gramsci, ovvero di un pensiero che diventa dominante in un momento storico e consente ai gruppi al potere di esercitare una forma di controllo sulle persone, grazie al fatto che esso viene assunto nelle pratiche sociali, diffuso costantemente e interiorizzato. Questo pensiero egemonico sostituisce una visione del mondo ad un’altra e colonizza le menti, rendendo difficile uscire dal frame, dallo schema interpretativo imposto.

Per averne un saggio, basti leggere una riflessione di Gary Becker, l’allievo di Friedman che coniò l’espressione capitale umano (anch’essa pregna di questa ideologia):

Per la maggior parte dei genitori, i figli sono una fonte di reddito psicologico, o di soddisfazione. Pertanto, nella terminologia economica, essi si possono considerare un bene di consumo. I figli possono anche fornire reddito, ed in qualche caso sono anche un bene produttivo. Inoltre, né le spese né il reddito prodotto dai figli sono fissi, ma variano a seconda della loro età. Questa caratteristica fa dei figli un bene durevole, sia produttivo che di consumo. Può sembrare eccessivo, artificiale, forse anche immorale classificare i figli alla stregua di automobili, case o macchinari. Questa classificazione però non implica che le soddisfazioni o i costi associati ai figli siano gli stessi, da un punto di vista morale, di quelli che corrispondono ad altri beni durevoli).

[da G.S. Becker, L’approccio economico al comportamento umano, Bologna, il Mulino, 1998 (ed orig. 1960), p. 37]

I figli visti come beni di consumo o, peggio ancora, come bene produttivo, rappresentano adeguatamente il livello di stravolgimento assiologico di questo discorso: invece di essere funzionale alla vita, l’economia la fagocita e ne inscatola con cinica indifferenza l’infinita ricchezza in una serie di anonimi contenitori tutti uguali e misurabili, che si chiamano “beni di consumo” o “beni produttivi”. In questo delirio di onnipotenza, i legami familiari, i sentimenti, le aspirazioni, i destini di individui e popoli diventano la variabile dipendente delle leggi naturali del mercato, concepite come fisse e immodificabili, come un Fato di fronte al quale si può solo chinare la testa, con pia rassegnazione.

Non ci rendiamo sempre conto di quanto abbiamo finito per considerare normale questa maligna distorsione della realtà sub specie oeconomica, che rende pensabile l’impensabile, attraverso l’apparente neutralità del linguaggio scientifico. Finiamo con l’abituarci al fatto che in molte aree del mondo esistano bambini-schiavi, bambini-soldato, bambini-oggetto sessuale (che sono senz’altro “beni produttivi”) o al fatto che le famiglie possano essere disgregate senza riserve, perché prima vengono le esigenze produttive, quando i genitori devono accettare un posto di lavoro sempre più precario in luoghi diversi e lontani fra loro, quando devono lavorare oltre l’orario per non perdere il posto, quando l’azienda delocalizza l’attività; oppure ci diventa familiare il fatto che i bambini, sempre più soli, vengano tenuti buoni lasciandoli incollati molte ore al giorno ai loro costosi schermi digitali, che li rendono dipendenti e rubano loro esperienze ben più vitali; o ancora, riusciamo a trovare accettabili le ricette neoliberiste per la scuola, espresse in una neolingua economica dalla quale vengono espulsi la vita, la bellezza, la conoscenza, la relazione profonda e la crescita umana.

Su quest’ultimo aspetto mi voglio soffermare qui. Ci sembra ormai normale parlare di dirigenti scolastici (come in azienda), anziché di presidi; di debiti e crediti formativi, di offerta formativa, di successo formativo, di piani e pianificazione, di innovazione e imprenditorialità, di competenze intese non nel senso etimologico di un sapere a cui si aspira condividendo esperienza (cum + petere), ma come il bagaglio di strumenti per competere alla pari sul mercato (to compete), da certificare (altra parola della neolingua) e da misurare con test oggettivi e standardizzati (si ricordi il Portfolio delle competenze della Ministra Moratti, fulgido esempio di lessico aziendalista).

La Buona Scuola di Renzi è un concentrato di ideologia neoliberista, in cui tutto è finalizzato a trasformare la scuola in un’azienda, i docenti in passivi impiegati privi di autonomia professionale e costantemente sotto ricatto economico e psicologico, gli studenti in docili schiavi da addestrare per le esigenze del mondo del lavoro, ma privi di creatività e di senso critico, in cui il tempo-scuola – sempre più ridotto dal 2008 in poi, fino alla trovata dei licei quadriennali – è un tempo infarcito di attività accattivanti, ma prive di sostanza culturale, come il CLIL (ovvero l’insegnamento di una materia in lingua straniera con didattica smart) o la didattica multimediale; dove il mondo del lavoro entra di prepotenza nella didattica, diventandone lo scopo, e arriva, con il nuovo esame di Stato, a valutare l’alunno al posto del docente per una parte cospicua del voto finale; dove infine gli enti certificatori esterni, come l’INVALSI, che entrerà anch’esso nella valutazione finale dello studente, sottraggono una bella fetta di autonomia didattica al docente, costringendolo all’aberrazione del teaching to test, cioè a sacrificare ulteriormente la filosofia, la matematica, la storia o la letteratura alla preparazione al test standardizzato.

Nell’orizzonte ideologico neoliberista, non esistono né l’uomo né il cittadino, ma solo il lavoratore e il consumatore, e la standardizzazione livella ogni differenza di personalità e di profili attitudinali individuali. Da quest’anno, entra nella valutazione finale in uscita dalla scuola primaria (a 10 anni!) una qualità comportamentale che si chiama “Spirito di iniziativa ed imprenditorialità” (Decreto Legislativo 62/2017, art. 2. Valutazione nel primo ciclo). Tanto per chiarire subito qual è il fine.

Un bambino che cresce intossicato da questa visione del mondo è pronto ad accettare qualunque lesione ai propri diritti, a considerare normale l’egoismo e naturale competere con gli altri, a dare per scontata la “durezza del vivere” che è il prezzo della crescita, a considerare il lavoro, anziché la propria emancipazione personale e civile come scopo dello studio, a non fare mai domande, poiché tutto è già pianificato, predisposto e certificato, ogni conoscenza è misurabile e quantificabile e ciò che esula dalla misura standardizzata (il pensiero critico, il gusto estetico, la creatività) non ha più posto nella sua formazione e nel suo portfolio delle competenze.

In questo modello di scuola, l’autonomia didattica del docente scompare, compressa dalla pressione ministeriale a conformarsi ai metodi via via imposti dall’alto come innovativi (come se fosse il metodo a garantire il contenuto), dalle attività scolastiche obbligatorie, come l’alternanza scuola-lavoro, che sottraggono tempo alla didattica, dall’influenza dei datori di lavoro che valutano gli studenti, dai vincoli dell’INVALSI, dalla valutazione meritocratica (ovvero dalle conseguenze economiche) dei suoi risultati quantificabili con il “successo formativo” degli allievi, dall’ingerenza dei privati nel finanziamento e nella gestione degli istituti, dalla ragnatela degli obiettivi delle reti di scuole e dei PTOF, a cui ci si deve attenere.

E poiché, come dice il piano del governo, “le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola”, intervengono le risorse private che “possono contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo” (pag. 8). Vale la pena seguire l’intera argomentazione del documento ministeriale (corsivi miei):

Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola. Stiamo parlando della più grande e preziosa rete pubblica del Paese, ma anche di un cantiere sempre aperto, che richiede costante cura e aggiornamento. La scuola è una frontiera mobile: se pensiamo alle sfide della competizione globale, al dinamismo di una società sempre più multiculturale, alla rapidità del cambiamento tecnologico, capiamo subito le esigenze di una continua sperimentazione educativa. Vale per la scuola quanto è ormai ovvio per moltissimi altri ambiti, a partire dalla ricerca: sommare risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere. Non c’è quindi nulla da temere dall’idea che, a certe condizioni, risorse private possano contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo. A maggior ragione se ne giustifichiamo lo sforzo creando una visione comune in cui credere convintamente tutti, come cittadini. Per funzionare, questo investimento collettivo deve essere apertamente incentivato. Anzitutto per le scuole deve essere facile, facilissimo ricevere risorse. La costituzione in una Fondazione, o in un ente con autonomia patrimoniale, per la gestione di risorse provenienti dall’esterno, deve essere priva di appesantimenti burocratici.

La scuola, in questa prospettiva, deve attrezzarsi alla competizione globale (data come indiscutibile), essere in continua sperimentazione (come se fosse sempre in funzione di esigenze esterne a sé e priva di riferimenti culturali), accogliere senza storie e senza controlli finanziamenti privati (con le relative pressioni esterne), diventare un investimento collettivo (ma i soggetti di questo “noi” non sono precisati e sono facilmente individuabili nei capitali privati) e diventare una Fondazione.

Eccolo lì, il punto-chiave, quello su cui pochissimo si è detto ai cittadini: la scuola-fondazione NON è la scuola pubblica della Costituzione, NON forma uomini e cittadini, ma lavoratori già pronti a entrare velocemente e senza diritti nel mondo del lavoro, NON colma le disuguaglianze sociali, ma le accentua, rendendole territoriali, NON rilascia titoli con valore legale, ma certificazioni di competenze, abbandonando i singoli alla leggi spietate del mercato, NON educa, ma si limita ad istruire secondo la volontà di chi la finanzia. Ritroviamo qui per intero il Verbo neoliberista: deregolamentare, privatizzare e tagliare servizi pubblici con la scusa del debito pubblico e della carenza di fondi, unica realtà immodificabile. L’autonomia scolastica, nata per superare il centralismo burocratico della scuola statale, con una mutazione genetica diventa la solitudine darwiniana della scuola, che deve mantenersi a galla nella lotta per la sopravvivenza escogitando sempre nuovi modi per attrarre finanziamenti, perdendo ogni reale autonomia e diventando privata nella sostanza.

Questo è un tradimento del compito educativo della scuola ed è un violento assalto ai valori sui quali si fonda la scuola della Costituzione. Ma ne riparleremo nel prossimo articolo, cercando di vedere quali azioni concrete si possono mettere in atto per contrastare questa deriva apparentemente inarrestabile.

[continua]

Violenza in classe: come ci siamo arrivati?

Il mestiere di docente non è mai stato così pericoloso. L’escalation di aggressioni e offese agli insegnanti da parte di studenti e genitori sta facendo emergere il disagio profondo in cui versano la scuola e la società intera.

In queste settimane, si sprecano riflessioni e commenti da parte di pedagogisti, psicologi, sociologi, giornalisti, filosofi ed esperti di ogni genere. In particolare, l’associazione fra violenza e basso livello di istruzione proposta da Michele Serra su Repubblica ha suscitato discussioni a non finire.

Come tutti i fenomeni sociali, anche la violenza a scuola è un fenomeno plurideterminato. Lungi dal voler esaurire le cause possibili del degrado del clima educativo in classe, proverei comunque a indagare su alcune condizioni che lo favoriscono, partendo da quelle più immediate.

Michele Serra non ha tutti i torti quando collega la violenza alle scuole tecnico-professionali e al basso livello socio-culturale delle famiglie d’origine, perché – anche se può non piacere a molte anime belle – è drammaticamente confermato dalle ricerche sociologiche che l’utenza degli istituti tecnici e professionali è correlata a voti più bassi in uscita dalla scuola media, rispetto a quella dei licei, e questi, a loro volta, sono correlati allo status socio-culturale più basso delle famiglie di origine. Anche se non certo in via esclusiva, molti degli episodi narrati dai media hanno avuto come contesto istituti tecnico-professionali. Può darsi che il rapporto con i docenti sia più difficile nelle famiglie dove l’istruzione gode di minor considerazione o dove il disagio socio-economico si fa sentire di più.

Tuttavia, una spiegazione di questo tipo appare assai parziale e soprattutto astratta.

Una ragione più immediata del disagio è che, nelle scuole “razionalizzate” (ovvero “amputate”) dalle riforme degli ultimi vent’anni, ci sono troppi alunni per classe, insegnanti molto soli e demotivati, troppo anziani, non abbastanza formati e non abbastanza sostenuti nella fatica di ogni giorno; c’è una pressione costante a nascondere la dispersione scolastica e lo scadimento costante del livello degli apprendimenti dietro al buonismo obbligatorio delle promozioni regalate anche a fronte di gravi lacune; c’è un taglio progressivo e drammatico delle ore di lezione e dei contenuti; c’è la mancanza di un autentico e lungimirante spirito riformatore, che faccia della scuola un luogo di produzione di sapere e di cultura, vero cuore pulsante del Paese e oggetto di cura e attenzione da parte delle Istituzioni e dei cittadini.

Ad un livello più profondo, c’è l’abdicazione dei genitori al loro ruolo educativo e la completa delega alla scuola della responsabilità di dire di no ai pargoli superprotetti e nel contempo la svalutazione e il discredito del ruolo educativo degli insegnanti, ai quali viene riservata la considerazione di cui godono dei proletari sottopagati, invece del prestigio di cui dovrebbero godere dei professionisti ai quali si affida il futuro delle nuove generazioni. Alla scuola si chiede continuamente di sopperire a tutte le lacune e ai mali profondi della società, senza però dotarla di mezzi, di competenze, di prestigio e di considerazione sociale. Se la scuola italiana ha retto tutto sommato miracolosamente fino ad ora, lo si deve allo spirito di abnegazione di quegli insegnanti (non tutti, certamente) che tengono duro nonostante venga scavato loro ogni giorno il terreno sotto i piedi.

La fuga dalla responsabilità è il male sociale che ci affligge. A cominciare dal vertice, due decenni di cialtroneria politica, di zuffe mediatiche fondate sulla legge del più forte (quanto a volume di voce, non di argomenti), di demeritocrazia, ovvero di gestione delle cariche pubbliche pressoché totalmente svincolata dal merito, di autoreferenzialità della casta rispetto alle proprie scelte dannose, delle quali di fatto non si assume mai la responsabilità, hanno inciso profondamente sulla coscienza degli Italiani. Si è imbarbarito il linguaggio del dibattito pubblico e, per il notissimo principio dell’apprendimento per imitazione, la violenza verbale rappresentata ogni giorno nei media è stata sdoganata. Con quale autorevolezza possono insegnare ai ragazzi il rispetto, l’empatia, il dialogo democratico degli insegnanti continuamente vilipesi e disprezzati sui media come categoria di nullafacenti privilegiati, in una società che offre a tutti i livelli la tracotante indifferenza a questi valori? Come possono far apprezzare lo studio e il sapere, quando ogni giorno i modelli vincenti proposti dagli adulti sembrano prescindere dalla cultura, dalla competenza e dall’impegno?

A livello educativo, questa mancanza di responsabilità assume la forma di assenza di autorevolezza. I ragazzi, a tutte le età, hanno un bisogno assoluto di riferimenti autorevoli. Un adulto autorevole sa dare regole e controllare, ma sa anche ascoltare e proteggere quando serve. Sa prendersi la responsabilità di dire di no, senza essere un tiranno. I “no” aiutano a crescere e strutturano una personalità equilibrata, capace di sopportare le inevitabili frustrazioni della vita. Molti genitori (non tutti, per fortuna) non sembrano più in grado di offrire ai propri figli un modello di questo genere. Troppo faticoso, in una società dove il tempo da dedicare ai figli è scarso e dove spesso si è fagocitati dal lavoro e dalle preoccupazioni. È più facile lasciar perdere e salvare la pace familiare.

Purtroppo, a volte nemmeno gli insegnanti ci riescono. Insegnare non è un lavoro per tutti e con ragazzi che arrivano da famiglie così permissive o prive di struttura lo è ancora meno. Gli insegnanti tormentati dagli allievi non di rado sono deboli e poco autorevoli. È come se i ragazzi indirettamente chiedessero loro di far sentire da che parte sta il potere nella relazione educativa (che per sua natura deve essere asimmetrica). A casa non lo imparano dagli adulti e di conseguenza non sanno che cosa sia la responsabilità; perciò vanno in escandescenze quando incontrano i primi ostacoli in classe. Per loro l’adulto non ha alcuna autorità; è un fratello maggiore al quale nulla è dovuto. Li conosco, questi genitori: sono quelli che arrivano infastiditi al colloquio con il docente quando il figlio prende un’insufficienza con l’argomento che il pargolo deve avere 6, perché non hanno tempo di occuparsene. Non sempre sono di bassa condizione sociale, anzi… La mancanza di riferimenti autorevoli produce principini narcisisti e onnipotenti, ai quali i genitori, schiacciati dal senso di colpa per la scarsa disponibilità verso i bisogni autentici dei figli, lasciano decidere tutto fin dalla tenera età. Fragili e privi di limiti, questi figli narcisi non vedono più in là dei confini del proprio ego e dei suoi impulsi immediati.

E veniamo a loro, ai ragazzi. Questi ragazzi (parlo degli adolescenti, perché ci lavoro insieme da oltre trent’anni) sono in molti casi soli. Passano troppo tempo sui dispositivi digitali (per parecchi lo smartphone è oggetto di un vero attaccamento affettivo) e da un’età troppo precoce, con tutti i danni che ne derivano e che sono stati illustrati molto bene dal neuropsichiatra Manfred Spitzer nel suo libro Demenza digitale (Ed.Corbaccio): dipendenza, danno da campi elettromagnetici, sottrazione di tempo alla lettura e all’interazione faccia a faccia, danni cognitivi, rischi per la privacy, aumento dell’aggressività (specie per l’utilizzo dei videogiochi) e diminuzione dell’empatia. Spesso le bravate a danno dei docenti raccontate sui giornali sono state pensate nella prospettiva della diffusione sui social network e nelle chat. Sono messe in scena per un pubblico di pari, in cambio di una fragile popolarità che li faccia sentire esistenti.

A questi ragazzi la scuola non dice molto e appare per lo più come una spiacevole interruzione delle loro attività digitali. La lettura è attività rara perfino al liceo. Il sapere appreso sui banchi appare vuoto e inutile e si aspettano la promozione per il solo fatto di andare a scuola. Questo non significa che la scuola debba inseguirli sul terreno tecnologico, ma che deve trasmettere e costruire con loro un sapere vitale, in grado di coinvolgerli. Perché possa riuscirci, occorrono insegnanti altamente selezionati e formati, dirigenti all’altezza, un’alleanza educativa con le famiglie, una maggiore considerazione del valore della scuola e del sapere a livello sociale (l’Italia, non dimentichiamolo, ha un numero enorme di analfabeti funzionali, circa il 70% della popolazione adulta), un senso di responsabilità condiviso. E così torniamo all’inizio. Siamo in un circolo vizioso.

Questa scuola povera, svuotata, imbelle e irrilevante è il risultato di due decenni di logoramento progressivo e sistematico, ad opera di tutti i governi. Invece di essere riformata, la scuola italiana è stata smantellata. Mentre gli altri comparti della Pubblica Amministrazione hanno subito tagli lineari del 2%, la scuola si è vista sottrarre il 20% delle risorse. È un miracolo che esista ancora, benché compromessa. Ma non è colpa della scuola se i ragazzi sono violenti e privi di autocontrollo. Semmai, sia l’istruzione pubblica piegata alle esigenze del mercato, per il quale contano più le competenze delle conoscenze e più il conformismo del senso critico, sia l’individualismo sfrenato e l’ignoranza arrogante e soddisfatta di sé diffuse in una società che sta perdendo i valori fondanti della solidarietà, del bene comune, dell’impegno e della cultura sono il frutto malato di quella vera perversione della natura umana che è l’ideologia neoliberista.

L’uomo è un essere intimamente sociale e predisposto all’empatia. Quando si insegna per decenni attraverso la parola e l’esempio che l’avversario è un nemico, che per affermare se stessi occorre competere, che i servizi pubblici sono uno spreco, che tutto si misura in termini economici, che con la cultura non si mangia e che i diritti sono sacrificabili sull’altare del profitto; quando si riduce l’istruzione al minimo, si riducono i salari e le tutele e si sdoganano a tutti i livelli la sopraffazione, l’arbitrio, la violazione delle regole, siamo di fronte ad una patologia individuale e sociale. I sociologi la chiamano “anomia”; gli psicologi possono scomodare etichette diagnostiche che vanno dal narcisismo alla psicopatia. Un popolo disgregato, al quale manca il senso di appartenenza ad una comunità, è facilmente manipolabile, oltre che infelice. Divide et impera, dividi e comanda.

E così, con gli adulti affannati nella sopravvivenza quotidiana, i figli trattati come polli in batteria a cui dare il meno possibile perché non pensino ad altro che ai propri bisogni immediati e i docenti privati di prestigio e di credibilità, come la cultura di cui sono obsoleti portatori, al posto di una democrazia partecipativa, fondata sulla consapevolezza dei diritti e sulla responsabilità, stiamo imboccando il tunnel di una democratura, fondata sulla rinuncia inconsapevole ai diritti e sull’irresponsabilità.

Non credo che se possa uscire né cambiando solo la scuola né limitandosi a punire gli studenti violenti. Certo, le azioni penalmente rilevanti vanno sanzionate anche penalmente. La responsabilità si impara pagando il prezzo delle proprie azioni; perciò l’indulgenza zuccherosa dei docenti e dei dirigenti che lasciano correre è deleteria almeno quanto il lassismo o l’arroganza dei genitori mai cresciuti che ne sono la causa prossima.

Per uscire da un degrado così profondo, occorre guarire la malattia che lo ha provocato. Servono un futuro da costruire (questi ragazzi non ce l’hanno), la scoperta di un senso nella vita e un vero salto evolutivo della coscienza. Viviamo in mondo inquinato sul piano fisico da infinite sostanze tossiche, sul piano mentale da pensieri fuorvianti e dalla distrazione di massa, sul piano spirituale dalle catene della dipendenza dall’avere. Ci servono un paradigma diverso da quello neoliberista e un nuovo umanesimo, pragmatico, ma fondato sulla cooperazione e sull’empatia. Non sembra davvero facile, dato il livello del disfacimento sociale, ma nemmeno impossibile. Accanto ad una minoranza di ragazzi violenti e maleducati (ed anche fra loro) ci sono molti coetanei pieni di energie che devono solo trovare uno sbocco costruttivo. A questi uomini di domani servono uno scopo e dei maestri, altrimenti avranno solo dei capi-branco e dei dittatori. Siamo in grado di offrirglieli?

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte quinta]

Continuo con l’ultima parte l’articolo di sintesi sulle posizioni in campo riguardo all’obbligo vaccinale, dopo la parte terza e quarta, esaminando gli ultimi tre punti del dibattito.

7. I vaccini sono efficaci? E lo sono tutti allo stesso modo o alcuni più di altri?

COE e TOL. Certamente sì. Sono la più grande invenzione della medicina da sempre. Hanno consentito e consentono di salvare ogni giorno milioni di vite. È solo grazie ad essi che molte patologie sono praticamente scomparse, che non si vedono più bambini nel polmone artificiale, che la salute della popolazione è migliorata. Sono così efficaci da essere vittime del loro stesso successo. La diminuzione delle epidemie ha fatto perdere di vista che, in assenza dei vaccini, tornerebbero ad aggirarsi per l’Europa malattie ormai scomparse, come la difterite e la poliomielite e il morbillo farebbe danni gravissimi.

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LIB. È possibile che le vaccinazioni abbiano contribuito a ridurre quasi a zero molte patologie, ma è un dato di fatto storico che l’incidenza delle malattie – di tutte, sia quelle coperte da vaccinazione sia quelle non coperte, come la TBC, la malaria, la febbre tifoide, il morbillo, la pertosse – era in costante diminuzione già decenni prima che venissero introdotte le vaccinazioni da massa e la mortalità per tali patologie era praticamente a zero quando furono introdotti i vaccini. Basta guardare i grafici di ISTAT e UNICEF. Si guardi la mortalità per morbillo e si ricordi che il vaccino fu introdotto in Italia nel 1976 e raccomandato dal 1979. Poi si guardi il grafico sui casi di morbillo costruito con i dati ISTAT. Certamente il vaccino del morbillo non ha salvato milioni di vite, almeno in Europa, come sostiene con enfasi, ma senza prove, la propaganda sanitaria.

Viene davvero difficile indicare queste ultime come l’unico fattore causale in gioco né viene mai fornita la prova di questa affermazione. La semplice coincidenza temporale non è certo una prova. Il ruolo delle vaccinazioni è stato sovrastimato, a scapito di altri fattori più significativi.

In alcuni casi particolari, come quello della polio, poi, il cambiamento – mai segnalato nei grafici ad uso del popolo – dei criteri diagnostici ufficiali in senso restrittivo prima nel 1955 e poi nel 1959 – ha di fatto conteggiato come polio solo una piccola parte delle patologie che precedentemente erano chiamate così. Per forza i casi sono diminuiti in fretta proprio nel 1959! Si tratta di una diminuzione semantica e non reale, come diceva il dottor Ratner, l’epidemiologo che nel 1960 conduceva un panel di esperti sulla vaccinazione Salk.

D’altra parte, un vaccino può aver successo nell’eradicare un virus, ma peggiorare il problema iniziale, come è successo in India, dove la campagna promossa da OMS e GAVI Alliance per l’eradicazione della poliomielite ha fatto scomparire il poliovirus, ma ha fatto aumentare a dismisura i casi di paralisi flaccida non polio, identica alla paralisi da poliovirus, ma due volte più letale, collegabile al numero di vaccinazioni (47.500 nuovi casi solo nel 2011 e 60.922 nel 2012, mentre nel 1994, prima del programma di eradicazione del virus, erano solo 4800 circa), caricando oltretutto costi enormi sull’India. Per capire quanto siano state efficaci le campagne vaccinali contro la poliomielite, occorre andare a fondo, senza accontentarsi degli slogan superficiali. Il governo indiano ha deciso alla fine di tagliare i ponti con la Fondazione Bill e Melinda Gates (fra i principali promotori delle vaccinazioni di massa) per la constatata inefficacia delle vaccinazioni proposte (pentavalente) e per il loro carattere sperimentale, che ha prodotto centinaia di morti. Appare un capitolo a sé, infatti, l’uso dei vaccini nei Paesi in via di sviluppo, dove talvolta vengono sperimentati nuovi prodotti in modo irregolare, provocando danni e morti (come i 14 bambini morti in Argentina per un vaccino GSK).  Le multinazionali del farmaco hanno già collezionato lunghe serie di condanne per pratiche scorrette o illegali.

Comunque, l’efficacia dei vaccini è assai variabile. Una panoramica dei problemi connessi ai vaccini pediatrici, a cura del prof. Aldo Ferrara Massari, docente alla Facoltà di medicina di Siena, si può leggere qui. Il vaccino contro il morbillo è fra i più efficaci, ma non impedisce di sviluppare la malattia e di trasmetterla e non garantisce immunità permanente. “Secondo la FDA nel 1988, l’80% dei casi di morbillo erano di persone precedentemente vaccinate al morbillo. Stando ai dati ufficiali sulla tanto sbandierata (e inesistente) epidemia di morbillo in Italia nel 2017, il 12% dei casi si è verificato fra vaccinati  (colpendo soprattutto gli adulti, con il 74% dei casi sopra i 15 anni, e i neonati, come atteso in assenza di immunità naturale). Un recente studio, nel quale gli esami di laboratorio sono stati effettuati al CDC, dimostra la trasmissione del virus vaccinale da un soggetto vaccinato due volte ad altri soggetti vaccinati a New York.  In generale, “i dati ufficiali europei fanno pensare che le coperture vaccinali abbiano poca influenza sui casi di malattia… e ciò vale anche quando esse superano il fatidico valore del 95%” (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, p. 166).

I virus a RNA ricombinante, come quelli del morbillo, della parotite, della rosolia, del raffreddore, della rabbia e dell’epatite A hanno la caratteristica di mutare molto velocemente. Le vaccinazioni possono avere un effetto selettivo dei ceppi virali, spingendo verso lo sviluppo di ceppi più virulenti. In India, secondo quanto riferiscono alcuni scienziati, si è sviluppato un virus morbilloso mutato che non dà la malattia classica, ma attacca direttamente cervello, polmoni e reni con elevata mortalità. Secondo il prof. Tarro, sulla base di alcuni studi che indicano come, “dopo l’inizio delle vaccinazioni di massa con il vaccino MPR aumentano i casi di encefalite o encefalopatia (in media 1 caso ogni 5000 dosi di vaccino entro 3-6 mesi dalla vaccinazione) e di meningite asettica (in media un caso ogni 14.000 dosi di vaccino entro 3-5 settimane dalla vaccinazione)”, se negli anni 1960-80 venivano registrati nel nostro Paese circa 100.000 casi di morbillo naturale all’anno, negli anni 2000 ne avvenivano solo 500-600 l’anno. Però, se oggi, grazie alla bassa numerosità annuale, il morbillo naturale può causare un’encefalite ogni 3-4 anni e può uccidere un bambino ogni 65-80 anni, la somministrazione di due vaccinazioni antimorbillose a tutti i neonati italiani causa probabilmente cento encefaliti l’anno e causa la morte di circa cinque bambini l’anno (op. cit., p. 199).

Il vaccino contro la parotite è assai meno efficace e negli USA sono ormai numerosi i college (per esempio Harvard) dove la malattia (complicanze comprese) si è diffusa in popolazioni completamente vaccinate. Non per niente due ricercatori della Merck denunciarono nel 2010 la frode nei dati sull’efficacia del vaccino MPR dichiarati dall’azienda. Se si volesse verificare quanti vaccinati contro la polio negli anni ‘50-’60-’70 siano ancora protetti dal vaccino, secondo parecchi ricercatori ci sarebbero parecchie sorprese (altro che effetto gregge!); inoltre, i vaccini antipolio non impediscono affatto il contagio; alcuni soggetti risultano contagiosi decenni dopo la vaccinazione. Questo ovviamente stimola la furia vaccinista di chi vorrebbe tutti i cittadini continuamente sottoposti a richiami per ogni malattia possibile fino alla tomba, ma d’altra parte dimostra che, anche senza una copertura vaccinale elevata, le epidemie non si vedono in Europa, segno che non sono solo i vaccini ad impedirle. Il vaccino acellulare contro la pertosse non è molto efficace nell’impedire il contagio né la malattia, anzi “l’analisi di quasi 10.000 casi confermati in laboratorio in soggetti ≥3 mesi (Bolotin et al., 2015) ha mostrato che per il 77,6% erano completamente vaccinati (la copertura con ≥4 dosi di DTaP negli USA è circa dell’85% tra i 19 e i 35 mesi)” e “i vaccinati possono essere asintomatici e al tempo stesso portatori. Ciò potrebbe addirittura facilitare i contagi (Kilgore et al., 2016): un effetto “gregge” al contrario!” (P. Bellavite).  L’obbligo del vaccino antivaricella lascia perplessi, per le ragioni che hanno spinto a produrre il vaccino (contenere i costi ospedalieri) e per gli effetti indesiderabili che si porta dietro (rischio di morte 20 volte maggiore per gli adulti senza immunità naturale e un rischio di ospedalizzazione 10-15 volte maggiore rispetto ai bambini, nonché un aumento della morbosità per Herpes zoster o Fuoco di Sant’Antonio). Un discorso a parte merita il vaccino antinfluenzale, la cui utilità è assai dubbia, mentre la presenza di quantità rilevanti di mercurio lo rende almeno sospetto e renderebbe comunque contagiosi i vaccinati 6 volte più dei non vaccinati (ultimamente, alcuni lotti sono stati ritirati per morti sospette).

Senza entrare nel merito di ciascun vaccino, che in fondo non è compito nostro, diciamo che complessivamente la protezione non è garantita per tutti e non è permanente, rendendo vano il fantomatico obiettivo del 95% di soglia (arbitrario, come si è detto, e variabile per ogni vaccino), con qualunque livello di copertura vaccinale. Sarà per questo che molte ASL, disattendendo la legge, impediscono di fare gratuitamente gli esami sierologici per rilevare la presenza di immunizzazione naturale o vaccinale? Quanti casi di mancata immunizzazione si scoprirebbero? Tant’è vero, come si è detto, che l’eradicazione del morbillo, dichiarata vicinissima fin dagli anni ‘60, rappresenta come una sorta di Santo Graal sempre inseguito, ma irraggiungibile, nonostante soglie di copertura del 99-100%. Forse bisogna ammettere che non si riuscirà mai a sconfiggerlo. Lo dice il decano degli epidemiologi americani, fondatore del CDC, Alexander Langmuir, che definisce il morbillo una “infezione autolimitante di breve durata, di moderata gravità e bassa mortalità” : “A chi mi chiede: “Perché vuoi eradicare il morbillo?” rispondo con la stessa risposta che Edmund Hillary utilizzò quando gli chiesero perché voleva scalare il monte Everest: “Perché è lì”. Insomma, una questione di principio, non una necessità medica. E forse un pretesto per vaccinare all’infinito popolazioni sempre più estese. Un comunicato stampa dell’associazione medica ASSIS riassume questa posizione:

La migliore letteratura scientifica dimostra, però, che per molti vaccini non esistono prove di alcun ‘effetto gregge’, in particolare in riferimento a: tetano (non è nemmeno contagioso), difterite, pertosse, epatite B; vi sono dubbi su Haemophilus influenzae tipo B, parotite, varicella  e polio iniettivo.
Inoltre, la evocata soglia di copertura del 95% non ha basi scientifiche per tutti i vaccini  e comunque la copertura non è raggiungibile vaccinando solo i minori fino a 16 anni. Per quanto riguarda il morbillo, in particolare, ad oggi nessuna nazione lo ha eradicato  con il solo vaccino, pur avendo raggiunto coperture ben superiori al 95%.

D’altra parte, quando un professorone come il prof. Burioni cerca di dimostrare che i bambini vaccinati si ammalano meno di quelli vaccinati, incorre in infortuni scientifici come questi (non per niente il prof. Yehuda Schoenfeld, uno dei massimi esperti mondiali sulle malattie autoimmuni, che sostiene la relazione fra vaccini e autoimmunità in soggetti predisposti, ha 78.584 citazioni in riviste scientifiche, un i10-index di 1.146 e un indice H di 121 (fonte), mentre il Professor Roberto Burioni ha 2.567 citazioni, un i10-index di 61 e un indice H di 27 (fonte). Tanto per capire chi, secondo i criteri seguiti nel mondo scientifico, è considerato più autorevole  – anche se, ovviamente, costituisce fallacia ad personam fondare l’attendibilità di un argomento sull’autorità della fonte, come fanno i difensori della Scienza non democratica).

Un problema a parte è quello dei cosiddetti “bugiardini” dei vaccini, molti dei quali la scorsa estate sono stati modificati nelle indicazioni terapeutiche: per esempio, l’esavalente Hexyon, clinicamente testato fino a 24 mesi, come dichiarato dalla scheda tecnica dell’azienda, è stato esteso dall’AIFA senza ulteriori studi a soggetti di età superiore. Lo stesso è accaduto per altri preparati, usati nella vaccinazione obbligatoria, come l’Infanrix Hexa (36 mesi). In questo modo, i preparati vaccinali possono essere usati per fasce di soggetti molto più estese, ma senza alcuna contezza del rischio. Le spiegazioni date da AIFA appaiono insufficienti. Come si è già detto, si tratta di una violazione deontologica usare un farmaco per soggetti diversi da quello per i quali è stato approvato.

Oggi le vaccinazioni di massa stanno facendo sorgere molti dubbi sul futuro della salute pubblica. Pensare di eradicare tutte le malattie infettive con la vaccinazione, dal punto di vista scientifico ed epidemiologico è un mito alquanto utopistico, perché virus e batteri si adattano ai cambiamenti della società, spesso in modo inatteso. Così è avvenuto drammaticamente per gli antibiotici, il cui largo uso ha fatto emergere dei ceppi talmente resistenti da mettere in pericolo l’intero sistema sanitario. Per le vaccinazioni può avvenire qualcosa di simile, perché in pratica, non si sa ancora quali saranno le conseguenze a lungo termine sulla popolazione dei loro effetti quando vengono effettuate in modo massivo. Alcuni si pongono questa domanda: come mai negli ultimi decenni sono in continuo e preoccupante aumento molte malattie pediatriche, ma anche non pediatriche, in cui i meccanismi immunologici sono la causa principale, o comunque sono tra le cause principali? Come possiamo essere certi che la pratica generalizzata delle vaccinazioni, soprattutto in virtù del loro continuo aumento e della somministrazione di molti antigeni simultaneamente, non possa essere uno dei fattori coinvolti in queste patologie? Si dice che stanno tornando alcune malattie che si ritenevano eliminate: almeno in due casi (pertosse e simil-polio) si tratta, in alcune aree, di nuovi microorganismi verso cui i vaccini non coprono. Forse non consideriamo minimamente la possibilità che i vaccini, come gli antibiotici, possano contribuire a selezionare nuovi microorganismi. Una delle sfide principali dell’infettivologia sono i batteri multiresistenti: possiamo pensare che nel tempo si correrà lo stesso rischio con i vaccini? Alcuni casi, come già detto, sembrerebbero farlo pensare. Non basterebbe usare più cautela? (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, pp. 206-207).

RAD. Altro che efficaci! I vaccini sono dannosi e hanno causato più morti e danni di quanti ne abbiano evitati. Per fare un esempio fra i tanti, nel 2010 nel Regno Unito uscì un articolo che mostrava i dati ufficiali – largamente sottostimati – con un numero di morti e di danni gravi superiore a quelli della malattia. Dopo l’approvazione del decreto Lorenzin, in Italia a dicembre erano già 17 i bambini da 0 a 6 anni morti all’improvviso. Ora sono già una quarantina. Quanti di loro sono morti in conseguenza della vaccinazione? Qui si può leggere un elenco lunghissimo di bambini morti nel mondo in seguito a vaccinazione. Utilizzando i dati del VAERS (Vaccine Adverse Events Reporting System) statunitense, è stato calcolato che negli ultimi 20 anni negli USA sono morti per vaccini multipli 145.000 o più bambini. Come si fa a dire che le vaccinazioni di massa salvano vite umane? Si tratta di una colossale menzogna.

Questo è il prospetto preparato dal prof. Paolo Bellavite, autore del libro Vaccini sì, obblighi no. Le vaccinazioni pediatriche tra evidenze scientifiche e diritti previsti nella costituzione italiana, Cortina, 2017.

8. Perché radiare i medici dissenzienti?

COE. Perché sono degli irresponsabili che tradiscono la scienza. Sui vaccini c’è una verità incontrovertibile, certificata da un enorme corpus di ricerche peer reviewed e chi non si riferisce a tale verità non è un medico, ma un praticone e un ciarlatano, nonché una minaccia per la salute pubblica. Anzi, bisogna proprio fare in modo che chi critica i vaccini nel mondo medico venga isolato, degradato e radiato dall’Albo, perché rappresenta un pericolo per la scienza evidence based. I medici che sconsigliano i vaccini violano la deontologia professionale e vanno rimossi (parole di Walter Ricciardi, presidente dell’IIS).

TOL. I medici devono essere corretti nell’informare sui vaccini, ma ci possono essere casi in cui effettivamente il medico, in scienza e coscienza, può ritenere opportuno rinviare o evitare le vaccinazioni. Le situazioni individuali sono tante ed è conforme alla deontologia professionale la personalizzazione della cura. Inoltre, la radiazione dei medici critici limita la libertà di pensiero del professionista, al quale viene impedita una valutazione adeguata del singolo caso. La discussione va ricondotta all’ambito scientifico, non a quello disciplinare. Peraltro, il Ministro De Lorenzo, condannato per la tangente GSK per il vaccino antiepatite B, non fu radiato dall’Albo. Perché due pesi e due misure?

LIB e RAD. La radiazione di alcuni medici per aver legittimamente espresso dei dubbi sulla pratica vaccinale indiscriminata non ha nulla a che fare con una discussione scientifica, ma è una pura prova di forza. Un gruppo potente di medici sponsorizzati dalla politica e da Big Pharma vuole difendere con ogni mezzo il lucroso affare concordato a Washington nel 2014. Pur disponendo della propaganda a reti unificate e di media asserviti, vedono come una spina nel fianco i clinici seri, quelli che conoscono per esperienza quotidiana gli effetti delle vaccinazioni sui bambini e che sono perciò preoccupati. Di qui due politiche, il bastone e la carota: la radiazione di qualche medico più esposto consente di educarne cento, colpendone uno (gli altri saranno intimiditi e ridotti al silenzio); d’altra parte, i medici e i pediatri che si rendono collaborativi al piano vaccinale senza se e senza ma, e soprattutto senza scrupoli di coscienza, vengono premiati in denaro, coccolati e vezzeggiati. Tanto perché sia chiaro quale sia la linea giusta da tenere.

In questa oscena lotta di potere, il benessere e la salute dei bambini servono solo come pretesto per giustificarsi di fronte al popolo, che senza verificare si fida delle istituzioni politiche e sanitarie, anziché del proprio giudizio. È triste e penoso che la discussione scientifica, che si nutre di ricerca, di confronto metodologico, di critica, venga mortificata in questo modo. Ma è anche il segno che, sul piano scientifico, chi sostiene questa legge perversa non ha argomenti seri, capaci di reggere una discussione condotta con modalità appropriate. Il dottor Roberto Gava è stato radiato per obiezioni di questo genere.

Soprattutto, questa politica autoritaria mina alla radice la fiducia dell’utente rispetto al medico (come fa a fidarsi, se la sua decisione dipende da incentivi esterni e non dal bene del paziente?) e getta discredito sull’intera classe medica, umiliandone la libertà di pensiero e di espressione. Appare quindi ottusa e miope. In ogni caso, la Costituzione dichiara che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” (art. 33) e che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” (art. 21). Chi vuole zittire un collega per un’opinione scientifica e non per gravi azioni contrarie alla deontologia professionale sta compiendo un gravissimo abuso, che lo colloca al di fuori della democrazia e della scienza. Si tratta di una forma di repressione dittatoriale del dissenso e di censura del libero pensiero che deve essere energicamente contrastata. D’altra parte, un articolo di The Lancet pubblicato qualche mese fa, mostrava una preoccupante tendenza alla dittatura da parte dei medici, rispetto ad altri scienziati. Il linguaggio stesso dei documenti ufficiali tradisce una mentalità inquisitoria e talebana, che tratta il dissenso scientifico come un’eresia religiosa da punire: nel Piano nazionale Vaccini si parla infatti di “azioni di deterrenza e disciplina etica e professionale nei confronti dei medici e degli operatori infedeli che non raccomandano o sconsigliano la vaccinazione” (p. 49). Si possono leggere i toni incredibilmente coercitivi e sanzionatori del Piano Nazionale Vaccini 2017-2019 ed un commento critico, scritto da un infettivologo.

9. Qual è il ruolo della scienza medica in una società democratica?

COE. La scienza non è democratica. Nella scienza, la verità non si decide a maggioranza, ma in base alla competenza. Solo chi è medico può parlare di medicina, chi ne parla senza competenza specifica è un asino ragliante (Prof. Roberto Burioni). In ambito scientifico, sono gli esperti che sanno come stanno le cose e gli altri devono fidarsi di loro. Perciò sui vaccini la gente deve tacere e obbedire.

TOL. La scienza medica richiede competenza, ma questo non significa che nessuno oltre i medici possa parlare di salute. Ci vorrebbero toni più moderati. Il compito del medico è spiegare, persuadere, non costringere. Non è il suo compito.

LIB. La scienza è così democratica che ha in comune con la democrazia il fondamento, ovvero l’indagine critica, libera e aperta (J. Dewey). Identificare la democrazia con la volontà della maggioranza implica una visione assai misera di essa. Certo che nella scienza la verità non si decide a maggioranza e che uno solo può aver ragione contro tutti, ma appunto per questo non è lecita la repressione del dissenso, nessuno possiede la verità e ogni obiezione, anche proveniente da una persona non esperta, va vagliata con rigore metodologico, perché potrebbe essere vera. I primi a insultare, zittire e offendere indistintamente colleghi e profani sono proprio i professoroni talebani che si autolegittimano come unici depositari della Verità e che per ciò stesso sono al di fuori della scienza. La scienza non è un accumulo di dogmi, ma un insieme di verità provvisorie, destinate a sempre nuove revisioni. Nessuno ne è l’interprete autentico e definitivo. Siamo di fronte ad un arrogante e ottuso razzismo dell’intelligenza, che fa male alla scienza e alla democrazia.

Inoltre, in un dibattito come quello sui vaccini, nel quale viene posto come priorità di salute pubblica un problema minore, rispetto ad altre emergenze ben più gravi (si pensi all’inquinamento atmosferico, che in Italia nell’indifferenza generale causa ogni anno 59.500 morti premature in tutte le fasce di età dovute all’eccesso di pm 2,5, 3.300 dovute all’inquinamento da ozono e 21.600 a quello da diossido di azoto – altro che il morbillo!); nel quale vengono diffuse in modo sistematico falsità, mezze verità e plateali mistificazioni; nel quale sono presenti clamorosi conflitti di interessi e grandi interessi in gioco, a spese dei contribuenti, che secondo gli estensori della legge dovrebbero pagare e tacere, ci mancherebbe pure che Pantalone non avesse diritto di parola!

Senza controllo dal basso non c’è democrazia. Senza confronto delle opinioni non c’è democrazia. Chi prende decisioni politiche deve renderne conto ai cittadini. Ed è proprio ciò che non vediamo in questo scenario da fascismo sanitario: rifiuto del confronto e del dibattito con i mezzi e i metodi della scienza, rifiuto del dissenso senza motivazione, atteggiamento autoritario e liberticida nei confronti del cittadino. Già solo questo basta a far comprendere che qui la scienza non c’entra ed è solo una questione di potere. Ma chi sono questi tiranni in camice bianco che si permettono di imporre con tanta arroganza ai cittadini italiani di subire e di tacere? Quali altre ricette di bassa cucina ci stanno preparando? Non c’è niente di cui stare tranquilli, come osserva il dottor Fabio Franchi, che osserva l’analogia dei metodi di propaganda attuali con quelli – sinistri – di un passato che credevamo alle spalle. È in pericolo la democrazia. 

Poco tempo fa Richard Horton il direttore di Lancet, una delle più famose riviste scientifiche al mondo, ha scritto che fino alla metà dei cosiddetti “articoli scientifici” apparsi sulle riviste mediche accreditate potrebbe avere una base non scientifica. E ciò non solo a causa della poco ortodossia del metodo o della grandezza dei campioni utilizzati, ma anche per il flagrante conflitto di interessi che vige tra studiosi, medici e case farmaceutiche. (prof. Luca Fazzi).

…la valutazione degli esperti è che metà della letteratura scientifica sia falsa.
“La scienza – scrive nel 2015 l’ex direttore di «The Lancet» Richard Horton – sta andando verso l’oscurità”. La sua analisi è spietata: gli scienziati troppo spesso forgiano i dati per avvalorare una tesi precostituita. Oppure rivedono le ipotesi per adattarle ai dati. Anche le riviste meritano la loro parte di critica, mentre le università sono in una lotta costante alla ricerca di soldi e talenti”. John P.A. Joannidis, docente di politiche sanitarie e direttore del Centro prevenzione e ricerca all’Università di Stanford, ha pubblicato nel 2015 su “Plos Medicine” un articolo dal titolo emblematico: “Perché la maggior parte della ricerca è falsa”. Ancor più chiare le conclusioni: adottando una serie di criteri indice della veridicità di uno studio, “le simulazioni dimostrano che per la maggioranza degli studi è assai più probabile che una ricerca sia falsa piuttosto che veritiera”. (dott. Guido Giustetto, Presidente dell’Ordine dei Medici di Torino)

Nota conclusiva.

L’argomento è vastissimo ed è impossibile sintetizzarlo in poche righe. Lo sviluppo maggior riservato agli argomenti della posizione LIB è dovuto a due ragioni: la prima, è che si tratta della posizione più diffusa in Europa occidentale; la seconda è che in Italia sui media questi argomenti sono sottoposti a costante e feroce censura. Segno, peraltro, che sono scomodi, che non si è in grado di smentirli con metodo scientifico e che, se la gente li conoscesse meglio, potrebbe farsi un’opinione più critica e meno convenzionale della faccenda. Da ultimo, a livello di riflessione politica occorre rispondere alla domanda: quale politica vaccinale è compatibile con una visione progressista, social-liberale e democratica della salute? A questo dedicherò una riflessione di sintesi a parte.

“La storia insegna infatti che la tirannia più insidiosa […] è quella che acquista potere attraverso una serie di cedimenti progressivi da parte dei cittadini”. (George Orwell)

“Se non mettiamo la Libertà delle Cure mediche nella Costituzione, verrà il tempo in cui la medicina si organizzerà, piano piano e senza farsene accorgere, in una Dittatura nascosta. E il tentativo di limitare l’arte della medicina solo ad una classe di persone, e la negazione di uguali privilegi alle altre “arti”, rappresenterà la Bastiglia della scienza medica”. (Benjamin Rush, firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza USA – 17 Sett 1787)

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte quarta]

Un esempio di informazione fuorviante sui vaccini. Il denominatore è infatti diverso per i due tipi di dati, data la diversa numerosità della popolazione considerata. I vaccinati per anno sono molto più numerosi degli ammalati (da 100 a 500 volte). Si devono considerare perciò solo i casi in numero assoluto. Nella riga superiore, si parla del numero di encefaliti o di morti ogni mille ammalati (per il morbillo, vuol dire in cifra assoluta da 1 a 5 casi l’anno in Italia rispettivamente, a seconda del numero di casi/anno, che vanno da meno di 1000 a 5000 circa); nella riga inferiore, si parla solo di alcuni tipi di reazioni avverse, e non le più gravi (bisognerebbe infatti prima sapere quante sono – cosa che nessuno sa – e poi sommarle tutte), e per di più sul totale o quasi della popolazione vaccinata, che è costituita da milioni di individui (500 mila nati circa all’anno). Se al denominatore mettiamo 500 mila (i nati in un anno, pressoché tutti vaccinati), per sapere quante sono le reazioni avverse dobbiamo moltiplicare il numeratore delle convulsioni febbrili di almeno 125 volte (500mila/4mila) e quelli della trombocitemia transitoria per 12,5 volte (500mila/40mila). Cioè rispettivamente 125 e 12,5 casi/anno di bambini danneggiati in cifra assoluta, sommariamente. Moltiplicati per tutti gli anni della vaccinazione di massa, a parità di numero di vaccinati per anno. Sappiamo con certezza che il dato è grandemente sottostimato. Il Report della Regione Puglia quantifica gli effetti avversi gravi per l’MPRV sicuramente correlati al vaccino nel 3% dei vaccinati, ossia 30 mila su 1 milione (15mila su 500mila vaccinati) in 12 mesi.

Prosegue qui l’articolo L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte terza]. Dopo l’analisi delle prime tre questioni in campo, riprendiamo con altre tre.

4. Perché escludere dalla scuola d’infanzia e dall’asilo nido i bambini non vaccinati?

COE. Il vero fine della legge è consentire una riduzione dei pericoli per la propria salute a quegli studenti affetti da patologie che controindicano le vaccinazioni e che hanno nei compagni immunizzati l’unica barriera contro le infezioni. Poiché i bambini non vaccinati non forniscono tale barriera, è opportuno che stiano a casa. Anzi, nemmeno nei gradi superiori di scuola dovrebbero essere ammessi, per le stesse ragioni. I non vaccinati sono pericolosi.

TOL Francamente, si poteva anche soprassedere. I bambini frequentano molte persone e molti ambienti e non è certo la scuola l’unico nel quale si possono diffondere malattie. Poi, i bambini immunodepressi possono ammalarsi di qualunque cosa e purtroppo richiedono protezione continua.

LIB e RAD Questo argomento è un esempio evidente della malafede con la quale è stato affrontato il problema. È falso e criminale dire che i bambini non vaccinati siano pericolosi per i pochissimi bambini immunodepressi che frequentano le scuole. In realtà, i bambini non vaccinati sono mediamente più sani di quelli non vaccinati, come mostrano molte ricerche indipendenti e l’esperienza clinica di tanti medici scrupolosi (per esempio, i 120 che firmarono con Roberto Gava una lettera a Walter Ricciardi, presidente dell’ISS , ottenendo, per tanta eretica blasfemìa, l’immediata scomunica mediante radiazione dall’albo del primo firmatario), sempre osteggiate e attaccate dai ricercatori delle case farmaceutiche e dai centri di ricerca pubblici come il CDC americano (il Center for Desease Control, che si occupa di salute pubblica), che da 50 anni rifiutano di condurre studi comparativi seri fra vaccinati e non vaccinati (gli studi comparativi che vengono fatti in quei contesti sono infatti non di rado condotti in modo scorretto, confrontando gruppi di soggetti tutti vaccinati o aggiustando in modo acrobatico i dati in modo da ottenere il risultato desiderato o utilizzando campioni di grandezza molto diversa, quindi non confrontabili, quando non sono del tutto fraudolenti come quello di Thorsen sull’autismo richiamato più avanti, al punto 5). A portare nelle scuole i virus e i batteri sono infatti i bambini appena vaccinati, perché, come si è detto, la maggior parte dei vaccini è studiata per offrire protezione personale contro la malattia, non per impedire la circolazione dell’agente patogeno, che circola tanto fra i vaccinati che fra i non vaccinati. Ma di questo nessuno si preoccupa di avvisare i genitori (i foglietti illustrativi di alcuni vaccini raccomandano di tenere i bambini lontani da coetanei e donne incinte per parecchi giorni dopo l’inoculazione del vaccino), segno che la salute degli immunodepressi è un pretesto pietoso e peloso per una finalità diversa.

Escludere i bambini non vaccinati dall’asilo nido e dalla scuola d’infanzia, oltre ad essere un’odiosa discriminazione che viola almeno 3 o 4 principi costituzionali (come dice il Presidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena), è una forma di vergognoso ricatto per i genitori inadempienti, per costringerli a far vaccinare i figli. Punto. Niente più di questo. È criminale però che si trattino i bambini sani non vaccinati come degli untori. Lo Stato ha il dovere di proteggere questi piccoli cittadini dalla discriminazione, invece si è assistito a scene vergognose di espulsioni dalla scuola da cui erano già iscritti. E qui si vede la qualità morale e la bassezza politica di chi ha ideato questa legge. Roba da leggi razziali fasciste.

5. Esistono o no gli effetti avversi?

COE. Praticamente sono inesistenti e al più di lieve entità. Al massimo 3 o 4 negli ultimi vent’anni (dott. Alberto Villani, Presidente della Società Italiana di Pediatria). Generalmente i vaccini sono tollerati molto bene e non causano alcun disturbo; tuttavia possono provocare talvolta reazioni fastidiose, ma temporanee come rossore e gonfiore nel punto di inoculo, reazioni generali come febbre, agitazione o sonnolenza. Gli effetti collaterali più gravi, come lo shock anafilattico o alcune manifestazioni neurologiche, sono assolutamente eccezionali e certamente molto meno frequenti delle complicanze provocate dalla malattia stessa. Se compare un grave disturbo per es. neurologico dopo la vaccinazione, o peggio la morte, non dipende quasi certamente da essa, perché le vaccinazioni non hanno effetti così gravi e successione temporale non significa causalità. La letteratura scientifica è concorde sul fatto che i vaccini siano sicurissimi. Ci aveva provato quel dottor Wakefield a dire che il vaccino MPR (morbillo-parotite-rosolia) causa l’autismo, ma è stato sbugiardato da studi successivi, e meno male, perché molti genitori stavano smettendo di far vaccinare i figli con l’MPR. Si possono fare tutte le vaccinazioni che si vuole senza alcun danno. Sia nel caso dei militari che in quello dei bambini naturalmente vaccinati, le stimolazioni vaccinali non evidenziano scostamenti significativi dal resto della popolazione. Quindi, ricordiamo: non allergie, non malattie autoimmuni, non maggior frequenza di altre malattie in genere (Sen. Cattaneo, p. 40). Si può vaccinare tranquillamente un soggetto già immunizzato per via naturale. L’unico effetto che si produce ripetendo una vaccinazione in un soggetto immunizzato – e non c’è alcuna differenza tra immunità naturale da malattia e immunità da vaccino – è un aumento delle difese immunitarie (Sen. Fucksia, p. 15). È stato calcolato che potremmo vaccinare contemporaneamente in tutta sicurezza un bambino con diecimila vaccini, ma purtroppo ne abbiamo molti di meno. (prof. Burioni). 

TOL. Sono rari e normalmente non gravi. Però esistono senz’altro. Si tratta pur sempre di farmaci. Comunque bisognerebbe monitorare attentamente e invitare i genitori a segnalare qualunque anomalia essi ravvisino nei loro figli. Senza una sorveglianza efficace è difficile sapere quanti sono esattamente.

LIB e RAD. Come sempre, nelle dichiarazioni ufficiali, sul rapporto rischi-benefici, la bilancia ha una pietra dal lato dei benefici e una piuma dal lato dei rischi. La paura delle malattie coperte dai vaccini viene ingigantita, con una strategia ben collaudata (si veda questa presentazione del CDC, a pag. 8, in inglese e in italiano o questo poster del prof. Paolo Bonanni), così la gente non si mette a fare i conti e ad indagare, mentre viene taciuta l’informazione sugli effetti avversi. In realtà nessuno sa quanti siano realmente, perché non c’è alcun interesse a individuarli e la segnalazione viene spesso scoraggiata. Abbiamo solo delle stime, estremamente al ribasso.

Però nel 2018 è uscito in Italia uno studio ufficiale (uno dei pochissimi, ovviamente) di vaccinovigilanza attiva, ovvero di monitoraggio costante delle reazioni alla somministrazione della prima dose del vaccino MPRV per 12 mesi, condotto dalla Regione Puglia e relativo al 2017. Risultato: 40% di reazioni avverse al vaccino, 4% del totale quelle gravi, di cui i tre quarti sicuramente collegate al vaccino, in base ai parametri OMS. Un’enormità. E sono solo quelle che si presentano nei primi 12 mesi. Di quelle a lungo termine non si sa nulla. Vuol dire 3 su 100, ovvero 30.000 casi su un milione di bambini vaccinati. Altro che uno su un milione! Eppure, questi dati assai preoccupanti vengono collocati in fondo al Report (pp. 27 e seguenti), senza alcun commento, come se non avessero alcuna importanza. Nella presentazione che ne viene data su Quotidiano Sanità, appaiono completamente annacquati, con una procedura sconcertante, come si può verificare in questo articolo di analisi. E chi va a controllare con la calcolatrice in mano?

Sugli effetti avversi si possono fare diverse considerazioni: la prima, si evince dalla storia delle campagne vaccinali, che però non compare negli opuscoli ad uso del popolo. Quanti sanno, per esempio, che la vaccinazione Salk contro la poliomielite a metà anni ‘50 fu un disastro, perché il virus, rimasto vivo dopo un trattamento che doveva ucciderlo presso l’azienda Cutter (ma non solo questa), provocò moltissimi casi di poliomielite (220.000) nei bambini vaccinati, più di quanti ne avesse colpiti il virus selvaggio (lo dice Paul Offit, il più famoso dei pediatri americani “vaccinisti”: Paul Offit, MD, The Cutter Incident, Yale University Press, 2005, p. 86)? E che, sempre secondo Paul Offit, 70.000 di loro svilupparono debolezza muscolare, 164 andarono incontro a paralisi severa e 10 morirono? E che il 75% delle vittime dell’incidente Cutter rimasero paralizzati per il resto della loro vita? E che il governo americano autorizzò il vaccino, nonostante lo studio condotto in Michigan su oltre 1 milione di bambini avesse riscontrato un numero più elevato di casi di polio fra i vaccinati che fra i non vaccinati? E che si ritiene che l’87% dei casi di polio dal 1970 negli USA derivino dall’uso del vaccino antipolio (Sabin)? E quanti sanno che il poliovirus, endemico in molte zone del mondo e relativamente innocuo in condizioni normali, provoca paralisi in determinate situazioni di rischio, fra le quali le iniezioni, le vaccinazioni DTP (diferite-tetano-pertosse), la tonsillectomia (questo lo dice in un impeto di sincerità anche l’OMS)? Vuol dire che, in assenza di condizioni sfavorevoli, per lo più non fa danno. E quanti sanno che decine di milioni di dosi di vaccino Salk (e più tardi un certo numero di dosi di vaccino orale Sabin) fra gli anni 1955 e 1963 furono infettate con il virus SV40, un virus di scimmia che potrebbe essere la causa di migliaia di casi di mesotelioma pleurico, tumori al cervello, linfomi non-Hodgkin e osteosarcomi? E che il virus sembra possa essere diffuso non solo tramite vaccino, ma anche tramite infezione orizzontale?

La letteratura scientifica è concorde su tre aspetti: che l’SV40 è arrivato nell’uomo tramite il vaccino antipolio, che è stato trovato nei 4 tipi di tumori indicati e che i test fatti su animali di laboratorio con l’SV40 hanno mostrato il rapido sviluppo di questi 4 tipi di tumori. Si discute invece su quanto sia rilevante l’effetto cancerogeno sull’uomo. Nutrono ancora dei dubbi le autorità sanitarie statunitensi (CDC e NCI), ma esiste ormai una vasta letteratura al riguardo, anche in Italia. E che “sotto il profilo epidemiologico, in Italia i trends di mortalità per tumore della pleura sono raddoppiati negli ultimi 20 anni. In Europa è prevista, nei prossimi anni, una vera e propria epidemia: il numero totale di morti attese per tumori pleurici tra il 1995 e il 2029 è pari a 190.200, di cui 28.300 in Italia” (Fonte: DICIOTTO Notiziario Aziendale ULSS 18 di Rovigo anno 6 – n. 21 agosto 2000 pag. 22-23)?

Di questi argomenti così poco dotati di appeal al di fuori dei convegni medici non si sente parlare quando si magnifica la sicurezza dei vaccini. Sulla base dei dati ISTAT in Italia i morti complessivamente per poliovirus fra il 1924 e il 1972 furono 14.631 (non si sa quanti dei quali provocati dalla vaccinazione), contro i 28.300 tra casi di morti previste o avvenute per mesotelioma, che sono solo una parte dei possibili danni da vaccinazione Salk (si ricordi dei tumori cerebrali, dei linfomi e degli osteosarcomi). Da che parte penda la bilancia costi/benefici, lo giudichi ciascuno da sé (per la storia dell’SV40, si può leggere qui).

Certo, si dirà che oggi i vaccini sono più sicuri. Cosa, peraltro, messa in dubbio dalle analisi dei prodotti vaccinali somministrati attualmente in Italia commissionata dal CORVELVA presso diversi laboratori indipendenti e i cui risultanti sono molto preoccupanti. Anche questo, nel silenzio assordante delle autorità sanitarie. E certamente non bisogna generalizzare; non tutti i vaccini sono uguali. Ma occorre ricordare che, negli anni ‘50, la propaganda governativa statunitense aveva gli stessi toni trionfalistici di ora. Si legga questo resoconto di un panel fra medici della Sanità pubblica statunitense nel 1960 sulla vaccinazione Salk. E che non si tratta dell’unico caso. Si potrebbe per esempio approfondire la vaccinazione antivaiolosa. L’eradicazione del vaiolo in Africa, per esempio, come racconta anche il sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità fu reso possibile dall’effetto combinato dell’isolamento delle persone infette e della vaccinazione selettiva, non dalla vaccinazione di massa, che presentava un elevato numero di effetti avversi e in non pochi casi provocava più morti della malattia. Nel frattempo, vengono periodicamente ritirate partite di vaccini pericolosi, le cause civili di indennizzo aumentano ovunque, nonostante si faccia di tutto per negare ogni correlazione con le vaccinazioni (quasi 4 miliardi di dollari di risarcimenti negli USA), le autorità sanitarie non hanno letteralmente idea di quanti siano i danni da vaccino, perché ne vengono segnalati solo una piccola parte (si calcola ottimisticamente un decimo di quelli reali, ma alcuni studi condotti sui dati VAERS, il programma di vaccinovigilanza passiva USA, fra cui quello di Kessler, ex commissario della FDA, stimano una segnalazione del 2 o dell’1% dei casi effettivi di danni gravi, il che vorrebbe dire che ne sfuggono il 98 o il 99%) e i medici preposti non sempre raccolgono volentieri le poche segnalazioni (ai genitori viene detto che, se il problema è grave, non può essere il vaccino, per cui non collegano subito il problema del figlio alla vaccinazione).

L’evidente sproporzione di effetti avversi registrati fra il Veneto, che ha un buon sistema di vigilanza post-vaccinale attiva, e le altre regioni dimostra che l’AIFA non è in grado di garantire neppure un monitoraggio uniforme sul territorio nazionale. Molti danni a lungo termine, come le patologie autoimmuni o oncologiche, non si possono prevedere, perché spesso le patologie hanno cause plurime e complesse e possono dipendere dall’interazione di fattori genetici e ambientali. Scoprirli richiede studi lunghi, accurati e indipendenti (le case farmaceutiche non hanno interesse a condurli).

Per fare un esempio, anni o decenni dopo la vaccinazione antivaiolosa un certo numero di persone vaccinate presentano tumori nella cicatrice vaccinale. Una serie di studi, riguardanti la relazione fra diverse sostanze, fra cui i vaccini, e i tumori si trova qui. Come si potevano prevedere allora? Quando non si sa, meglio essere prudenti! Perciò, somministrare i vaccini in modo indiscriminato nella popolazione aumenta sensibilmente il rischio (l’SV40 ce lo mostra vividamente) ed è contrario al principio medico basilare della personalizzazione della cura. La variabilità genetica della popolazione rende la vaccinazione di massa uguale per tutti – come per i polli in batteria – simile ad una roulette russa. Il ragionamento delle autorità sanitarie è questo: “Se hai i geni sbagliati, peggio per te! È evidente che non è colpa del vaccino” (!). L’adversomica, ovvero l’immunogenetica degli eventi avversi da vaccino, è ancora ai primi passi. E se non si possono ancora prevedere le vulnerabilità genetiche che rendono più probabili i danni da vaccino, perché somministrare lo stesso farmaco a tutti? Nessuno ha il diritto di sacrificare la salute o la vita di qualcun altro per un ipotetico vantaggio collettivo, tutto da dimostrare. Sarebbe come prendere il primo passante che capita per espiantargli gli organi a favore di altri 5. E fra i risarciti per danno vaccinale, come nell’incidente Cutter, ci sono pure i morti. Per una riflessione d’insieme sugli effetti avversi da vaccino si può leggere qui.

Infine, sul caso Wakefield si dimentica, come dice la dottoressa Gabriella Lesmo, madre di un bambino diventato autistico dopo la vaccinazione, che

“il dottor Andrew Wakefield (…) assieme ad altri colleghi londinesi evidenziò la presenza di virus del morbillo nei linfonodi intestinali di bambini autistici con malattia infiammatoria intestinale (…) questa prima parte del lavoro di Wakefield fu confermata, sin da allora, da un immunologo universitario giapponese, il Dr Kawashima. Questi fu in grado di identificare il virus del morbillo riscontrato nei linfonodi ileali ed era il virus vaccinale. In tempi recenti i lavori londinesi di Wakefield sono stati riabilitati ed il suo allora primario londinese ha avuto la meglio contro chi lo volle cacciare.

Per dovere di verità ricordo anche che alcuni studi danesi, citati per anni a dimostrazione della inesistente correlazione tra vaccinazioni e insorgenza di autismo si sono rivelati FALSI. Il principale autore degli studi danesi fu il Dr. Paul Thorsen, attualmente latitante, che figura nella lista dei maggiori ricercati dalla FBI, contro cui è stato spiccato mandato di cattura per una lunga serie di reati federali contestatigli negli Stati Uniti, in merito alle ricerche sull’Autismo. Lo “scandalo nello scandalo” è emerso altresì dalle dichiarazioni del Deputato americano Bill Posey, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Florida che traduco, l’originale lo trova in rete. “… Se leggete le e-mail e i dati relativi alle riunioni, nonché le disposizioni finanziarie che questo truffatore ha intrattenuto con il CDC, vi farà assolutamente venire il voltastomaco. Costui non era un ricercatore qualunque. Costui era l’uomo chiave del CDC in Danimarca. Costui era strettamente legato ai migliori ricercatori nell’ambito della sicurezza dei vaccini del CDC … e Thorsen ha cucinato gli studi per produrre i risultati che volevano diffondere. A loro non importava se gli studi fossero validi o quanto veniva pagato per manipolarli dall’inizio”.

Per una ricostruzione del caso Wakefield si può leggere qui. Un video molto documentato e illuminante invece si può seguire qui. Il documentario Vaxxed, che racconta il caso Wakefield, è stato censurato ovunque. Evidentemente espone una verità scomoda. Molti studi hanno confermato i risultati delle ricerche di Wakefield, il cui unico torto è stato quello di invitare i genitori ad utilizzare il vaccino monovalente per il morbillo, anziché il più costoso e sponsorizzato trivalente MPR, che mostrava un elevato numero di effetti avversi. Ci si può chiedere perché le autorità sanitarie non mostrino altrettanta solerzia a screditare studi certamente fraudolenti come quello di Thorsen.

La controversa questione della relazione fra i vaccini e l’autismo regressivo, ovvero quel particolare tipo di encefalopatia, distinta dall’autismo primario, che si manifesta in bambini con uno sviluppo prima normale, che è in drammatico aumento negli USA, è ben lungi dall’essere risolta.  Secondo i dati ufficiali  USA si è passati da 1 caso di autismo su 10.000 40 anni fa a 1 su 68 nel 2012 a 1 su 41 nel 2014. In Italia i casi sono in aumento, ma non si sa quanti siano). Non si è arrivati ancora a nessuna conclusione definitiva né in senso né nell’altro, ma gli studi che hanno riscontrato questa relazione esistono e sono numerosi. Alcuni hanno confermato le scoperte di Wakefield. Per chi vuole farsi un’idea del problema, può essere utile questo documentario.

“La letteratura scientifica attuale conferma l’evidenza clinica che quanto maggiore è il numero di vaccini somministrati contemporaneamente e quanto più è piccolo, immaturo e/o nato prematuramente il bambino, tanto maggiori sono i rischi di reazioni avverse: ospedalizzazione per gravi patologie o addirittura morte, specialmente quando il vaccino antiepatite B viene somministrato alla nascita” (G. Tarro, 10 cose da sapere sui vaccini, Newton Compton, 2018, pp. 182-183).

Lo studio assai importante di Goldman e Miller, condotto sui dati VAERS, pur rilevando la grave sottostima dei dati reali, indica in 65 ogni 100.000 bambini vaccinati i casi di reazione avversa grave o gravissima segnalati (ospedalizzazione o morte). Secondo i due autori dello studio,

mentre ogni vaccino per neonati è stato sottoposto individualmente a studi clinici per valutarne la sicurezza, non sono stati condotti studi clinici per determinare la sicurezza (o l’efficacia) dei vaccini multipli, la cui somministrazione viene raccomandata dalle linee guida dei CDC [traduzione di Giulio Tarro, p. 185].

Poiché la maggior parte degli effetti avversi da vaccino si verificano nei neonati, perché non ritardare nel tempo le vaccinazioni? Era questa una delle richieste di Wakefield. Con un sistema immunitario più maturo, ci vorrebbero fra l’altro meno dosi (1 invece di 3 o 4) e per parecchie malattie non c’è urgenza reale di vaccinare. Ma non è che sia proprio somministrare un maggior numero di dosi la priorità delle aziende farmaceutiche?

Molti ricercatori hanno svolto studi sui danni da vaccino. Ce ne sono migliaia, e per molti di loro questa scelta mette a rischio la carriera e chiude parecchie porte. Si possono ricordare come esempio il prof. R. K. Gherardi, che ha studiato la miofascite macrofagica come effetto dell’inoculazione di sali di alluminio (adiuvanti dei vaccini); il prof. Yehuda Schoenfeld, uno dei più autorevoli esperti di malattie autoimmuni al mondo, che ha raccolto in un corposo volume una serie di ricerche sulla possibile relazione fra vaccini e malattie autoimmuni in soggetti predisposti (sulla relazione fra vaccini e autoimmunità vertono anche le relazioni dei medici delle Commissioni parlamentari della Difesa già citate, sulle quali grava ora l’ombra della censura e le raccomandazione della SIPNEI, Società Italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia); il premio Nobel Luc Montagnier e il prof. Henri Joyeux, che invitano a ritirare l’obbligo vaccinale in Francia e astudiare più a fondo la relazione vaccini-autismo regressivo e altre patologie neurologiche; la dottoressa Diane Harper, consulente della Merck nel percorso di approvazione del vaccino Gardasil contro il papillomavirus, che ha definito questo vaccino “né efficace né sicuro” (tra l’altro, sul vaccino antipapillomavirus, la TV svizzera ha realizzato programmi ben più indipendenti di quelli della TV italiana, con l’eccezione di Report); la Dott.sa Bernadine Healy, cardiologa direttrice del NIH, che osserva come gli studi che possono mostrare una relazione fra vaccini e autismo vengano osteggiati per timore che l’eventuale dimostrazione metta a rischio i programmi vaccinali; la dott.sa Viera Scheibner dimostrò negli anni ‘80 che, nel periodo 1975-80, quando in Giappone la vaccinazione DTP venne ritardata a 2 anni di età, i casi di SIDS (morte in culla) e di danni permanenti crollarono nella misura dell’85-90%, per risalire subito quando venne nuovamente prevista a 3 mesi di età. Sulla relazione fra SIDS e vaccini esistono diversi studi: sul vaccino DTP, sul vaccino esavalente (anche qui). Il dottor Jacob Puliyel, primario del reparto di pediatria all’ospedale St. Stephen, in India, medico e epidemiologo, ha esaminato la sindrome della morte improvvisa dopo vaccinazione esavalente con “Infarix hexa”. Ha osservato che l’83% delle morti improvvise del 2012 sono avvenute entro 10 giorni dalla vaccinazione con Infarix Hexa, mentre solo 17% sono avvenute dopo il decimo giorno. Ha osservato che se fossero coincidenze, le morti avrebbero dovuto raggrupparsi uniformemente attraverso i 20 giorni successivi a vaccinazione e non quasi tutte nei primi 10 giorni. La GSK, produttrice del vaccino, avrebbe riferito i dati in modo incompleto, occultando la relazione causale. Su questo, l’on. Ivan Catalano, vice presidente della IV Commissione parlamentare della Difesa sulla salute dei militari italiani, dato l’elevato numero dei casi recenti di bambini morti per SIDS, ha rivolto un’interrogazione parlamentare al Ministro Lorenzin senza ottenere risposta. La dott.sa Humphreys, che ha cominciato a studiare i danni da vaccino dopo averne incontrati nella sua esperienza clinica, ha ridimensionato il ruolo delle vaccinazioni nella riduzione delle malattie infettive, in particolare della poliomielite. Come molti altri medici critici, ha ricevuto in questi giorni serie minacce di morte.

Un ruolo causale, insieme ad altri fattori, dei danni da vaccino è attribuito in letteratura agli adiuvanti metallici, come i sali di alluminio, a conservanti, come il mercurio (nella forma di etilmercurio o Thimerosal), a sostanze chimiche come la formaldeide, all’aggiunta di eccipienti, cellule animali, DNA umano da feti abortiti (li si riconosce dalle sigle MRC-5 e WI-38), antibiotici (per esempio, la Neomicina, sconsigliata per i neonati). Qui si trova un elenco delle sostanze contenute nei vaccini (fonte: John Hopkins Institute) e qui un elenco degli ingredienti dei singoli vaccini (fonte: FDA e CDC). Il problema è che normalmente né i singoli ingredienti vengono testati separatamente né lo è la loro combinazione. Spesso gli adiuvanti vengono introdotti nei soggetti del gruppo di controllo, rendendo impossibile rilevarne gli effetti. Di solito viene studiato il vaccino nel suo insieme. Quindi non si hanno informazioni sicure sulla relativa tossicità.

Per fare un esempio, il Thimerosal o etilmercurio, usato per sterilizzare i vaccini per decenni e fortemente indiziato di provocare gravi danni fin dalla riunione di Simpsonwood del CDC nel 2000  (che effetto abbia il mercurio sui neuroni cerebrali è illustrato da questo breve video dell’Università di Calgary), è stato teoricamente tolto dai vaccini, ma si trova in tracce in diversi preparati (interessante al proposito il documentario Trace amounts) e in quantità elevate (circa 50 mcg di Thimerosal corrispondono a circa 25 mcg di mercurio/dose) in diversi vaccini antiinfluenzali (vedere tabella ingredienti), che la propaganda politico-sanitaria vorrebbe iniettare anche ai neonati e ai bambini. La dose settimanale di metilmercurio (composto simile all’etilmercurio, ma assunto per via alimentare, non per via iniettiva) tollerabile è fissata dall’EFSA a 1,3 mcg/kg di peso corporeo. Purtroppo, si sa molto della tossicità del metilmercurio e molto meno di quella dell’etilmercurio. In Italia, dopo la messa al bando del Thimerosal, sono state smaltite a lungo le scorte di vaccini che lo contenevano, come raccontava la trasmissione Report nel 2000. Eppure, proprio sul ruolo dei metalli come il mercurio quale concausa nello sviluppo di molte patologie hanno puntato il dito i medici e i ricercatori del Progetto Signum sui militari italiani.

Nel 2016, il Nordic Cochrane Institute, in un documento intitolato Complaint to the European Medicines Agency (EMA) over maladministration at the EMA, a firma del direttore, Peter Gøtzsche e di altri quattro colleghi, accusò l’EMA (l’Agenzia europea per i medicinali) di scarsa trasparenza e serietà nel valutare la sicurezza del vaccino contro il papillomavirus e di aver negato l’esistenza di danni da vaccinazione, pur a fronte di uno studio condotto in precedenza dall’EMA sul vaccino in questione, che mostrava conclusioni assai diverse e i cui risultati furono secretati ad uso interno, mostrando che “le valutazioni di EMA sono poco professionali, ingannevoli, inappropriate e non scientifiche”. Dallo studio secretato (EMA/666938/2015, di 256 pagine, di cui solo 40 pubblicate), emergeva un’alta probabilità di relazione fra il vaccino anti-HPV e due patologie, la Sindrome da dolore regionale complesso [CRPS], una condizione di dolore cronico agli arti, e la Sindrome da tachicardia posturale ortostatica [POTS], in cui la frequenza cardiaca aumenta in maniera anomala dopo che ci si siede o ci si alza. Il NCI chiedeva di chiarire la questione dei conflitti di interesse, perché il direttore dell’EMA, come altri esperti dell’Agenzia europea, è comproprietario di alcuni brevetti riguardanti i vaccini ed ha dichiarato l’insussistenza di conflitti di interesse. Per approfondire la questione, si può leggere qui.

Non si possono elencare qui le migliaia di studi scientifici che ogni giorno mostrano relazioni a breve, medio e lungo termine fra vaccinazioni e danni alla salute di diversa entità. Il fatto è che quando uno studio mette in discussione la vulgata ufficiale sui vaccini e i guadagni di Big Pharma, viene ignorato oppure screditato, senza entrare nel merito, sebbene fra gli studi che mostrano l’assenza della relazione fra vaccino e danno (che non significa l’innocuità dei vaccini, beninteso) vi siano molti casi di frode, di clamorosi errori metodologici o di sponsorizzazione da parte delle aziende farmaceutiche. Un esempio di studio ignorato è questo, che mette in relazione il numero di dosi vaccinali e la mortalità infantile (qui l’originale e qui la risposta di Paolo Barnard alle critiche). Un esempio di studio autoptico su un caso di encefalopatia da vaccino antimorbillo si trova qui. Un esempio di studio scorretto è uno studio giapponese del 2005 che, contrariamente alle intenzioni degli autori (due psichiatri non ricercatori), una volta emendato da alcuni grossolani errori metodologici e integrato con altri studi, mostra un’impressionante relazione fra numero di dosi vaccinali MMR, di anti-morbillo monovalente, di anti-rosolia monovalente, di anti-encefalite giapponese e numero di casi di autismo anno per anno, che seguono il ritiro e la reimmissione del vaccino MMR in Giappone. (“Flawed Science by Doctors Not Scientists”).

La censura è comunque un segno di debolezza, oltre che di prevaricazione. Esemplare il caso di Vaxxed, il documentario che narra dell’insabbiamento delle prove sulla relazione vaccini-autismo da parte del CDC, che è stato censurato in Italia, in barba all’articolo 21 della Costituzione, perché sgradito al Ministro Lorenzin e alle autorità sanitarie. Le autorità politiche e sanitarie non possono tollerare il dissenso perché non sono in grado di portare argomenti convincenti in un confronto veramente aperto e rivolto a tutelare la salute dei bambini. Se lo fossero, prenderebbero a cuore i potenziali rischi, invece di negarli con una ostinazione che rasenta il grottesco. Non sono affatto imparziali rispetto al dibattito scientifico sui vaccini, ma sempre e solo schierate pregiudizialmente a difesa delle vaccinazioni di massa.

Di fronte a considerazioni come queste, come si può obbligare a cuor leggero? Nessuno, meno che mai sano, può essere obbligato ad un trattamento medico anche solo potenzialmente pericoloso e nessuno può garantire l’assoluta innocuità a lungo termine di un preparato medico. Nessun medico sarà mai disposto a firmare una dichiarazione scritta di assoluta innocuità per il vaccinando del vaccino che sta per somministrare. Soprattutto, nessuno può dire con onestà intellettuale che la presunta assenza di evidenze in favore di un rapporto causale fra vaccino e determinate gravi patologie equivalga alla prova che tale relazione non ci sia. Dire che non c’è evidenza di una relazione causale può diventare un modo ingannevole per far creder che ci sia la prova di un’assenza di tale relazione, quando in realtà tale prova non è possibile. Anche per il fumo le aziende produttrici di sigarette negarono per 50 anni con questa formula che ci fosse relazione causale con i tumori al polmone. Ma l’assenza di una prova non è la prova di un’assenza. Tanto più che gli studi in favore di tale rapporto causale sono migliaia, anche se li si ignora con ostinazione, visto che mettono a rischio un business lucroso. Nel dubbio, prevalga almeno il principio di precauzione.

RAD Per queste ragioni lo Stato nemmeno dovrebbe buttare via denaro pubblico per campagne vaccinali che avvantaggiano solo le case farmaceutiche e i cui danni sono letteralmente incalcolabili, perché a nessuno interessa calcolarli. L’insabbiamento è la regola in ambito vaccinale, perché se la gente sapesse, avrebbe paura delle vaccinazioni. Chi ha la sfortuna di essere uno dei danneggiati, si vivrà il suo dramma in totale solitudine e se anche qualche medico ammetterà in privato che sì, il danno è causato dal vaccino, come succede a molti genitori, non sarà mai disposto a giocarsi la carriera dichiarandolo apertamente. Questa è la situazione. Proprio per questo ora cercano di zittire chiunque cerchi di aprire una crepa nel muro del silenzio sui danni da vaccino. Molti non sanno nemmeno che le loro patologie sono conseguenza dell’interazione fra una vulnerabilità genetica e alcuni fattori ambientali, fra i quali ci sono anche le vaccinazioni, semplicemente perché nessuno glielo ha mai detto e perché perfino i medici non sono tutti formati su questo. E vengono pagati per vaccinare e non vedere nulla. Eppure i danneggiati da vaccino esistono e sono persone che hanno creduto, come moltissime altre, all’innocuità dei vaccini. Ecco alcuni casi: testimonianze di iscritti al CONDAV; il caso di Christian, 5 anni; la storia di Federica Santi; il dolore di un genitore che aveva fiducia nei vaccini e a cui lo Stato nega il risarcimento; le testimonianze raccolte da Famiglia Cristiana; la storia di Nicola;   un uomo danneggiato da vaccino antipolio e risarcito dopo 50 anni; la storia di una mamma infermiera e di suo figlio Ridge; la storia di Alessandra, sanissima fino a 5 anni e rovinata dal vaccino DTP. Ce ne sono centinaia di casi così.

6. Chi deve risarcire i danni?

COE e TOL. Lo Stato. Se lo Stato obbliga, deve anche risarcire i danni eventuali, che peraltro sono rarissimi, massimo uno su un milione, come stabilisce la legge 210 del 1992.

LIB e RAD. Devono pagare le case produttrici! Il fatto che paghi lo Stato, cioè noi contribuenti, è scandaloso per due ragioni: la prima è che le vaccinazioni rappresentano per Big Pharma un affare lucrosissimo, senza alcun rischio di perdita, e quindi senza alcuna responsabilizzazione sugli effetti collaterali o avversi; la seconda è che così le case farmaceutiche non sono incentivate ad investire in sicurezza e possono mettere in circolazione prodotti scadenti impunemente, con la certezza che le autorità sanitarie continueranno a negare gli effetti avversi. Questo perché ai genitori di un bambino danneggiato da vaccino tocca l’onere della prova (immaginate un po’ con quali armi combatte la battaglia e contro quale avversario!) e per farlo, dopo il diniego certissimo della Commissione Militare Ospedaliera, dovrà rivolgersi al Tribunale accollandosi le spese e trovare un medico legale che faccia la perizia. Non sarà facile, perché un medico che accetti questo ruolo ingrato (come è successo al bravissimo dottor Dario Miedico, radiato dall’Albo con un atto che getterà perenne discredito sull’Ordine, a memoria dell’immoralità di questa legge) sarà minacciato di radiazione e il perito del giudice (il CTU), se vuole campare come medico, dovrà negare il nesso. Le pressioni a negare ogni rapporto di causalità sono fortissime e tali da limitare fortemente la libertà di coscienza del medico. Il giudice in molti casi ascolterà il perito del Tribunale (l’ISS, nel suo impeto di onnipotenza, sta già cercando da un po’ di influenzare anche i giudici) e così andrà d’ora in poi. Già prima era difficilissimo ottenere il riconoscimento del danno, ora sarà quasi impossibile, visto il clima intimidatorio intorno ai medici che lavorano in scienza e coscienza. Inoltre, pochi sanno che le norme attuali sulle autopsie giudiziarie, che risalgono incredibilmente  alla Circolare Fani del 1910,  prevedono l’utilizzo della formalina, che cancella le tracce di agenti patogeni nei tessuti dei soggetti deceduti, anziché la crioconservazione del campione autoptico, che consente indagini obiettive. Quindi, niente tracce. Senza tracce, non c’è prova e quindi nemmeno danno.

Eppure, nonostante le enormi difficoltà, grazie a perizie eccellenti molti genitori negli anni hanno ottenuto il riconoscimento del danno irreversibile ed il diritto al risarcimento dello Stato, come ha segnalato lo stesso Ministro Lorenzin in risposta ad un’interrogazione parlamentare. Si tratta di parecchie migliaia di casi, dei quali solo 631 risultarono indennizzati nel luglio 2015.  Segno che i danni sono molto più numerosi di quello che si continua a fare credere (certamente, molti più di uno su un milione!). Eppure, lo Stato non sempre paga e non paga subito. Probabilmente, quasi nessuno sa che come è stato difficile per i bambini italiani, diventati paralitici in seguito al vaccino Salk nei lontani anni ‘50, ottenere il risarcimento, ancora negato dallo Stato nel 2009. Insomma, se vi capita in famiglia un danno da vaccino, sarete nell’ordine sbeffeggiati come genitori visionari e paranoici, non avrete modo di far valere le vostre ragioni e non otterrete nulla, a meno di un miracolo. E si tratta di vite rovinate per sempre, come questa. Questo non è accettabile in un Paese democratico.

[continua]

Vaccini sì, obbligo no: una proposta politica rispettosa dei diritti

Non potendo riassumere qui tutta la lunga e articolata discussione della questione che ho già condotto in altri articoli, rimando ad essi per il necessario approfondimento degli aspetti controversi sia della legge Lorenzin sia della vaccinazione di massa.

L’obbligo vaccinale, ovvero: chi decide della salute dei bambini? [parte prima]

L’obbligo vaccinale, ovvero: perché molti cittadini italiani non si fidano del loro governo? [Parte seconda]

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte terza]

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte quarta]

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte quinta]

Benché sedate da una censura ferrea e sistematica, le polemiche sulla legge Lorenzin che impone l’obbligo vaccinale per 10 vaccini (14 compresi quelli consigliati) per i minori di età compresa fra 0 e 16 anni sono più vive che mai. Molti genitori, sebbene traumatizzati dal carattere repentino, fortemente coercitivo e discriminatorio della norma, continuano a resistere e a rifiutare la vaccinazione obbligatoria. Anzi, i gruppi e le associazioni per la libertà vaccinale si sono riorganizzati e appaiono sempre più agguerriti.

In questi mesi, moltissimi genitori hanno letto, studiato, approfondito l’argomento e la loro indignazione è salita alle stelle. Per molti di loro, addentrarsi negli aspetti problematici delle vaccinazioni di massa ha avuto l’effetto di renderli sempre più consapevoli della gravità e dell’arbitrarietà delle colossali bugie, delle mistificazioni, delle assurdità scientifiche che sono state addotte dalle autorità politiche e mediche per giustificare l’ingiustificabile, per di più con modalità comunicative più degne di un regime autoritario che di una democrazia. Si è infatti diffusa la consapevolezza che non si tratta di una questione sanitaria, ma di una vera minaccia alla democrazia e ai diritti umani fondamentali, da combattere con ogni mezzo e senza sconti, e non limitata ai confini nazionali.

In questo articolo, mi propongo due obiettivi: la critica politica al decreto Lorenzin e la proposta di una legge che risponda pienamente ai principi democratici (in particolare, agli articoli 3, 32 e 34 della Costituzione, violati da questa legge) e al rispetto dei diritti umani, che sono sempre più minacciati e ignorati ovunque.

Come già detto in altri articoli, il decreto Lorenzin nasce non da un’esigenza sanitaria nazionale, ma da un opaco e misterioso accordo internazionale del 2014 con le multinazionali del farmaco, sotto l’egida della presidenza Obama, il GHSA (Global Health Security Agenda). Il suo peccato originale è perciò la subordinazione della salute dei bambini italiani al rispetto di un accordo di natura prevalentemente politico-commerciale, nonché la natura sperimentale di tale iniziativa, nel senso che non è stata accompagnata da nessuno studio clinico che valuti i potenziali rischi di un aumento delle dosi vaccinali obbligatorie da 4 a 10. Il governo, cioè, non è nemmeno stato sfiorato dalla considerazione dei rischi di tale misura per i bambini italiani ed ha agito per ragioni diverse da quelle della tutela della salute. Il continuo richiamo a presunte soglie di immunità di gregge, appena guardato da vicino, vaccino per vaccino, mostra tutta la sua inconsistenza e insufficienza esplicativa, fino a configurarsi come un semplice pretesto, non basato su evidenze scientifiche. Si può approfondire qui al punto 1 e qui al punto 7. Questo è il prospetto preparato dal prof. Paolo Bellavite (Università di Verona).

Prospetto preparato dal prof. Paolo Bellavite, professore di Patologia Generale all’Università di Verona, ora in pensione.

Big Pharma, d’altro canto, preme a livello internazionale e sponsorizza le campagne sanitarie di ogni tipo, anche quelle inutili, promosse da organismi quali l’OMS (a cui contribuiamo anche noi Italiani) e il GAVI, che adoperino in modo massiccio i farmaci da esse prodotti e quando serve, non esita a corrompere funzionari statali e politici, come successo in Italia (caso De Lorenzo – Poggiolini, e non solo) e di recente in Cina (anche qui) e, come sembra, in Grecia, per fare solo tre esempi. Il probabile, quando non palese, conflitto di interessi di alcuni medici della Sanità pubblica, che ricevono incarichi retribuiti o altre forme di finanziamento dalle aziende farmaceutiche rappresenta un grave pericolo per l’imparzialità delle istituzioni pubbliche. Le sliding doors dei medici fra sanità pubblica, aziende private e organismi sanitari internazionali, finanziati sia dagli Stati che dai privati, sono assai frequenti in ambito vaccinale.

In secondo luogo, appare contestabile l’arbitrio della decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.) e la fiducia imposta in Parlamento per la conversione in legge. Non c’era e non c’è alcun rischio epidemico che giustifichi il decreto-legge, benché i media abbiano gonfiato in modo manipolativo i dati di alcune malattie per suscitare allarme, secondo uno schema propagandistico ben collaudato. Invece, la fretta con la quale il testo di legge è stato scritto lo ha reso confuso e contraddittorio, impedendo le necessarie correzioni in sede parlamentare. Nell’applicazione della legge, si è registrato il caos: circolari contraddittorie hanno interpretato in senso restrittivo la norma, forzandone il carattere coercitivo, le Regioni sono state scavalcate, i centri vaccinali non erano preparati (niente fondi aggiuntivi), le scuole non sapevano che fare e si sono mosse in ordine sparso, i genitori si sono ritrovati sotto shock, perché si sono trovati i figli espulsi da asili nido e scuole d’infanzia da un giorno all’altro, ancora adesso non si capisce nulla di come vengano applicate le sanzioni. Un pessimo esempio di stalking burocratico.

In terzo luogo, risulta assai preoccupante la mancanza di un adeguato rafforzamento della vaccino-vigilanza attiva, ovvero del sistematico follow-up dei soggetti vaccinati, che ha mostrato finora evidenti lacune, per non dire di peggio. I casi segnalati nella migliore delle ipotesi sono un decimo di quelli reali, ma potrebbero essere molti di meno dei casi effettivi. Quando si conducono studi di vaccinovigilanza attiva, come nel caso del report della Regione Puglia relativo ai vaccinati con la prima dose di MPRV nel 2017, i risultati sono agghiaccianti: 40% di effetti avversi segnalati, 4% quelli gravi, di cui tre quarti sicuramente correlati al vaccino. Significa 30mila danneggiati gravi per ogni milione di bambini per una sola dose di un solo vaccino, il tutto assolutamente passato sotto silenzio dalle autorità sanitarie, che, con un gioco di prestigio, riescono a presentare i dati in forma annacquata, senza che i media se ne accorgano.

Non solo, neppure la vigilanza passiva, basata sulle segnalazioni dei medici e dei cittadini, appare rafforzata: sostanzialmente vengono scoraggiati i medici che segnalano, visto che viene incentivata con compensi aggiuntivi in base al numero delle dosi la loro disponibilità a vaccinare, vengono radiati i medici che osano sconsigliare in scienza e coscienza la vaccinazione, avanzare dubbi e presentare dati poco rassicuranti o perizie autoptiche inequivocabili e i genitori dei danneggiati vengono trattati come degli ignoranti paranoici. L’AIFA, come osservato dal dott. Fabio Franchi, continua a sottolineare che la segnalazione del danno (grave) non implica relazione causale con il vaccino, ma nemmeno verifica in modo sistematico l’effettiva esistenza di una correlazione causale, per cui certamente la relazione causale non si trova quasi mai e viene negata a prescindere da ogni dato di fatto. Aumentare il numero di dosi vaccinali senza prevedere un’adeguata forma aggiuntiva di vigilanza sugli effetti avversi, che ovviamente aumenteranno, dimostra una irresponsabilità politica sconcertante e, secondo molti genitori più consapevoli, addirittura criminale.

Tutta da verificare poi la qualità di prodotti vaccinali per i quali le aziende produttrici non rispondono penalmente. Le analisi commissionate dal Corvelva a diversi laboratori indipendenti ci rivelano prodotti di pessima qualità e di dubbia efficacia. Spicca inoltre l’assenza di uno studio longitudinale serio e sistematico che confronti la salute dei bambini vaccinati con quella dei non vaccinati, che nessuna istituzione pubblica né in Italia né altrove in realtà è disponibile a condurre (e a molti non sfugge quale potrebbe esserne la ragione. Lo spiega la dottoressa Bernadine Healy, cardiologa statunitense direttrice del NIH, National Institut of Health: non si vuole mettere in discussione la politica vaccinale).

In quarto luogo, risulta ingiustificabile la riduzione dei fondi per il risarcimento dei danni vaccinali, pur in previsione di un aumento dei casi, segno di una sostanziale e ulteriore indisponibilità dello Stato a farsi carico delle numerose vite rovinate dall’obbligo vaccinale. Si tratta di un’ulteriore violazione costituzionale, questa volta dell’art. 81. Peraltro, anche a fronte di conclamata causa vaccinale, migliaia di danneggiati aspettano ancora l’indennizzo dovuto.

In quinto luogo, l’esclusione scolastica dei bambini da 0 a 6 anni non vaccinati appare una misura dettata unicamente da un atteggiamento ricattatorio e privo di ogni significato sanitario. Come si è detto, non è infatti per nulla giustificata né dall’esigenza di proteggere i bambini immunodepressi, che sono esposti agli agenti patogeni in tutti gli ambienti di vita, non solo a scuola, anche per malattie diverse da quelle coperte da vaccino, e che sono molto più in pericolo in presenza di bambini appena vaccinati e contagiosi (si veda qui al punto 7) né tanto meno, come assurdamente è stato sostenuto sui media, dall’esigenza di proteggere i vaccinati, che non dovrebbero temere nulla, se è vero che i vaccini li proteggono. Semmai, sono i non vaccinati a rischiare di contrarre malattie dai vaccinati, cosa peraltro messa in conto dai loro genitori, che se ne assumono la responsabilità.

Dal punto di vista psicologico ed educativo, questa estromissione, avvenuta ad iscrizione già effettuata o ad anno scolastico inoltrato, non di rado con modalità ottuse e irrispettose, rappresenta un danno irreparabile per questi bambini, genera un’odiosa e ingiustificata discriminazione nei loro confronti, rafforzata dai toni violentemente discriminatori e accusatori di alcuni medici irresponsabili che, come ringhiosi inquisitori, hanno alimentato campagne di odio persecutorio verso bambini sotto i 6 anni degne delle leggi razziali del 1938. Sui social network, orde di genitori rabbiosi si sono scagliati contro i bambini non vaccinati come la folla milanese contro gli untori durante la peste manzoniana, e con uguale fondamento scientifico. D’altra parte, oggi come allora, di fronte ad una legge discriminatoria e ingiusta, emergono subito i burocrati zelanti, che obbediscono senza farsi domande. Non sempre la storia insegna qualcosa.

Dal punto di vista sociale, le famiglie private dell’asilo nido e della scuola d’infanzia da un giorno all’altro e senza preavviso, sono state costrette a imprevisti riadattamenti della vita familiare, a costi aggiuntivi e allo stress di norme incomprensibili e in non pochi casi le madri lavoratrici preoccupate per gli effetti avversi (spesso per averne già fatto esperienza) hanno dovuto rinunciare a lavorare. Per le famiglie monoparentali, si è consumato un vero dramma.

Dal punto di vista politico, questa legge rappresenta una palese violazione dei principi costituzionali, spia della presenza di forti pulsioni autoritarie e di una profonda bassezza morale, benché camuffata a reti unificate da ragioni pretestuose e indimostrabili di salute pubblica, oltre che da plateali bugie. Costituisce infine probabilmente un boomerang, perché ha svelato a molti genitori la natura infida, dispotica e interessata del potere politico e ispirato una profonda e non comprimibile spinta alla ribellione, la cui onda lunga si farà sentire nei prossimi anni.

Verso gli alunni più grandi, da 6 a 16 anni (ma la legge è scritta in modo così sciatto che non è ancora chiaro se siano compresi i ragazzi fra i 16 e i 17 anni), l’aver prescritto il numero massimo di due allievi non vaccinati per classe genera stigma sociale, discriminazione, violazione della privacy, discontinuità educativa, senza essere giustificato da alcuna ragione scientifica. Infine, il considerare assolto l’obbligo vaccinale mediante il pagamento di una multa vanifica la libertà di scelta in materia sanitaria, rendendola punibile con un balzello economico odioso e immotivato, oltre che non progressivo, e genera disparità di trattamento in base all’età.

In sesto luogo, appare irrisolto il problema del consenso informato. È obbligo deontologico del medico e prescrizione del Codice di Norimberga e della Convenzione di Oviedo (per la discussione etico-giuridica si legga qui) che un trattamento sanitario sia volontario e che il paziente sia informato dei potenziali rischi, per poter esprimere un consenso informato. Ai genitori che portano i figli alla vaccinazione, viene richiesto di firmare un modulo di consenso informato. Ma che significa “informato”? Raramente vengono esposti ai genitori i rischi dei vaccini, la loro composizione inquietante per molti aspetti (si veda qui, al punto 5), la loro efficacia alta o bassa, i potenziali rischi di contagio, l’esistenza di soggetti non responders (che non saranno affatto immunizzati dal vaccino) o predisposti a gravi patologie che potrebbero essere danneggiati, i potenziali effetti avversi gravi o gravissimi anche a lungo termine e il dovere di segnalarli, il fatto che alcuni prodotti vaccinali siano sottoposti a monitoraggio addizionale e quindi non ancora completamente testati o che vengano usati vaccini testati per fasce d’età diverse da quella del soggetto. In realtà, l’informazione necessaria non è disponibile nemmeno per il medico che vaccina. Il famoso studio comparativo serio, controllato e randomizzato fra vaccinati con 10 vaccini e non vaccinati non c’è, quindi il medico vaccinatore in realtà non sa se ci sia o meno un rischio aumentato. E ciò che si ignora non per questo non esiste. Per definizione, il vaccino viene presentato come un preparato innocuo, efficace, che presenta solo vantaggi. Se però il genitore arriva preparato, dopo aver letto libri, articoli scientifici, schede tecniche dei vaccini, liste di ingredienti, portando certificazioni mediche di patologie croniche collegabili alle vaccinazioni secondo un corpus rilevante di studi scientifici, e decide di non far vaccinare il figlio per mancanza di risposte soddisfacenti dell’istituzione sanitaria, il rifiuto di firmare il modulo viene sanzionato con la multa o con l’espulsione dalla scuola. In che cosa consiste dunque la libertà del consenso? Può un’opzione libera essere soggetta a sanzione? E può esserci obbligo in presenza di rischi gravi o in assenza di certezze di innocuità? A fronte di mille studi che non rilevano relazione causale fra vaccini e patologie, ne bastano anche pochi che la individuino per invocare il principio di precauzione. E ce ne sono centinaia. Uno studio recente ne cita 1200.

In settimo luogo, appare irragionevole l’assenza di esami prevaccinali e standardizzazione della profilassi. Benché infatti la legge 119 preveda l’effettuazione di esami prevaccinali per verificare l’avvenuta immunizzazione naturale per le malattie coperte da vaccino e la possibilità di ricevere vaccini monodose, in caso di immunità precedente, e benché una legge precedente (DL 124/1998, art. 2 lett. b) preveda la gratuità di tali esami, una circolare (al punto 3) ha ingiunto ai medici e ai pediatri di base di non prescrivere tali esami a titolo gratuito e i vaccini monodose sono pressoché irreperibili (costerebbero molto meno dei prodotti polivalenti, che sono coperti da brevetto). Si somministrano gli stessi e costosissimi prodotti polivalenti a tutti, anche a chi è già immunizzato naturalmente. Di fatto, quindi, l’unica anamnesi possibile, anche in caso di familiarità con gravi patologie, è quella a vista. Non c’è nemmeno il tempo di un colloquio approfondito, dato il sovraffollamento delle ASL. Per un neonato di poche settimane, si tratta di una vera roulette russa; per un bambino più grande, si corre il rischio di somministrare dosi inutili, con aggravio di rischio per lui e i costi per lo Stato. Un trattamento medico preventivo, la cui efficacia soggettiva è sconosciuta, somministrato in modo standardizzato a prescindere dalle condizioni generali di salute dei bambini e riconoscendo come unica controindicazione praticamente solo lo shock anafilattico, non può che avere effetti imprevedibili per tutti quei soggetti che presentano una vulnerabilità genetica o condizioni particolari, ma non visibili, che, associate alla vaccinazione, possono produrre effetti avversi anche gravissimi, segnalati peraltro nei documenti della case farmaceutiche come risultanti dagli studi clinici sul vaccino. Lo dimostra anche la relazione di illustri luminari nell’inchiesta parlamentare della Commissione Difesa. L’irrazionalità della misura si palesa, se si pensa che non c’è nessuna emergenza epidemica in atto. Un vantaggio incerto, a fronte di un rischio certo o probabile, contrasta con il principio ippocratico primum non nocēre.

In ottavo luogo, il rapporto fra Stato e cittadini viene gravemente compromesso da questa legge liberticida. Un Ministro arrogante e incompetente, che pontifica su tutti i media asserviti imbonendo e spaventando il pubblico con plateali bugie, mai smentita o corretta, anzi, rinforzata da autorità sanitarie che dovrebbero tutelare la salute pubblica per compito istituzionale, la censura illiberale perfino della visione di film di denuncia come Vaxxed o dei manifesti affissi dalle associazioni contrarie all’obbligo, la censura clamorosa della parte della relazione parlamentare della Difesa sulle vaccinazioni, la censura dei documenti critici su Internet con la scusa delle fake news, l’occultamento nei media di ogni evidenza contraria alla fede cieca nel valore salvifico delle vaccinazioni di massa, la diffamazione sistematica e autoritaria dei cittadini critici e dei medici scrupolosi fanno somigliare questa politica sanitaria più al fascismo che alla democrazia. Le strategie comunicative utilizzate sono identiche a quelle indicate da Goebbels per la propaganda nazista contro gli Ebrei. Gli esiti politici più nefasti cominciano sempre con progressione graduale. Non c’è nulla di cui stare tranquilli, perché se il pubblico accetta il gioco al massacro, la china è pericolosamente in discesa. Al di là delle intenzioni esplicite di questa classe politica, un linguaggio così discriminatorio e intossicante genera assuefazione delle menti e distrugge il tessuto stesso della democrazia, che è fatto di tolleranza, di libertà, di dialogo, di solidarietà e di inclusione sociale.

Per un partito come il PD che vanta un antifascismo solo di facciata, questo autoritarismo sanitario, che proclama la natura non democratica della scienza, che addita i bambini non vaccinati come dei pericolosi untori e i loro genitori come nemici del popolo e che tratta i medici dissenzienti come eretici infedeli, soggetti a scomunica dalla Santa Inquisizione autoproclamatasi scientifica e così curiosamente vicina gli interessi di Big Pharma, rappresenta veramente la caduta della maschera di un potere intrinsecamente feroce e dispotico. Forse non viene pienamente percepita dai vertici della politica nazionale, ma la rottura del patto di fiducia con una parte consistente di cittadini più consapevoli è totale e irrimediabile. E quando il contratto sociale viene così gravemente violato, al punto che lo Stato si arroga il diritto di entrare intrusivamente nel corpo dei cittadini più indifesi e lo fa con determinazione così violenta e intollerante, la disobbedienza civile può assumere forme imprevedibili. In questo senso, non si tratta solo di un esperimento sanitario, ma di un esperimento politico in grado di saggiare la capacità di reazione democratica del popolo italiano. Lasciarsi fare questo vuol dire mostrarsi inermi a qualunque arbitrio del potere, che potrà controllare ciascuno di noi mediante obblighi e vessazioni altrettanto ingiusti e intrusivi, giustificati con ragioni pretestuose.

Questa è la ragione per la quale da mesi continuo a portare l’attenzione delle persone sinceramente democratiche sull’obbligo vaccinale. Questa legge, oltre ad essere contraria alla Costituzione, è pure contraria alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Articolo 3, pag. 9), che afferma chiaramente : “Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”. La Convenzione del Consiglio Europeo per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione della biologia e della medicina afferma chiaramente: “L’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza” (Articolo 2 – Primato dell’Essere Umano) . Essa afferma anche: “Un intervento nel campo della salute può essere effettuato solo dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato su di esso. Questa persona deve ricevere innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e rischi. La persona interessata può liberamente ritirare il proprio consenso in qualsiasi momento.”  (Articolo 5 – Regola Generale)

Occorre perciò contemperare, in un testo normativo, i principi di protezione della salute personale, di tutela del bene comune, di personalizzazione della cura e di libertà di scelta in materia sanitaria, ricordando che la maggior parte dei vaccini sono studiati per la protezione personale e non per contenere le epidemie e che ci deve essere congruenza fra la misura preventiva e il rischio di contagio (quando la malattia ha bassa o bassissima incidenza e il rischio di contagio è scarso, può non aver senso vaccinare a tappeto, sia per i rischi sia per i costi). Occorre infine considerare che per alcune malattie ci sono forme alternative di prevenzione e/o di terapia e che la vaccinazione di massa può influire sulla selezione di ceppi di microorganismi resistenti per pressione selettiva, vanificando l’effetto della vaccinazione.

Una legge vaccinale rispettosa dei diritti costituzionali, partendo dall’indispensabile abrogazione della legge 31 luglio, 2017, n° 119, potrebbe prevedere le seguenti misure:

1) La libertà di scelta in materia vaccinale, come nella maggior parte dei Paesi europei. Si può considerare l’obbligo temporaneo solo in caso di gravi epidemie, opportunamente definite dalla legge.

2) Abolizione di ogni forma di sanzione per i genitori che decidono di non vaccinare i figli.

3) Abolizione di ogni obbligo di vaccinazione e di ogni certificazione vaccinale per l’accesso alle scuole e alle professioni.

4) Monitoraggio molto stretto dei conflitti di interesse in ambito sanitario ed espulsione dalle istituzioni pubbliche di figure professionali coinvolte a qualsiasi titolo con le aziende farmaceutiche.

5) Promozione di campagne sanitarie per le vaccinazioni gratuite di soggetti a rischio.

6) Sovvenzione a centri di ricerca pubblici che studino e producano vaccini non soggetti a brevettazione e disponibili in formulazione monodose e sostituzione più ampia possibile di vaccini prodotti da enti pubblici nazionali o internazionali ai vaccini commerciali, assai più costosi.

7) Finanziamento e rafforzamento degli organismi indipendenti di farmacovigilanza attiva sui vaccini.

8) Obbligo per i medici e il personale sanitario di segnalare agli enti di sorveglianza gli effetti avversi, con relativa sanzione per gli inadempienti.

9) Obbligo, per il personale sanitario addetto alle vaccinazioni, di fornire un’informazione completa agli utenti e di segnalare ingredienti, rischi di contagio ed effetti avversi dei singoli preparati vaccinali, per consentire la sottoscrizione di un autentico consenso informato.

10) Nessun incentivo economico ai medici per l’attività di vaccinazione.

11) Promozione e finanziamento di studi approfonditi e sistematici di comparazione fra soggetti vaccinati e non vaccinati a breve, medio e lungo termine; sulla relazione fra effetti avversi ed età di somministrazione; sull’effetto singolo e combinato degli adiuvanti e degli eccipienti dei vaccini, come avviene per gli alimenti; trial clinici controllati e randomizzati sull’efficacia dei singoli preparati vaccinali (che oggi non vengono fatti per presunte ragioni etiche); ricerche sulle alternative alla vaccinazione nella prevenzione e nella profilassi delle malattie infantili; studi sugli esami atti a prevedere possibili danni vaccinali (adversomica).

12) In caso di utilizzo di preparati vaccinali commerciali, attribuzione di responsabilità civile e penale degli effetti avversi in capo alle aziende produttrici e possibilità di class action dei cittadini.

13) Messa al bando da ogni commessa pubblica delle aziende già condannate in via definitiva anche in altri Paesi per frode, corruzione, finanziamento illecito e violazione delle norme di sicurezza in materia sanitaria.

14) Controllo meticoloso, costante e trasparente dei singoli lotti vaccinali, attuato nei laboratori pubblici e volto ad escludere contaminazioni da materiale biologico estraneo, nanoparticelle, sostanze chimiche e metalliche, residui del processo di lavorazione.

15) L’approvazione di una nuova legge sulle autopsie, che superi le ormai obsolete indicazioni della circolare Fani del 1910 e sostituisca alla conservazione in formalina la crioconservazione dei campioni autoptici, perconsentire la rilevazione di virus e batteri nei tessuti e l’accertamento dei danni vaccinali.

16) La tutela completa, immediata e adeguata delle persone danneggiate dalla vaccinazione, se consigliata dalla Sanità pubblica.

17) L’effettiva gratuità degli esami sierologici prevaccinali e degli esami volti ad approfondire altri aspetti della salute, in caso di patologie individuali o di familiarità a patologie gravi (per esempio, autoimmuni).

18) L’obbligo per la stampa di un’informazione completa, corretta e imparziale in materia sanitaria.

Questa la mia proposta. La lascio alla libera discussione dei lettori.

Invito alla lettura del libro di Paolo Bellavite, Vaccini sì, obblighi no, Cortina ed., 2017 e al volume AA. VV. (a cura di Roberto Gava), Le vaccinazioni di massa. Prevenzione, diagnosi e terapia dei danni, Salus Infirmorum ed., 2014.


La mia proposta accoglie alcuni spunti provenienti dalla riflessione politica del gruppo FB Free-Vax Italia, al quale va il mio ringraziamento.

L’obbligo vaccinale: come orientarsi fra le diverse posizioni in campo? [parte terza]

Fonte: Il Fatto quotidiano, 17/01/2013 (https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/17/che-senso-hanno-attuali-vaccinazioni-pediatriche-di-massa/472111/).

Dopo i primi due articoli sull’obbligo vaccinale, il primo sugli aspetti etico-giuridici, il secondo sulle modalità autoritarie e manipolative del decreto Lorenzin, proseguo la riflessione sull’argomento provando a delineare un quadro complessivo dello scontro in corso, nella speranza di poter fornire un primo schema orientativo nell’enorme complessità della questione, senza alcuna pretesa di completezza e senza alcuna presunzione di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Siamo infatti pienamente nel campo dell’opinabile, nonostante la strategia mediatica di contrapporre Verità ed eresia, ed è giusto che ciascuno si formi un’opinione propria. D’altra parte, quello che proverò a ricostruire è un dibattito impossibile, per il rifiuto delle istituzioni politiche e sanitarie a dialogare con posizioni critiche, a beneficio dei cittadini e della trasparenza democratica.


Per fare un quadro sintetico delle diverse posizioni in tema di obbligo vaccinale, occorre elencare ed esaminare alcuni punti controversi del dibattito e vedere con quali argomenti vengono affrontati dalle varie fazioni. Questo resoconto cerca di essere descrittivo e sufficientemente imparziale, anche se chi scrive ha maturato una chiara posizione personale, esplicitamente dichiarata, sulla base dei fatti richiamati.

Sono però necessarie almeno tre premesse.


In primo luogo, c’è una sproporzione macroscopica di forze in campo: da una parte, il Governo, gli accordi commerciali internazionali del GHSA, le multinazionali farmaceutiche, la finanza internazionale (che punta sui cosiddetti bond vaccinali), i vertici delle istituzioni sanitarie pubbliche, l’Ordine dei Medici e la stampa mainstream, dall’altra dei gruppi numerosi, ma minoritari di cittadini combattivi (continuamente delegittimati e ridicolizzati dal blocco politico-sanitario-mediatico), un numero significativo di medici, soprattutto clinici, ma anche ricercatori (intimiditi e minacciati di radiazione dall’Ordine professionale per ogni presa di posizione critica) e un proliferare di associazioni e iniziative dal basso, accuratamente silenziate dalla stampa e dalla televisione. Il sociologo Ugo Viale ha sintetizzato benissimo la questione della contestazione al decreto Lorenzin e della inaccettabile censura alla quale è stata sottoposta.

In secondo luogo, le modalità del dibattito sono palesemente drogate da falsità, colpi bassi e fallacie argomentative che sono più tipiche di un sistema autoritario che di una democrazia avanzata e di un serio dibattito scientifico. Questo aspetto comunicativo rende difficile formarsi un’opinione basata su dati obiettivi, come sarebbe necessario in democrazia, e nell’insieme indebolisce la forza persuasiva degli argomenti “ufficiali”, ingenerando il sospetto che non siano così solidi, se devono essere sostenuti in modo manipolativo o decisamente coercitivo, anziché attraverso una discussione razionale, serena e pacata.

In terzo luogo, è necessario scindere la valutazione della necessità, sicurezza ed efficacia delle singole vaccinazioni – ricordando che tale valutazione non può essere fatta in blocco, ma sempre sui singoli preparati farmaceutici e sugli eventuali effetti aggregati – dalla opportunità, legittimità ed efficacia dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge che impone la vaccinazione obbligatoria di massa, sanzionando chi nega il consenso. I due piani del discorso non sono facilmente separabili, perché il secondo implica il primo, ma vanno comunque tenuti distinti. Noi ci occuperemo soprattutto dell’obbligo vaccinale, ovvero della legge Lorenzin.

Le posizioni sull’obbligo vaccinale (favorevole/sfavorevole) si incrociano con il grado di rigidità delle rispettive posizioni (alto/basso), generando complessivamente quattro atteggiamenti diversi:

1) COERCITIVI (favorevoli/rigidi), che possiamo indicare con la sigla COE, per i quali i vaccini sono assolutamente necessari, sicuri ed efficaci; gli effetti avversi per definizione non esistono o sono trascurabili; il rapporto costi/benefici è per definizione favorevole a prescindere per qualsiasi vaccino; non c’è limite al numero di vaccini che si possono somministrare in sicurezza; è necessario avere la massima copertura vaccinale; è giustificato obbligare a prescindere dalle condizioni soggettive, anche sacrificando altri diritti fondamentali, come l’integrità fisica, il diritto allo studio o ad un trattamento non discriminatorio; è giustificato radiare i medici che sconsigliano le vaccinazioni e punire i genitori resistenti;

2) TOLLERANTI (favorevoli/flessibili), che possiamo indicare con la sigla TOL, per i quali i vaccini sono complessivamente necessari, sicuri ed efficaci, ma non in blocco; esistono casi particolari di salute e circostanze che possono sconsigliarne l’uso; essendo farmaci, possono avere effetti avversi, che vanno attentamente monitorati; l’obbligo vaccinale è ammissibile e necessario in casi di emergenza sanitaria, mentre va attentamente valutato come regola, considerando ciascun vaccino caso per caso e senza generalizzazioni; si deve armonizzare l’obbligo vaccinale con gli altri diritti soggettivi; il numero di vaccinazioni obbligatorie deve essere sempre limitato al necessario; occorre rigore scientifico nel valutare gli effetti avversi; non si deve punire chi si sottrae all’obbligo;

3) LIBERALI (sfavorevoli/flessibili), che possiamo chiamare LIB, per i quali i vaccini possono essere anche utili, ma sempre a seconda del contesto, della persona e del singolo farmaco; essendo farmaci, per di più somministrati a soggetti sani, comportano comunque un rischio, perciò la scelta di vaccinarsi deve essere assolutamente libera e lo Stato deve solo renderla accessibile e gratuita, previa attenta verifica che il rapporto costo/beneficio sia davvero favorevole per ciascun individuo, visto che varia a seconda delle condizioni e del tipo di vaccino; l’obbligo non è giustificabile, se non in casi di gravissima emergenza sanitaria, e costituisce una violazione di diritti umani fondamentali, perché sacrifica la salute del singolo al presunto bene della collettività; gli effetti avversi vanno monitorati con rigore molto maggiore dell’attuale; i medici critici verso le vaccinazioni vanno ascoltati, perché il principio di precauzione deve avere il sopravvento; devono essere esclusi rigorosamente i conflitti di interesse dall’ambito sanitario; i danni devono essere risarciti dalla case farmaceutiche e non dallo Stato;

4) RADICALI (sfavorevoli/rigidi), che possiamo chiamare RAD, per i quali i vaccini sono per lo più inutili e dannosi; l’obbligo non si giustifica in nessuncaso e si presenta come un abuso violento dello Stato sul corpo dei cittadini più indifesi; chi non vuole vaccinarsi deve poterlo fare senza conseguenze; i medici critici sono la prova che non c’è unanimità nemmeno sull’efficacia delle vaccinazioni; lo Stato e le autorità sanitarie dovrebbero, per recuperare un minimo di credibilità ai loro occhi, tutelare la salute anche in altro modo.

Le precedenti definizioni sono da preferire rispetto a quelle attualmente in voga di PRO-VAX (posizioni COE e TOL), di FREE-VAX (posizione LIB) e di NO-VAX (posizione RAD), perché non si tratta di posizioni pro o contro i vaccini, come si è voluto far credere all’opinione pubblica in questi mesi con una certa dose di mistificazione politica, bensì pro o contro l’obbligo vaccinale nelle forme assai rigide del decreto Lorenzin. In realtà, nemmeno l’unica posizione contraria sia all’obbligo che ai vaccini (quella RAD) pretende di imporre a nessuno il proprio punto di vista né critica chi voglia vaccinarsi. Vi si riconoscono molti genitori i cui figli hanno subito gravi danni dalle vaccinazioni.

Bisogna osservare che la posizione LIB è attualmente quella di gran lunga maggioritaria in Europa, nonché quella che personalmente condivido, benché le spinte politico-commerciali verso un’estensione dell’obbligo ad altri Paesi sia forte, come si è visto in Francia, dove in un Parlamento semideserto alla vigilia di Capodanno è stata approvata una legge che introduce 11 vaccini obbligatori dal 2018. Di recente, la posizione LIB è stata sostenuta con forza anche da una rivista scientifica prestigiosa come Nature, in un editoriale sull’obbligo vaccinale in Francia. Essa punta sulla persuasione, considerandola più efficace dell’obbligo; contesta solo la coercizione su chi non vuole e rivendica il diritto di scegliere come gestire la propria salute, non dando affatto per scontato che la vaccinazione sia l’unico mezzo per raggiungere lo scopo di fare prevenzione attiva. La posizione TOL era quella di fatto presente in Italia prima del decreto Lorenzin ed è tuttora condivisa da molti medici. Il decreto stesso si situa nella posizione COE, sostenuta da alcuni medici molto in vista e vicini al potere e, ovviamente, ben vista dalle case farmaceutiche ed è stata imposta con puro atto d’imperio dal governo senza alcuna possibilità di dibattito dei sostenitori COE con le altre tre categorie elencate all’inizio.

Per entrare nel vivo della discussione, proverò a mettere a confronto le quattro posizioni su alcune questioni fondamentali della controversia sul decreto Lorenzin.

  1. Perché introdurre l’obbligo vaccinale?
  2. Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?
  3. Perché proprio quei 10 vaccini?
  4. Perché escludere dalla scuola i bambini non vaccinati?
  5. Esistono o no gli effetti avversi?
  6. Chi deve risarcire i danni?
  7. I vaccini sono efficaci? E lo sono tutti allo stesso modo o alcuni più di altri?
  8. Perché radiare i medici dissenzienti?
  9. Qual è il ruolo della scienza medica in una società democratica?

NOTA BENE: I documenti a cui fare riferimento per ciascuna affermazione sono moltissimi e di diversa qualità. Ho scelto intenzionalmente di preferire documenti in lingua italiana (quando possibile), per rendere più agevole la lettura ed ho dovuto comunque effettuare una scelta, senza alcuna pretesa di completezza. Molti argomenti sono assai controversi anche fra i ricercatori e non mi è sembrato necessario proporre lunghi elenchi di studi in lingua inglese (che pure esistono). Ho preferito documenti di tipo giornalistico, a cui ciascuno darà il valore che ritiene di dover dare; molti di essi contengono link ai documenti originali. Chi vuole, troverà modo di approfondire. Lo scopo di questo articolo, ripeto, è solo dare un’idea, in assenza di un confronto pubblico fra esperti che consenta di formarsi un’opinione.

1. Perché introdurre l’obbligo vaccinale?

COE e TOL. Perché vaccinare l’intera popolazione permette di elevare oltre i livelli critici l’effetto gregge e quindi di proteggere i bambini non vaccinabili. Le vaccinazioni sono indispensabili per ridurre la diffusione delle malattie e le relative complicanze e per migliorare lo stato di salute della popolazione. In Italia, la percentuale di vaccinazioni è scesa sotto tale soglia critica del 95% e c’è il rischio di epidemie, perciò si rende necessario l’obbligo, come ha segnalato anche l’OMS. Le vaccinazioni di massa sono un risparmio economico per il paese rispetto al costo sanitario di dover curare eventuali malati; recuperare/ridurre i suscettibili è prioritario e irrinunciabile.

COE non distingue fra patologie (tutte egualmente gravi e tutte da affrontare esclusivamente tramite vaccinazione di massa, ad assoluta discrezione dell’autorità sanitaria), mentre TOL distingue fra le varie patologie e fa valutazioni di caso in caso.

LIB E RAD. La vera ragione, richiamata dal testo del decreto Lorenzin (D. L. 7 giugno 2017, n. 73: “Ritenuto altresì necessario garantire il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale”), è l’accordo politico-commerciale fatto con le multinazionali del farmaco nel 2014 a Washington, il GHSA, del cui contenuto peraltro non si sa ufficialmente nulla (a che cosa esattamente ci siamo impegnati e in cambio di che?), che prevede di vaccinare 4 miliardi di persone entro 5 anni, e si tratta di un affare assai più lucroso di qualunque investimento farmaceutico, reso sicuro dall’obbligatorietà. L’effetto gregge è un calcolo probabilistico teorico basato sull’osservazione delle conseguenze dell’immunizzazione naturale, diverso per ogni malattia, e non sembra avere un senso preciso applicato all’immunità da vaccino, visto che viene continuamente smentito dai fatti; inoltre le soglie sbandierate dal Ministero della Salute (95% per tutte le malattie) non corrispondono a quelle – assai più blande e soprattutto differenziate – dell’OMS. Per un approfondimento sull’effetto gregge e sull’immunità di gregge, nonché degli aspetti controversi relativi alle vaccinazioni, si può leggere l’analisi pacata del prof. Paolo Bellavite, Professore Associato di Patologia Generale, Università degli Studi di Verona.  Qui si possono leggere le soglie di riferimento calcolate da diversi ricercatori e adottate dall’OMS. L’approfondimento della nozione di “effetto gregge” (o “immunità di gregge”) è fondamentale per qualunque discussione sui vaccini. Non per niente ne è stato fatto un uso improprio a sostegno dell’obbligo vaccinale, come si può leggere qui

Anche vaccinando tutti i bambini fra 0 e 16 anni si raggiunge una quota assai piccola della popolazione totale, benché in crescita di anno in anno (14-15%, altro che 95%!), non si garantisce l’immunizzazione per tutti né un’immunità permanente come avviene con la malattia (si parla di 2-10 anni di durata) e vaccinare tutta la popolazione per raggiungere una quota teorica del 95% è inutile, oltre che impossibile, dato che l’immunità non è garantita (alcune persone non la sviluppano proprio), non è permanente, con continui richiami la vaccinazione costerebbe troppo rispetto al vantaggio (aumentando i rischi di danno) e la malattia si potrebbe diffondere all’interno della popolazione interamente vaccinata, come avvenuto in Mongolia per il morbillo (50.000 casi fra 2015 e 2016 su una popolazione di 3,2 milioni di persone con il 99% di copertura vaccinale e oltre il 95% con almeno due dosi; in Italia siamo a 3-4000 casi l’anno nei momenti di picco su 60 milioni, per intenderci) e negli USA per la parotite. Molti adulti vaccinati nei decenni scorsi non sono più coperti dal vaccino, eppure non sono scoppiate nuove epidemie. I vaccini non impediscono le epidemie, perché sono progettati per lo più per proteggere la persona che li riceve, non per impedire il contagio (è il caso, per esempio, del vaccino contro il tetano, che non è contagioso, di quello antidifterico, di quello antipolio e di quello antipertossico). Anzi, subito dopo alcune vaccinazioni i bambini possono essere contagiosi (è il caso, per esempio, di vaccino contro poliomielite, morbillo, rosolia, pertosse e varicella, come suggerisce l’ospedale John Hopkins nella sua “guida per i pazienti”, dove, in caso di immunodepressione, raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati) e possono essere pericolosi – benché sia un evento raro – per i coetanei e per le donne in gravidanza, come scritto nelle schede tecniche dei vaccini MPRV (si legga la scheda tecnica del Priorix Tetra, pagina 2). I bambini immunodepressi non sono affatto al sicuro in mezzo a bambini vaccinati, che quasi mai seguono le avvertenze indicate nei foglietti illustrativi e sui quali nessuno verifica l’effettiva immunizzazione vaccinale; inoltre, sono esposti a molte malattie per le quali non esistono vaccini e devono essere tutelati in altro modo. Perciò si deve lasciare ai singoli e alle famiglie la decisione se vaccinarsi o no.

2. Qual è la finalità dell’obbligo vaccinale?

COE e TOL. Assicurare un’adeguata protezione ai bambini e migliorare la loro salute, preservandoli dai rischi delle malattie infettive. Sottrarre alle famiglie la decisione, per contrastare l’ignoranza in materia e la disinformazione prodotta da ricerche non controllate. Ridurre in prospettiva la spesa pubblica per i danni delle malattie.

LIB e RAD. Al contrario, la finalità è favorire in modo non trasparente interessi privati, cosa di cui in Italia abbiamo già fatto esperienza in passato (si ricordino i casi delle tangenti a De Lorenzo e Poggiolini per l’introduzione del vaccino antiepatite B obbligatorio e lo scandalo della collusione internazionale fra OMS, case farmaceutiche e autorità sanitarie per la vendita di vaccini non adeguatamente testati per l’influenza aviaria e quella suina, che causarono molti danni da vaccino). Si ricordi inoltre che i preparati polivalenti sono coperti da brevetto farmaceutico e costano molto di più di quelli singoli, che per questo non si trovano più (per capirci: stando ai prezzi trovati in siti di prodotti farmaceutici o delle ASL, l’esavalente Infanrix Hexa costerebbe 98 euro e l’MPR Prorix circa 28 euro a dose; il vaccino tetravalente contro la meningite Menveo costerebbe circa 99 euro a dose; viene anche raccomandato con insistenza pure ai maschi il Gardasil contro il papillomavirus, a ben 171 euro a dose). La questione è stata oggetto di denuncia del Codacons  e trattata nella tv pubblica francese nel 2016 (qui un estratto sottotitolato in italiano ). Nel primo anno, secondo calendario vaccinale, i neonati dovrebbero fare una quindicina di iniezioni e ricevere più dosi, per oltre 30 inoculazioni complessivamente delle malattie coperte da vaccino, secondo il Piano Nazionale di Prevenzione vaccinale 2016-2018  (pp. 48-50). Quanto costi ai contribuenti, sarebbe un’interessante informazione, come rilevato dall’Antitrust già nel 2016. I conflitti di interesse sono stati rilevati a proposito di alcune figure di medici dal doppio ruolo pubblico e privato (nelle multinazionali farmaceutiche) che hanno scritto questa legge.

Se fosse l’interesse per la salute dei bambini a prevalere, il Ministro Lorenzin non avrebbe mentito spudoratamente sui bambini morti per morbillo in Inghilterra; i medici responsabili della Sanità pubblica l’avrebbero corretta e non avrebbero avallato la diffusione di notizie tendenziose (per esempio, che i bambini sani non vaccinati sono pericolosi); l’AIFA avrebbe consegnato in tempo e il Ministro avrebbe recapitato ai Parlamentari il Rapporto 2014-15 sui danni da vaccino (pubblicato in seguito a procedimento legale del Codacons); non si sarebbero ingigantiti come flagelli di Dio i casi del tutto nelle norma di meningite e di morbillo; si sarebbero fatti studi sugli effetti cumulativi dei 10 vaccini obbligatori, invece di renderli obbligatori con irresponsabile leggerezza, senza nemmeno un solo studio preliminare, configurando un vero e proprio esperimento di massa non dichiarato; non si continuerebbe a negare irragionevolmente l’esistenza degli effetti avversi a prescindere da ogni dato di fatto, a fronte del numero molto elevato di casi accertati di cui la stessa Lorenzin ha dato notizia in Parlamento; si sarebbe migliorato il servizio di farmacovigilanza, che mostra parecchie lacune; non si sarebbe emanata una circolare per i medici che riduce irragionevolmente le controindicazioni alla vaccinazione praticamente al solo shock anafilattico; le ASL non impedirebbero di fare gratuitamente le analisi prevaccinali previste dalla legge in caso di obbligo e non si sarebbe minacciato di radiazione qualunque medico che sconsigli la vaccinazione.

L’obbligo vaccinale potrebbe preludere ad altre gravi limitazioni della libertà personale, che potrebbero in futuro minare definitivamente il diritto di un cittadino a proteggere il suo corpo e a difendersi da un’autorità arbitraria che voglia controllarlo o condizionarlo. Sugli aspetti pericolosamente antidemocratici e illiberali di questa legge ha scritto il sociologo Ugo VialeQui anche un video.

3. Perché proprio quei 10 vaccini?

COE Nessuna risposta. Così hanno deciso le Autorità sanitarie per garantire la necessaria copertura della popolazione. Somministrati in forma polivalente (esavalente + quadrivalente), che sono i formati commercialmente disponibili, consentono di fare solo due iniezioni, pur esistendo anche (pochi) altri vaccini monodose. Si può ascoltare il Ministro Lorenzin.

TOL Forse sarebbe stato meglio valutare con maggiore calma. Il vaccino per il morbillo sembra il più indispensabile; si poteva aggiungere ai 4 già esistenti e lasciare gli altri facoltativi. La discussione è troppo polarizzata e volerla estremizzare nuoce ad una sana discussione tecnico-scientifica.

LIB. L’assenza di motivazione è già una risposta. Non c’è nessuna ragione di necessità e urgenza per l’obbligo indiscriminato, per nessuno dei 10 vaccini, nemmeno per il morbillo, dato che il numero di casi registrati l’anno scorso rientra rimane nei limiti delle normali oscillazioni cicliche della malattia (nel 2002, con quasi 3 volte i casi del 2017, non ci fu alcun allarme morbillo). Lo ha detto perfino Gentiloni. Il decreto è passato con il voto di fiducia, senza un’adeguata valutazione e senza alcuna trasparenza. Il caso Ricciardi insegna, come rilevato anche dalla giornalista Giulia Innocenzi

Non ci sono rischi epidemici per nessuna delle 10 malattie, come si vede in buona parte dell’Europa dove l’obbligo non c’è, e si poteva tranquillamente sospendere l’obbligo e monitorare, agendo a livello locale laddove si manifestassero eventuali focolai. Il tetano non è contagioso. La poliomielite e la difterite sono pressoché scomparse; il poliovirus si trova ancora praticamente solo nei vaccini ed è assente in Europa da 35 anni. L’epatite B è una malattia grave, ma si trasmette per via ematica e sessuale e il vaccino in età neonatale si può giustificare solo in presenza di rischi accertati. Si poteva al più consigliarlo in età più avanzata. Il morbillo è contagioso anche fra vaccinati; il vaccino, impedendo l’immunità naturale e ritardando nel tempo la malattia, perché sposta in avanti la soglia di suscettibilità senza fornire un’immunizzazione duratura, non protegge i neonati attraverso gli anticorpi materni con l’effetto che la malattia tende a colpire soprattutto gli adulti (non immunizzati per via naturale) e i neonati, per i quali è più pericoloso. L’immunizzazione vaccinale delle madri è infatti meno efficace dell’immunizzazione naturale e non si trasmette attraverso la placenta, proteggendo i neonati nei primi mesi di vita. Quindi, sarà anche utile, ma non risolutivo, visto che il traguardo dell’eradicamento si sposta sempre in avanti da decenni, senza mai essere raggiunto con qualunque soglia di copertura vaccinale. Il vaccino per la parotite non impedisce né la malattia né il contagio in un numero consistente di casi. Il vaccino contro l’Hemophilus Influentiae B – molto raro, peraltro (12 casi di malattia invasiva nel 2016 in Italia, 4 in vaccinati, 5 in adulti, 3 in non vaccinati su 60 milioni di abitanti, ovvero lo 0,00002%) – non protegge dai ceppi non tipizzabili, che sono i più frequenti e viene somministrato arbitrariamente fino a 17 anni, nonostante non sia raccomandato oltre i 4 anni, anche secondo il “Board Calendario per la vita” (con l’irresponsabile faciloneria che caratterizza l’applicazione di questa legge). Utilizzare un vaccino al di fuori del range di età per cui è stato autorizzato e testato può essere inutilmente pericoloso e rappresenta una palese violazione del codice di deontologia medica (art. 13 e 18). Ma anche il vaccino esavalente viene indicato come obbligatorio dal Board calendario per la vita ben oltre la fascia di età per il quale è stato testato. Un caso interessante è il vaccino anti-meningococco B, prima inserito fra gli obbligatori e poi tolto. Qui il rapporto costi-benefici è davvero assai dubbio. Nell’inserto con le “caratteristiche del prodotto” della ditta produttrice attualmente online si riferisce, per esempio, di un 2,1% di effetti aversi registrati negli studi di approvazione del prodotto. Si tratta di un numero molto elevato, specie per una malattia di così bassa incidenza. Sulla base di questi dati, il numero di effetti avversi gravi per questo vaccino registrati dall’AIFA (175 nel 2016 e 60 nel 2015) andrebbero moltiplicati rispettivamente per 35 o per 47 volte. Un esempio di come il rapporto costi-benefici vada valutato su ogni singolo vaccino e di quanto siano sottostimati i dati dell’AIFA. E anche di come si ignorino allegramente le indicazioni sulla fascia di età per la quale il farmaco è stato approvato, ovvero dai 10 anni d’età in su, con due dosi. In Italia invece lo si somministra anche ai neonati a partire dai tre mesi di età, con tre dosi.

Da ultimo, le quattro Commissioni parlamentari della Difesa che hanno indagato sulle cause delle gravi patologie che colpiscono i militari italiani, dopo anni di accertamenti hanno focalizzato l’attenzione sui vaccini e in particolare sull’MPR, giungendo a raccomandare il numero massimo di 5 vaccini per i soldati in servizio.  Perché ai militari 5 e ai neonati di pochi giorni 10 (più quelli raccomandati, che possono fare 14), a prescindere dalle loro condizioni (prematuri, sottopeso, affetti da patologie ecc.), senza avere nemmeno uno solo studio che abbia indagato in via preventiva gli effetti di questa particolare associazione di vaccini, confrontando gruppi randomizzati di bambini vaccinati con questi 10-14 vaccini e bambini non vaccinati? Ai genitori italiani è stato taciuto che i loro figli sono sottoposti ad un esperimento di massa senza codice etico e senza possibilità di scelta volontaria. Roba da dittatura nazista, altro che consenso informato! E non si tratta di un’esagerazione: un esperimento obbligatorio violerebbe il Codice di Norimberga.

Un problema ulteriore è dato dalla presenza di nanoparticelle e di metalli neurotossici in alcuni campioni di preparati vaccinali (peraltro assenti in analoghi prodotti veterinari). Si può ascoltare un’intervista alla dottoressa Antonietta Gatti, fisico e bioingegnere di fama internazionale (osteggiata violentemente da quando si occupa di vaccini con il marito, dottor Stefano Montanari) e uno studio dell’infettivologo e specialista in Medicina preventiva dottor Fabio Franchi sulla quantità di sali di alluminio non solubili iniettati per via intramuscolare nei neonati, che supera di molto le dosi massime indicate dall’EMA (peraltro, è ignoto quale quantità massima di alluminio iniettato per via intramuscolare in forma di sali insolubili sia tollerabile per un neonato senza provocare danni, ma la cosa non sembra suggerire alcun atteggiamento di precauzione).

[continua]

Ma davvero non c’è modo di dare ai docenti un reddito dignitoso?

Umiliare i docenti con uno stipendio da fame, mentre si trovano seduta stante i fondi per il salvataggio delle banche o per l’acquisto degli F35 e si regalano stipendi d’oro a dirigenti pubblici, appare evidentemente frutto di una volontà politica precisa e della volontà di liquidare il prestigio e il ruolo sociale dell’istruzione in questo Paese.

La litania del debito pubblico e dei parametri europei è una finzione che viene dall’aver rinunciato alla sovranità monetaria (il potere più grande dello Stato), aderendo senza discussione ai Trattati europei. Le conseguenze erano implicite nelle premesse, solo che i governanti del tempo si guardarono bene dall’illustrarle al popolo.

Eppure, pur nei limiti strettissimi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU), che obbliga gli Stati membri a comprare euro a debito come una valuta straniera, sono possibili delle vie d’uscita. Lo dicono diversi economisti di area keynesiana, come Nino Galloni, i quali sostengono che lo Stato mantiene titolo ad emettere stato-note, buoni di acquisto o crediti fiscali, che possono essere utiizzati dai dipendenti pubblici per acquistare beni o servizi e dai fornitori di tali beni e servizi per pagare le tasse.

Per entrare più nel dettaglio, l’art. 128 TFEU dice: “La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.

2. Gli Stati membri possono coniare monete metalliche in euro con l’approvazione della Banca centrale europea per quanto riguarda il volume del conio”. La Banca d’Italia traduce questa norma così sul sito web: “La moneta fiscale non potrebbe avere corso legale; il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 128) e il Regolamento EC/974/98 (art. 2, 10 e 11) stabiliscono, infatti, che le banconote e le monete metalliche in euro sono le uniche con corso legale nell’unione monetaria“. In realtà, l’art 128 non dice quello che afferma la Banca d’Italia. Non dice che l’unico mezzo legale di pagamento sono le banconote e le monete metalliche in euro (peraltro, queste già prerogativa degli Stati), ma dice che solo le banconote emesse dalla BCE e dalle banche nazionali sono banconote aventi corso legale. Significa (questo è solo semantica del testo) che non esistono altre banconote aventi corso legale nell’UE, non che le banconote siano l’unico mezzo legale di pagamento!

Conferma questa ermeneutica del testo la stessa Banca d’Italia, quando dice che esistono altri mezzi legali di pagamento oltre le banconote e le monete, per esempio la moneta elettronica bancaria (moneta scritturale), che non è fatta né di banconote né di monete: ““Nel portare a termine una transazione pecuniaria famiglie e imprese possono utilizzare oltre alla moneta con corso legale anche mezzi di pagamento privati, definiti e regolati da accordi tra le parti. I depositi bancari a vista, ad esempio, sebbene privi di corso legale costituiscono un mezzo di pagamento molto diffuso poiché il depositante può chiederne la conversione in moneta legale al valore nominale pieno in qualsiasi momento”.

Che cosa definisce allora un mezzo di pagamento come “legale”? Non certo la BCE né le Banche nazionali. Può essere solo lo Stato. In teoria, lo Stato potrebbe accettare come mezzi di pagamento delle imposte anche dei sacchi di grano ed è sempre lo Stato che permette di utilizzare mezzi di pagamento non a corso legale, come la moneta elettronica, che è usata solo per comune accordo fra le parti. Se ci attenessimo alla lettura restrittiva dell’art. 128, la moneta scritturale (generata dalla banche nel momento in cui la prestano) non sarebbe conforme al TFEU. Nella sostanza, la proposta di Galloni non è molto diversa da uno sconto fiscale.

Che questa strada sia percorribile e non influisca sul debito, ma anzi lo riduca, si evince anche da altre considerazioni. Sebbene la Banca d’Italia sostenga che la moneta fiscale o altri strumenti analoghi vada iscritta a debito, secondo che principi contabili internazionali (IFRS 15 e IAS 18) un titolo che dà diritto a uno sconto futuro non deve essere registrato contabilmente all’atto dell’emissione. Semplicemente, andrà a ridurre le entrate nel momento in cui verrà utilizzato.

Gli strumenti adottati dallo Stato per il pagamento delle imposte non sono materia di competenza della BCE. Quando gli eurodeputati Marco Valli (5 Stelle) e Marco Zanni (ex 5 Stelle, oggi forse Lega) hanno chiesto a Mario Draghi in persona se i Certificati di Credito Fiscale costituissero incremento di debito per lo stato, Draghi rispose formalmente (16 novembre 2015): “The definition of the appropriate statistical treatment – as far as government deficit and debt are concerned – of tax credit certificates or any similar instrument does not fall within the ECB’s competence. Therefore, I would kindly refer you to the competent national and/or European authorities.Yours sincerely, Mario Draghi”.

Ripropongo, perciò, il documento pubblicato due settimane fa sull’argomento

IN CONCLUSIONE, se il Governo volesse veramente darci il dovuto, il modo ci sarebbe, è di immediata attuazione, non aumenterebbe il disavanzo pubblico e darebbe una boccata d’ossigeno all’economia. Ma non è che proprio strangolare la scuola, dopo la lenta asfissia degli anni scorsi, sia l’obiettivo politico di questo Governo? Togliere alla democrazia il suo pilastro fondamentale è pericoloso ed eversivo, e noi dobbiamo vigilare e prendere posizione nettamente affinché questo non avvenga.

Per approfondire: http://temi.repubblica.it/micromega-online/moneta-fiscale-il-punto-della-situazione/

https://www.bancaditalia.it/media/views/2017/moneta-fiscale/index.html

L’allattamento non va definito “naturale”. Neolingua sanitaria e diritti umani

Un articolo pubblicato nell’aprile 2016 su Pediatrics, la principale rivista americana di pediatria, espressione dell’American Academy of Pediatrics (AAP), firmato da due ricercatrici statunitensi della University of Pennsylvania, Jessica Martucci e Anne Barnhill, pone un interessante problema linguistico relativo al termine “naturale”: non dovrebbe essere usato dai pediatri per definire l’allattamento al seno – dicono le autrici dell’articolo – perché viene associato a connotazioni positive, che poi potrebbero spingere i genitori a ritenere dannosi, perché non “naturali”, le vaccinazioni e gli OGM.

L’argomentazione è stimolante nella sua assurdità; perciò credo sia opportuno partire da una citazione testuale (traduzione mia):

Al di sotto della preoccupazione di molti Americani sulla sicurezza dei vaccini, è riconoscibile una specifica e non necessariamente illogica visione del mondo: un rifiuto di ciò che è industriale, sintetico e “innaturale” e l’adesione a ciò che è “naturale” come a qualcosa di più sano e intrinsecamente migliore. I vaccini sono spesso visti come “innaturali” e stimolare l’immunità in modo naturale è visto da alcuni come un approccio più sano e migliore. I Forum online e i Blog dedicati al vivere naturale offrono innumerevoli esempi di questa prospettiva, e il libro recente Vaccine Nation di Elena Conis documenta nei dettagli l’evoluzione di questa visione del mondo. Alcuni studi hanno mostrato che i genitori che fanno resistenza alla vaccinazione tendono a frequentare circuiti di individui dalle convinzioni simili alle loro. Queste sacche di sentimenti antivaccinisti tendono a sovrapporsi alla fiducia e all’interesse nei confronti della medicina complementare e alternativa, dello scetticismo verso l’autorità istituzionale e di un forte impegno e interesse verso la conoscenza in materia di salute, l’autonomia e le pratiche di vita sane.

Nel testo citato, “naturale” è contrapposto a “innaturale”. La linguistica strutturale ci ha insegnato che il significato di un termine si può comprendere all’interno di una coppia di opposizioni. Possiamo quindi comprendere l’accezione di “naturale” – parola ricchissima di accezioni diverse (una rassegna filosofica si può trovare nel Dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano) – sulla base dei suoi contrari linguistici: senza la pretesa di essere esaustivi, per esempio, sappiamo che nella storia del pensiero occidentale naturale è stato contrapposto a sovrannaturale nel pensiero cristiano (la natura non ha valore in sé, ma in quanto creazione o manifestazione del trascendente, di Dio) e nel pensiero scientifico (per il quale la natura è un ordine causale necessario, distinto da quello sovrannaturale), a culturale in antropologia (Claude Lévi-Strauss vede nell’uomo la peculiarità di trasformare la natura mediante la cultura), a positivo nell’ambito giuridico (naturale è il diritto che appartiene all’uomo in quanto membro dell’umanità, a prescindere da ogni legislazione umana particolare), ad artificiale dal pensiero greco in poi (per Rousseau, fra gli altri, l’homme naturel è l’uomo integro e autentico, prima della corruzione prodotta dal sapere e dalla civiltà), ad affettato nell’ambito sociale (ove naturale è sinonimo di spontaneo) eccetera.

Si pensi a espressioni come morte naturale, figlio naturale, luogo naturale, gas naturale, acqua naturale, tessuto naturale: in questi, come in altri esempi di uso comune, il termine “naturale” ha una valenza positiva o neutra, mai negativa. Esprime l’idea che l’evento o l’oggetto in questione sia conforme ad un ordine già dato e non discutibile, perché spontaneo, necessario, anteriore all’uomo e alla sua comprensione del mondo, al quale egli appartiene allo stesso titolo di ogni altro abitante del pianeta; un ordine che preesiste alla sua azione trasformatrice, la quale può essere vista come positiva o negativa a seconda dell’ideologia di riferimento.

L’articolo da cui siamo partiti, dicevamo, contrappone naturale a innaturale. È certamente vero che, nell’immaginario del nostro tempo, la parola naturale” è associata a una visione nostalgica, alla mitizzazione di tutto ciò che appartiene ad un passato preindustriale, nel quale si viveva con ritmi più umani, meno artificiali e più sani. Umberto Eco ci ha spiegato come l’universo ideologico che ispira alcune fra le campagne pubblicitarie più riuscite della storia (si pensi al Mulino Bianco) associ naturale a connotazioni positive quali genuino, del buon tempo antico, artigianale, semplice, sano, non contraffatto. La visione idilliaca della natura è la comprensibile reazione di una società altamente industrializzata che ignora la fatica improba del lavoro in campagna e i vantaggi della vita moderna. È perfino ovvio dire che non tutto ciò che è “naturale” è per forza sano (molte erbe sono velenose, per esempio) e non tutto ciò che è “artificiale” è per forza dannoso (il latte formulato o una protesi di titanio, per esempio, possono essere indispensabili ad una vita normale). Inoltre, a volte si ritiene “naturale” un cibo che è frutto di sofisticata lavorazione umana, come avviene per un certo numero di prodotti “bio”. Ma qui l’operazione ideologica che viene proposta palesa un intero universo mentale illiberale e altamente pericoloso.

L’allattamento al seno è sano ed è preferibile senza dubbio all’allattamento artificiale per ragioni mediche e psicologiche. Questo è un dato di fatto; lo dice anche l’AAP (https://www.aap.org/en-us/about-the-aap/aap-press-room/Pages/AAP-Reaffirms-Breastfeeding-Guidelines.aspx). La Natura fa le cose per bene, evidentemente. Quello che non piace alle due ricercatrici è che venga definito “naturale”. Il fatto è che è pure naturale, nel senso che tutti i mammiferi allattano i loro piccoli. Nemmeno su questo c’è dubbio alcuno. Qui “naturale” è termine puramente descrittivo; tra l’altro, l’allattamento è proprio l’attività che definisce alcune specie animali come“mammiferi”. Non per niente l’allattamento alternativo è detto “artificiale”.

E allora perché non lo si dovrebbe definire “naturale”? Perché altrimenti chi ha simili “credenze” finirebbe con l’interessarsi di medicina complementare o alternativa, con nutrire un sentimento antivaccinista, con il diventare scettico verso l’autorità istituzionale, e con l’impegnarsi fortemente nella conoscenza relativa alla salute, nell’autonomia e negli stili di vita sani.

Osserviamo subito la fallacia argomentativa dell’appello alle conseguenze: un’affermazione non è da rigettare solo per le conseguenze che può avere. Un’affermazione può essere vera anche se le sue conseguenze sono sgradevoli. L’allattamento sarebbe naturale anche se usare questo termine implicasse le conseguenze indicate.

Ma tali conseguenze sono sgradevoli per chi? Il dato di fatto che l’allattamento al seno è naturale diventa nell’articolo una semplice “credenza” (belief), destituita di ogni obiettività. Il fatto altamente positivo, nella prospettiva del bene comune e della cittadinanza democratica, che le persone si interessino della salute, diventino autonome e perseguano stili di vita più sani viene reinterpretato come negativo. Perché? Perché chi ha queste caratteristiche assume posizioni critiche verso i vaccini e verso l’autorità costituita (notiamo il termine “sentimento” riferito a chi contesta i vaccini, che fa il paio con “credenza” ad indicare la non obiettività della posizione). Perché è critico, insomma.

E a chi dà fastidio che le persone diventino critiche? Chi ha interesse a che le persone accettino supinamente ogni diktat dall’alto senza protestare, che non pratichino stili di vita sani, non si facciano domande sui vaccini e non diventino autonome? Magari chi produce e commercializza cibi industriali provenienti da coltivazioni e allevamenti industriali (di cui mostrano leconseguenze sulla salute e sull’ambiente documentari come Fed up!, Supersize me o Food Inc.)? Chi produce e commercializza latte artificiale, farmaci e vaccini (di cui trattano documentari come Inventori di malattie e Tigers, per non citare il censuratissimo Vaxxed)? Chi approfitta del suo prestigio professionale o istituzionale per avvantaggiare questo o quel potentato economico (come ci raccontano le cronache giornalistiche da sempre)? Non certo chi dimostra con la ricerca scientifica che il cibo che si mangia, l’aria che si respira, le sostanze di sintesi che si introducono nel corpo, vaccini compresi, hanno un impatto sulla salute (e che non ha certo vita facile, visti gli interessi che mette in discussione).

Di colpo, “naturale” deve diventare negativo, pericoloso, insidioso, anche quando certamente è il contrario, perché “innaturale” possa diventare positivo, addirittura preferibile. Questo sembra essere implicito nella rimozione della parola. Dobbiamo scordarci ogni legame con la natura e accettare la completa artificializzazione della nostra vita, e non perché sia obiettivamente meglio per noi, ma perché ce lo richiede chi intende governare le nostre scelte in nome delle leggi del mercato. La verità fattuale deve essere accantonata perché può mettere strane idee in testa: che “sano” e “naturale” si equivalgano (come di fatto è, nel caso dell’allattamento).

Insomma, non importa quali siano i fatti e quali le opinioni. Basta ridurre i fatti a credenze (l’allattamento al seno è naturale e sano) e trasformare le credenze in fatti indiscutibili (i vaccini sono sani e gli stili di vita sani o il senso critico sono indesiderabili). Nomina e res si scambiano i ruoli, in un’operazione propagandistica degna della neolingua di George Orwell. Occorre cassare la parola “naturale” dal linguaggio medico. L’allattamento al seno è sano non perché è naturale, ma perché lo dice l’AAP, che dice pure che bisogna vaccinare tutti senza eccezione. È l’autorità la fonte della verità, non l’evidenza dei fatti. Va da sé che qui la scienza non c’entra nulla.

Il fatto è che i vaccini non sono certamente naturali (nemmeno le due ricercatrici osano affermarlo) e non garantiscono affatto un’immunità certa e duratura come quella naturale, conseguente a malattia (anche la malattia è “naturale” nelle cause e spesso “culturale” nelle manifestazioni, come insegna l’etnomedicina; i giudizi di valore su di essa sono relativi al modello medico e valoriale di riferimento). In più, che i vaccini siano tutti sani o che migliorino sempre e comunque lo stato di salute di chi li riceve è tutto da dimostrare, viste le numerosissime prove scientifiche e giudiziarie del contrario, che possono essere ignorate solo con la repressione del dissenso scientifico, con l’intimidazione e con la disonestà intellettuale. Perciò, definirli in blocco “sani” corrisponde più ad una credenza o ad un atto di fede che a un dato di fatto. Ma tutto è lecito, purché non si tocchino gli interessi privati in gioco – questo alla fine appare ad occhi interessati veramente immorale.

Però, anche in questa operazione disonesta emerge un dato di fatto involontario: allattamento al seno, buona alimentazione, stili di vita sani, conoscenza della salute e senso critico verso l’autorità e verso le vaccinazioni di massa appartengono tutti ad una stessa visione del mondo. Quella di chi ha una concezione della vita più complessa e autonoma ed è consapevole dell’attacco continuo a cui sono sottoposti i diritti alla sicurezza alimentare, ad una ambiente vivibile, all’autodeterminazione in materia di salute, all’integrità del proprio corpo, ad un’informazione trasparente, all’espressione del dissenso verso l’autorità. Notiamo che alcuni di essi fanno parte dei cosiddetti diritti naturali, il nome più antico di quelli che chiamiamo diritti umani. Quelli che oggi, nell’avanzante neofeudalesimo senza diritti, dobbiamo difendere con le unghie e con i denti.

Se la gente associa “sano” a “naturale”, la fiducia nei vaccini vacilla. Questa sembra la vera preoccupazione, come si legge nella conclusione dell’articolo:

L’opzione ‘naturale’ non si allinea completamente con gli obiettivi di salute pubblica. Se fare ciò che è ‘naturale’ è ‘meglio’ nel caso dell’allattamento al seno, come possiamo aspettarci che le madri ignorino quella prospettiva potente e profondamente persuasiva quando scelgono in fatto di vaccinazione?

Già. Come si fa a convincerle a perseguire non la salute in sé, ma gli obiettivi di salute pubblica fissati dai governi? E in assenza di fatti, occorre confondere le idee, manipolare le menti e negare l’evidenza. Business is business. Il senso critico va combattuto e indebolito. Il pensiero va colonizzato con nuove associazioni semantiche, indirizzato, riprogrammato. Poiché solo il pensiero che sostiene e mantiene l’attuale assetto economico- politico è funzionale allo scopo, deve diventare pensiero unico, semplificato, neutralizzato. Artificiale è sano, naturale è pericoloso. Obbedienza è bene, critica è male. OGM è bene, biologico è male. Vaccino è salute, immunità naturale no. L’innaturale diventa magicamente più naturale (sano, benefico) del naturale, quando c’è di mezzo il profitto (non è questa per esempio la perversa strategia di marketing del latte artificiale in diversi Paesi del mondo, fra cui il Pakistan? Ce lo racconta il film Tigers).

Certo, il profitto è lecito. Ma non a scapito dei diritti umani e della salute e a prezzo della verità. Guarda a caso, lo dice l’IBFAN (International Baby Food Action Network), rete internazionale per la protezione dell’allattamento e della nutrizione infantile, criticando (indovinate un po’?) la Bill e Melinda Gates Foundation, che oltre alle campagne vaccinali sta promuovendo la diffusione di alimenti per l’infanzia prodotti dalla compagnie private (http://www.ibfanitalia.org/call-to-action/), cercando di influire sulle regole del Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno. Come dicono gli attivisti dell’IBFAN, “tali aziende non mettono – e non potrebbe essere altrimenti – il rispetto dei diritti umani davanti al loro profitto. La loro partecipazione in qualunque processo di ideazione e sviluppo di politiche e programmi di pubblico interesse, men che meno nel monitoraggio del Codice, sarebbe come invitare una volpe a costruire un pollaio”.

È questo il pericolo dell’ibridazione fra pubblico e privato, quando sono in gioco i diritti fondamentali e il privato è più forte del pubblico: che le regole in materia sanitaria non siano dettate da istituzioni pubbliche e trasparenti, ma dalle aziende portatrici di interesse; che i fini non siano la salute e il bene comune, ma il profitto privato; che i mezzi siano scelti dai giocatori (le aziende) e non indicati dall’arbitro (le istituzioni politiche e giudiziarie) e definiti dalle regole; che l’arbitro non abbia la forza o l’autorità di imporre le regole, perché minacciato o comprato dai giocatori; che gli esperti (gli scienziati e i clinici) dipendano per fondi, benefit, carriere e prestigio dai giocatori e che i cittadini, destinatari delle politiche sanitarie, siano passive marionette da manipolare con il lavaggio del cervello perché non disturbino il gioco e paghino i danni in silenzio.

Gli antichi dittatori caddero perché non sapevano dare ai loro soggetti sufficiente pane e circensi, miracoli e misteri. E non possedevano un sistema veramente efficace per la manipolazione dei cervelli […] Ma sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne cresceranno nell’amore della servitù e mai sogneranno la rivoluzione. Non si vede per quale motivo dovrebbe mai crollare una dittatura interamente scientifica.

Aldous L. Huxley, Ritorno al mondo nuovo

La violenza sulle donne come prodotto culturale. Uscirne si può?

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, stabilita dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1981. Ogni anno, questa data è occasione per fare il punto sulla tutela dei diritti delle donne, sulla parità di genere e sulle politiche messe in atto dagli Stati per contrastare la violenza sulle donne. Dell’argomento si occupano molte ricerche sociologiche, psicologiche e antropologiche. Fra di esse, quella della sociologa Rose Marie Callà (Conflitto e violenza nella coppia, Franco Angeli, Milano 2011). La tesi dell’autrice è che le trasformazioni della famiglia, che negli ultimi 40-50 anni hanno portato la donna a cercare la propria realizzazione nel lavoro e hanno quindi modificato i tradizionali ruoli di genere all’interno della famiglia, hanno anche eroso la supremazia del potere maschile nella coppia, gettando le basi della violenza contro le donne. La violenza sulle donne, insomma, avrebbe soprattutto radici culturali e nascerebbe dal senso di perdita dell’identità maschile e dei ruoli di potere a essa tradizionalmente connessi.

Essa sarebbe quindi la conseguenza di una serie di trasformazioni storiche della famiglia in Occidente, che in Italia, negli ultimi decenni, in seguito al processo di industrializzazione, si riflettono nel diritto, favorendo una maggiore parità fra i sessi (diritti politici per le donne; abolizione delle attenuanti per uxoricidio come delitto d’onore; riforma del diritto di famiglia; leggi sul divorzio, sull’aborto, sulla violenza sessuale come reato contro la persona; accesso alle professioni; tutela della maternità).

Nella famiglia tradizionale, specialmente nel mondo rurale, dove la famiglia ha compiti sia produttivi sia riproduttivi, i ruoli maschili e femminili sono chiaramente distinti. Sia nelle famiglie nucleari (composte da genitori e figli), maggiormente diffuse nelle città, sia nelle famiglie estese o a ceppo (secondo la classificazione di Peter Laslett), più diffuse nelle campagne, è preminente il maschio capofamiglia, al quale la mentalità comune e il diritto assegnano una posizione dominante nella famiglia. In molti paesi europei (in Italia fino alla Riforma del diritto di famiglia del 1975, quando viene introdotta per legge la parità fra i coniugi sia nei rapporti personali sia rispetto ai figli), il marito esercita la potestà maritale (potere giuridico sulla moglie) e la patria potestà (potere giuridico sui figli), che gli consente, per esempio, di stabilire dove la famiglia debba risiedere. L’assenza della possibilità di divorziare – fino al referendum sul divorzio del 1974 – in questa situazione di subordinazione femminile rende di fatto la moglie non autonoma e spesso succube dell’uomo. La subordinazione al marito riguarda sia la sfera personale sia quella patrimoniale (obbligo della dote ed esclusione della moglie vedova dall’eredità, per esempio, ma anche assenza di un reddito proprio e quindi dipendenza economica).

Nelle società tradizionali (intendendo con questo termine non solo le società occidentali premoderne, ma anche quelle moderne fino agli anni Settanta del XX secolo), al marito paterfamilias viene assegnato il ruolo di breadwinner, ovvero di fonte del reddito familiare e alla moglie il ruolo di responsabile della gestione della casa e della cura della prole. Questa divisione dei ruoli è rispecchiata dalla sociologia funzionalista di Talcott Parsons, che negli anni Cinquanta considera la famiglia una piccola società dove si formano personalità umane e applica ad essa il modello AGIL: il padre svolge le funzioni economiche (Adaptative), decisionali (Goal Attainment) e normative (Integrative), la madre si occupa di educare i figli (Latent pattern maintenance). La disuguaglianza dei ruoli di genere viene spesso accompagnata da ragioni ideologiche: la donna è più emotiva e fragile; non è in grado di svolgere certe professioni che richiedono forza o razionalità; i figli hanno bisogno di cure materne, che sono istintive e naturali nella donna.

La diversità dei ruoli familiari rispecchia una concentrazione del potere in mano al genere maschile che attraversa tutta la società. Anche se le norme giuridiche (in primis la Costituzione) sottolineano l’uguaglianza giuridica fra i coniugi, di fatto la mentalità maschilista è difficile da scardinare. Quando le donne, in seguito alle lotte femministe, ottengono il diritto di voto e di accesso all’istruzione e al lavoro, il divorzio e la potestà genitoriale, il riconoscimento della gravità di alcuni reati legati al genere (come lo stupro, riconosciuto come reato contro la persona e non contro la morale solo nel 1996, e l’uxoricidio per mano di un coniuge geloso, il famoso delitto d’onore così ben raccontato da Pietro Germi in Divorzio all’Italiana e abolito, insieme al matrimonio riparatore, solo nel 1981), e quindi diventano più autonome e meno subordinate al marito o al compagno, entra in crisi il modello della supremazia maschile e un certo numero di uomini non riesce ad accettarlo. Il lavoro consente alla donna l’autonomia economica e la realizzazione delle proprie attitudini personali, anche attraverso l’istruzione, permettendole di ricoprire posizioni tradizionalmente affidate ai maschi. La mancanza di una ridefinizione dei ruoli maschili e femminili rende poco definita l’identità dell’uomo, che talvolta percepisce la donna come antagonista in un gioco competitivo, anziché come compagna di pari dignità in un gioco cooperativo. I ruoli femminili tradizionali – casalinga, angelo del focolare, maestra, domestica, segretaria ecc. – sono socialmente svalutati e molti uomini fanno fatica ad assumerli.

Negli ultimi decenni la famiglia ha perso parecchie delle funzioni tradizionali (come sostengono per esempio, fra gli anni ‘50 e ‘60, Parsons e Bales, Riesman, Horkheimer e Adorno, i quali parlano tutti di «crisi della famiglia») e ne hanno acquisite di nuove: la famiglia attuale tende a essere una realtà privata, fondata sull’intimità, provvede a socializzazioni secondarie oltre che primarie, supplisce alle carenze dello Stato sociale nell’assistenza dei più deboli, coordina le varie socializzazioni. Con la globalizzazione, che ha acuito il senso di incertezza, la famiglia tende a essere meno stabile e presenta strutture variabili, aumentano di numero i nuclei familiari, mentre diminuisce il numero di componenti, diminuisce la nuzialità a favore di forme di convivenza non istituzionalizzate. Questa maggiore fluidità rende ancora più difficile riconoscersi nei ruoli tradizionali. (C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, Il Mulino, Bologna, 20133).

La socializzazione primaria contribuisce grandemente al mantenimento dei ruoli sessuali, perché fin dalla nascita i bambini di sesso diverso ottengono trattamenti diversi. I modelli di genere si acquisiscono per imitazione dei modelli familiari, spesso rinforzati dai mass media e dalla pubblicità sessista, che presenta la donna come oggetto di piacere e non come soggetto umano dotato di dignità, capacità e diritti. Non si tratta di una condizione universale delle donne. Realtà culturali lontane e diverse, studiate dagli antropologi, ci presentano sia tradizioni di più o meno brutale sottomissione delle donne al potere maschile sia una sostanziale uguaglianza e armonia fra i sessi. Margaret Mead ci ha fatto riflettere sulla differenza fra sesso e genere e sul ruolo della socializzazione nella definizione delle caratteristiche maschili e femminili.

La violenza nella coppia ha cause molteplici ed è la forma più diffusa della violenza sulle donne, la quale è una delle forme della violenza sociale in genere.  Le teorie unicausali – che attribuiscono la violenza esclusivamente a fattori biologici, psicopatologici o psicologici – non sembrano esaustive. Le ragioni culturali e la mentalità sessista sembrano proprio, nella ricerca sociale, le cause prevalenti, anche se non le uniche, spesso rinforzate da insicurezza e incompetenza emotiva, specie in ambito familiare. La violenza nasce dallo squilibrio di potere e mira a ristabilire l’asimmetria e il dominio quando la persona violenta ha la sensazione di perdere la supremazia. Non è un problema solo maschile, naturalmente, anche se gli uomini violenti sono di gran lunga più numerosi delle donne violente.

In realtà, anche se una falsa notizia diffusa dal Consiglio d’Europa il 27 settembre del 2002 e ripresa acriticamente dai media affermò che la violenza sarebbe la prima causa di morte (in Europa) per le donne fra i 14 e i 44 anni, la violenza sulle donne per fortuna non ha esiti mortali così frequenti. La gravità del problema sta piuttosto nella sua diffusione, specie fra le mura domestiche. L’OMS calcola che, nel mondo, almeno una donna su cinque nella sua vita abbia subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo. L’ISTAT ne segnala una su tre in Italia nel 2014 fra i 16 e i 70 anni. Le forme della violenza di genere sono diverse: prima di tutto, è violenza psicologica, che mira a sottomettere, umiliare, controllare l’altro; poi è violenza fisica, economica, sessuale, persecutoria (dal 2009 è stato introdotto il reato di stalking). La violenza psicologica non è meno drammatica di quella fisica e si verifica soprattutto in famiglia  (ISTAT 2015). I danni prodotti sono gravissimi e riguardano la vita, la salute psicofisica, il benessere dei figli, con una ricaduta economica e umana imponente sull’intera società.

Ma si può rimediare al problema?

Rispetto agli squilibri di potere fra i sessi, l’educazione in famiglia e a scuola può agire sia in senso conservatore sia in senso innovatore. Può passare sotto silenzio o addirittura promuovere stereotipi sessuali e discriminazione fra i sessi, come avveniva per esempio sotto il fascismo o il nazismo con la loro esaltazione della funzione riproduttiva della donna o, in tempi più recenti, fino a qualche decina di anni fa, quando anche a scuola alle ragazze venivano proposte le attività “donnesche” (cucire, cucinare, riordinare la casa) e fino agli anni Sessanta venivano loro precluse alcune professioni, come quelle del giudice, del questore, del prefetto, dell’ambasciatore o del carabiniere. Lo stesso può fare la socializzazione attraverso i mass media, che può combattere o rinforzare le asimmetrie di genere. Si può riflettere anche sui modelli di comportamento che vengono diffusi dalla televisione e dai media che favoriscono una visione asimmetrica dei rapporti fra i sessi e che umiliano le donne, anche con la loro stessa complicità (come chiarì, per esempio, il documentario di Lorella Zanardo Il corpo delle donne).

L’educazione alla differenza, alla democrazia e alla non-violenza può dare un contributo a cambiare la mentalità maschilista e in generale a concepire i rapporti umani come paritari, solidali, empatici, anziché competitivi e fondati sul potere. Gli esseri umani sono programmati per la socialità, non per la competizione. L’educazione al riconoscimento e alla gestione delle emozioni avrebbe un ruolo centrale (l’intelligenza emotiva di cui parlano Daniel Goleman e Peter Salovey). Non sempre viene insegnata ai bambini la competenza emozionale e interpersonale. Serve però soprattutto che gli adulti forniscano modelli di comportamento adeguati, perché, come ci ha insegnato la teoria dell’apprendimento sociale, è l’imitazione del comportamento la forma di apprendimento più diretta in ambito sociale. Sarebbe inoltre anche utile un dibattito civile che porti a una regolamentazione ulteriore dei programmi televisivi, della pubblicità, dei videogiochi e in generale dei media che offrono esempi di sopraffazione maschile; a una maggiore tutela giuridica ed economica delle vittime di violenza; all’attivazione di campagne di sensibilizzazione e di misure cautelari e di recupero adeguate per gli uomini violenti. Servirebbe, infine, una classe politica sensibile al tema della violenza, che investa, come previsto dalle normative europee, fondi sufficienti per i centri antiviolenza e per l’assistenza, la prevenzione e il trattamento delle persone coinvolte nella violenza, spesso minori.

Per questo occorre promuovere l’educazione affettiva ed emotiva come un obiettivo educativo fondamentale della scuola e la tutela dell’integrità personale come un bene prezioso da proteggere attraverso la consapevolezza dei diritti. Il fatto di parlare della violenza domestica ha in effetti migliorato la situazione in Italia: i casi si sono complessivamente ridotti e questo fa ben sperare. Ma occorre anche inquadrare il problema nella cornice sociale e globale di un mondo neoliberista competitivo, spietato, ingiusto, che genera tensioni, conflitti e povertà e contribuisce non poco ad alimentare- oltre ai suicidi – disperazione, violenza e sopraffazione, le quali nel contesto delle relazioni familiari profonde trovano lo sbocco più immediato e devastante.