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Le regole del dialogo in democrazia

”…la democrazia non è soltanto un abito esteriore di regole, ma è anche un atteggiamento interiore che dà corpo alle istituzioni; … non c’è democrazia senza un ethos conforme e diffuso; … lo scheletro, fatto di regole, è importante ma non sufficiente; … la più democratica delle costituzioni è destinata a morire, se non è animata dall’energia che è compito dei cittadini trasmetterle”. A. Zagrebelsky

Gli ingredienti della democrazia sono tanti, ma il metodo con cui viene realizzata concretamente è costituito dal dialogo. Senza dialogo, anche di fronte all’apparenza della democrazia, viene meno la sostanza di essa. Una persona autenticamente democratica sa dialogare, perché nutre la fiducia profonda che la verità non sia patrimonio di qualcuno in particolare, ma sia raggiungibile attraverso la ricerca associata. Tuttavia, non è affatto scontato saperlo fare. I mass media e i politici ci danno ogni giorno pessimi esempi al riguardo.

Una delle strategie più utilizzate nella comunicazione pubblica è quella dell’avvelenamento del pozzo, che consiste nel delegittimare in anticipo qualunque cosa l’avversario possa dire, insinuando che sia scorretto, in cattiva fede o poco credibile dal punto di vista scientifico, morale, politico ecc. Qualunque cosa la persona dirà, verrà pubblicamente ignorata, considerata irrilevante o accolta come falsità (F. D’Agostini, Verità avvelenata, p. 11). Come una piccola quantità di veleno versato in un pozzo può avvelenare un’intera comunità, così questa strategia retorica distrugge il dialogo e di conseguenza la democrazia.

Il ventennio berlusconiano ci ha abituati alla distruzione delle regole del dialogo sui media e all’avvelenamento sistematico del dibattito pubblico. Oggi è perfino difficile accorgersi del livello di nichilismo argomentativo a cui siamo giunti. Non che prima mancassero usi fallaci e manipolativi della comunicazione politica, ma ora basta affacciarsi a qualche discussione su Facebook per accorgersi di quanto pervasivo e disastroso sia stato l’avvelenamento collettivo.

Un movimento politico che proponga un progetto autenticamente democratico deve secondo me interrogarsi a fondo sulle regole del dialogo democratico e applicarle in modo sistematico al proprio dibattito interno, a cominciare dalle discussioni su Facebook. La democrazia è un modo di essere, prima ancora che un modo di pensare.

Pur rendendomi conto dell’incompletezza del discorso, provo ad elencare le strategie secondo me più utili allo scopo di far progredire la discussione e a condurla a risultati costruttivi. Contribuiscono a questa proposta la riflessione sul metodo socratico e sulla teoria dell’argomentazione, le pagine di Zagrebelsky sulla democrazia, l’esperienza di anni di lavoro con i gruppi e di mediazione dei conflitti e la fiducia profonda che la verità abbia una forza persuasiva peculiare, quando la si cerchi con onestà intellettuale.

Come prima regola, occorre scoprire la felicità dell’errore. Quando siamo colti in errore, spesso ci risentiamo e ci inalberiamo, feriti nel nostro narcisismo. Eppure, Socrate insegna che occorre rallegrarsi quando qualcuno ci mette di fronte al nostro errore, perché così la nostra conoscenza progredisce. C’è un’intera pedagogia dell’errore da rivalutare a questo proposito, anche a scuola.

La seconda regola è diretta conseguenza della prima: la verità è l’oggetto della discussione e il fine di essa, non la sua premessa. Nessuno può vantare dogmaticamente il possesso preliminare della verità. Il dogmatismo uccide il dialogo in culla. Il punto di partenza di una discussione è una tesi, sempre parziale e unilaterale. Occorre qui distinguere fra dialogo persuasivo, in cui A sostiene p per convincere B, mentre B non sostiene nulla, e dialogo euristico, in cui A sostiene p e B sostiene non-p. In questo secondo caso, il fine della discussione non è avere ragione, ma sapere chi ha ragione e qual è la ragione migliore (F. D’Agostini, p. 181). In caso contrario, è una disputa, che non porta da nessuna parte. Il dialogo persuasivo è utilizzato per esempio dal politico per farsi eleggere o dall’avvocato per difendere il suo cliente, il dialogo euristico è quello che invece ci interessa più direttamente.

La terza regola è il rispetto dell’interlocutore: poiché l’avvelenamento si scatena proprio quando delegittimiamo l’interlocutore, questa è una vera e propria strategia disintossicante. Non si criticano mai la persona o le sue qualifiche, ma sempre e solo il contenuto delle sue affermazioni. A volte si sente affermare che su un certo argomento (scientifico, economico, politico) devono parlare solo gli esperti, e quindi si nega valore a quanto dice l’interlocutore, giudicato incompetente, ma si tratta di una fallacia argomentativa (fallacia ad verecundiam o ad auctoritatem): è evidente infatti sia che a volte un’autorità può sbagliare sia che la verità può venire anche da una persona inesperta (mi ricordo come rimasi a bocca aperta quando dissi a mia figlia di 6 anni che, secondo alcuni scienziati, lo spazio è curvo e lei mi rispose subito: “Ma se lo spazio è curvo, allora l’universo è finito!”). Avere certezze preliminari rappresenta un ostacolo al raggiungimento della verità. Mai sottovalutare l’interlocutore e valutare unicamente la validità e la correttezza degli argomenti. Tutti possono parlare di tutto, se lo fanno rispettando le regole dell’argomentazione e se sono disposti al confronto e al riconoscimento dell’errore.

La quarta regola completa quella precedente: il dialogo deve accertare se la divergenza riguarda la descrizione dei fatti o degli eventi in questione o l’interpretazione di essi. In ogni caso, il dialogo deve fare riferimento ai fatti, senza accordo sui quali non c’è progresso nella discussione. Occorre costruire un terreno comune. Spesso occorre ricostruire i fatti mettendo insieme e confrontando diverse descrizioni di essi, per arrivare ad una ricostruzione condivisa. Questo però richiede che entrambi gli interlocutori prendano in considerazione i dati di fatto presentati dall’altro. Rifiutarsi di farlo a prescindere chiude subito il dialogo. Rifiutarsi di accogliere la ricostruzione dell’altro, quando è la più credibile, pure.

La quinta regola è la pertinenza: il dialogo procede se l’obiezione di B è pertinente all’affermazione di A. Riuscire a non divagare e a non introdurre nel discorso argomenti estranei consente di avanzare, altrimenti crea confusione.

La sesta regola è il rispetto delle regole logiche e argomentative. Qui l’esempio che viene dai media è disastrosamente negativo. Ma anche nel dibattito scientifico ricorrono spesso delle fallacie logiche o argomentative. Una delle più ricorrenti è la fallacia ad ignorantiam. A sostiene p dicendo che non ci sono le prove di non-p. Per esempio: non ci sono prove che il diserbante x o il farmaco y provochino il cancro o altra patologia, di conseguenza si possono usare tranquillamente. Si tratta di un errore: l’assenza di una prova non equivale affatto alla prova di un’assenza. Non trovare il cadavere di una persona scomparsa non implica affatto che non sia morta. Non avere le prove della colpevolezza di qualcuno non vuole dire affatto che quella persona sia innocente. Questo errore logico grave (dogmatismo ad ignorantiam) deriva da un particolare modo di intendere la verità, che si chiama epistemicismo (una proposizione è vera se e solo se è giustificata), combinato con il realismo (una proposizione che non è vera è falsa): il piano logico e quello fattuale vengono arbitrariamente considerati intercambiabili, per cui non vero = falso e non falso = vero (F. D’Agostini, cit.. pp. 120-121). In realtà, dall’assenza di prove possiamo correttamente ricavare al più una dichiarazione di ignoranza. La conoscenza delle fallacie argomentative, che sono numerose e talvolta sottili, rende il dialogo molto più produttivo, perché consente di ridurre gli errori di ragionamento, soprattutto in ambito politico, e di affrontare intrepidamente la ricerca della verità. Consente inoltre di non farsi abbindolare da falsi argomenti e di saper controbattere alle fallacie altrui. Se a qualcuno interessa, possiamo approfondire in ulteriori articoli e condividere conoscenze. Una buona introduzione è quella di Franca D’Agostini, citata in fondo.

La settima e ultima regola che propongo è la curiosità: non c’è modo di arrivare da nessuna parte in una discussione senza la curiosità di conoscere e il piacere di ascoltare. Il dialogo, in fondo, è ciò che ci contraddistingue come esseri umani e sociali. Fare domande, chiedere chiarimenti, interessarsi genuinamente della prospettiva del nostro interlocutore rende il dialogo un’attività piacevole e umanamente arricchente e realizza una delle qualità più felici della democrazia, che è la partecipazione.

E’ stato detto con ragione che “nessuno, da solo e senza compagni, può comprendere adeguatamente e nella sua piena realtà tutto ciò che è obbiettivo, in quanto gli si mostra e gli si rivela sempre in un’unica prospettiva, conforme e intrinseca alla sua posizione nel mondo. Se si vuole vedere ed esperire il mondo così com’è ‘realmente’, si può farlo solo considerando una cosa che è comune a molti, che sta tra loro, che li separa e unisce, che si mostra a ognuno in modo diverso, e dunque diviene comprensibile solo se molti ne parlano insieme e si scambiano e confrontano le loro opinioni e prospettive. Soltanto nella libertà di dialogare il mondo appare quello di cui si parla, nella sua obiettività visibile da ogni lato” (H. Arendt, in Zagrebelsky, cit., p. 29).

Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino 2010.

Gustavo Zagrebelsky, Lezione di democrazia alla Biennale Democrazia, Torino 2009 (http://paigrain.debatpublic.net/wp-content/uploads/lezione_zagrebelsky.pdf); anche in Imparare democrazia, Einaudi, Torino, 2007.

L’educazione spirituale dei giovani

Conversazione con Alessandro Maggetti di Darsi Scuola

Che cosa vuol dire educare i giovani alla spiritualità? Come è da intendersi? I giovani hanno bisogno di spiritualità, perché hanno bisogno di trovare un senso per la propria esistenza. Solo la creatività spirituale permette di trasformare l’ambiente, anziché adattarvisi.

Spiritualità è autotrascendenza, capacità di elevarci al disopra della nostra mera natura animale e di creare nella bellezza. Siamo esseri multidimensionali, fatti di corpo, mente, anima e spirito, e abbiamo bisogno di sviluppare armoniosamente tutte le parti di noi per vivere in pienezza e non limitarci a sopravvivere.

I valori spirituali ci fanno stare bene: la libertà, la gioia, la verità, l’autenticità, la solidarietà, la giustizia ci rendono felici. Questo dovrebbe insegnare la scuola, se vuole essere la scuola della Costituzione. La scuola ha come fine la piena realizzazione della persona umana, non la formazione per il lavoro.

Dovrebbe stare a cuore a tutti che la scuola funzioni bene e svolga il suo compito educativo e culturale al meglio. Purtroppo il declino degli apprendimenti è un dato di fatto, benché le cause siano ancora poco riconosciute, e sembra inarrestabile. La diffusione del digitale e soprattutto degli smartphone da una parte, le misure pandemiche dall’altra hanno causato danni cognitivi ed emotivi che sembrano assai difficili da sanare: povertà culturale, lacune enormi, ansia, depressione, fragilità psicologica, tendenza a chiudersi passivamente in difesa, piuttosto che a prendere iniziative, dipendenza e distacco dalla realtà sociale e naturale.

Come se ne esce? Che cosa possono fare insegnanti e genitori? Di che cosa hanno bisogno bambini e ragazzi? Come possiamo proteggerli dai pericoli della dipendenza dallo smartphone? Come possiamo diventare adulti autorevoli?

I ragazzi hanno bisogno di creatività, di incontrare ostacoli da superare, di avere mete da raggiungere, di provare desideri da soddisfare con l’impegno e lo sforzo personale, di essere circondati da adulti consapevoli che hanno a cuore la loro integrità, la loro libertà (vera), la loro capacità di autodeterminarsi, di proteggersi da ciò che li danneggia, di avere valore e dignità come individui.

Occorre che gli adulti si interroghino sui danni delle misure carcerarie subite nella pandemia e sul condizionamento pavloviano a cui bambini e ragazzi sono stati sottoposti e che cerchino di dare risposte alle domande esistenziali dei giovani: che cos’è l’anima, qual è il senso della vita e della morte, che cosa rende felici.

https://www.facebook.com/share/v/15h5ecYn5k

Il disagio degli adolescenti

Intervista su Radio Antenna 1 con Claudia Vittone

https://www.facebook.com/antenna.uno/videos/alziamo-le-vibrazioni/877065964620669/?mibextid=WC7FNe&rdid=S4HW9s94V0nzDTGD

Come stanno gli adolescenti? Qual è la causa del loro disagio psichico e dell’epidemia di ansia e depressione? Perché Jonathan Haidt li definisce “la generazione ansiosa”? Qual è il ruolo degli strumenti digitali? Che cosa possono fare gli adulti?

Queste e altre domande nell’intervista di martedì 26 novembre su Radio Antenna 1.

Per approfondimenti, si possono leggere questi libri:

Se questo è un uomo. Il caro estinto come rifiuto da smaltire

 Read this article in English

Bolliti e sciolti con l’idrossido di potassio: in questo consiste l’acquamazione o idrolisi alcalina, il procedimento super green di trattamento dei cadaveri già diffuso negli USA, in Canada, in Australia, in Messico e in Sudafrica, approdato nel Regno Unito e in Olanda e che potrebbe arrivare anche da noi. Funziona all’incirca così: il corpo del defunto viene insacchettato e introdotto in un contenitore a tubo pressurizzato e riempito con una soluzione di acqua e idrossido di potassio. Viene poi riscaldato e fatto bollire a circa 160 gradi, in modo da sciogliere completamente i tessuti molli, e dopo 4-6 ore è completamente liquefatto. Le ossa vengono prelevate, cremate e ridotte in cenere, infine consegnate ai parenti in forma di polvere bianca di fosfato di calcio, da conservare al cimitero o in casa o da disperdere in natura, secondo la volontà del morto. Eventuali protesi e dispositivi medicali vengono raccolti e smaltiti a parte, come mostra questo video girato presso l’University of California, Los Angeles (UCLA).

Niente di più ecologico, sostengono con convinzione i promotori della cremazione ad acqua, che avrebbe un impatto sulla CO2 decisamente inferiore rispetto alla cremazione con il fuoco (circa la metà) e consumerebbe fino al 90% in meno di energia. Con un piccolo dubbio: il liquido prodotto, che contiene aminoacidi, peptidi, zuccheri e sali (ma non DNA o RNA, giurano gli esperti), dove va a finire? Nelle acque reflue, come qualunque rifiuto di fogna, dicono.

Un video, che ha largamente circolato in rete (The Dead Are Liquified And Are Fed To The Living), ha insinuato tuttavia il dubbio atroce che questi resti liquefatti finiscano nella catena alimentare umana all’insaputa degli utenti, dopo adeguato trattamento, ovviamente. Non era stato il filantropo per antonomasia, Bill Gates, a investire premurosamente in sistemi di depurazione delle acque reflue che trasformano l’acqua del gabinetto in acqua potabile per i poveri del Terzo Mondo (e non solo) e si era pure fatto immortalare mentre beveva con gusto il risultato di questa meraviglia? Sempre sul pezzo, insomma, l’onnipresente Bill. Se di acque reflue si tratta anche per i corpi liquefatti con l’acquamazione, tale destino non può certo essere escluso del tutto. Del resto, se i vivi possono mangiare insetti e carne sintetica, perché non potrebbero bere acqua di fogna e liquame di cadaveri? Potrebbe essere il top dell’ecocompatibilità e forse un efficace rimedio per l’ecoansia.

Non abbiamo alcun elemento per confermare o smentire l’agghiacciante insinuazione, davvero complottista; possiamo comunque constatare che i fact-checker più accreditati si sono subito scatenati per smentirla sdegnosamente, il che già di per sé potrebbe suggerire cattivi pensieri in chi sa da chi vengono finanziati.

In alternativa, il morto può essere cremato e trasformato in diamante della memoria, da portare sempre con sé, oppure in compost da disperdere in natura, sempre per ridurre l’impatto ambientale. Non che la sepoltura classica qui in Europa sia il non plus ultra: morire in ospedale, non di rado nell’indifferenza degli altri, restare qualche ora in una squallida camera mortuaria, per essere poi zincati e seppelliti quasi subito in un cimitero dopo un frettoloso funerale non ha certamente la valenza empatica e spirituale delle pratiche funerarie di altre tradizioni culturali, ancora abituate a onorare i defunti e a considerarli spiriti incarnati.

Ma la questione è ancora un’altra: che dignità resta a un corpo umano bollito e gettato nello scarico del WC? O cremato e trasformato in diamante della memoria? O trasformato in compost per fertilizzare i terreni agricoli e i giardini? Non era la dignità riservata ai defunti il segno del passaggio dalla natura alla cultura? Abbiamo testimonianze di sepoltura che risalgono al Paleolitico. Molte civiltà umane, fra le quali quella egizia, quella greca e quella romana, hanno dato grande valore ai riti funebri e rispetto al corpo dei morti, qualunque sia la forma di sepoltura scelta: per cremazione, per inumazione, per tumulazione. Il corpo morto è stato abbandonato dall’anima, ma è un corpo umano, a cui i vivi sono legati da vincoli di sangue e di affetto, perciò va trattato con cura. E l’anima del defunto va accompagnata nel suo cammino ultraterreno, mentre i vivi devono riuscire a elaborare il lutto della perdita. Come non ricordare Antigone, figlia di Edipo, che sfida il divieto del re di Tebe per celebrare un fugace rito funebre sul corpo morto del fratello Polinice, pagando con la vita il suo atto di pietas?

Il rito funebre è un rito sociale, collettivo, che permette a chi resta di accettare poco per volta la perdita definitiva. Come scrisse l’antropologo Robert Hertz, il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti è un processo lento: «noi non possiamo pensare alla morte come tale tutta in una volta». Noi esseri umani abbiamo bisogni di riti e di tempo per dare un senso agli eventi della vita. Il rito è funzionale agli uomini, al loro equilibrio personale e comunitario, non è una procedura di smaltimento del rifiuto organico per pretestuose e antiscientifiche motivazioni ambientali (per chi ancora crede che sia la CO2 il nostro problema consiglio il documentario Climate: The movie). È la motivazione a essere raccapricciante, perché ignora la sacralità della morte e la riduce a mera questione tecnica.

Ma questa riduzione del caro estinto a pura materia disanimata da riciclare, a cosa senza valore, è del tutto in linea con la violenta disumanizzazione che abbiamo vissuto nella storia passata e recente: con gli anziani lasciati morire soli nelle RSA, senza l’estremo saluto dei propri familiari, con le persone sane inghiottite dagli ospedali per un tampone positivo e restituite in sacco nero, con i funerali proibiti, con le migliaia di morti improvvise di bambini, giovani e adulti di cui non parla nessuno sui media nazionali, con i bambini sventrati per il commercio degli organi, con i bambini fatti a pezzi e lasciati fra le macerie nel genocidio di Gaza, con i tantissimi morti di una guerra inutile in Ucraina, in Iraq, in Siria, in Cambogia e in ogni altro luogo dove il vilipendio dei morti fa il paio con la cancellazione della dignità e del diritto a esistere dei vivi.

La biocremazione sarà green, ma fa orrore. Testimonia a che punto di degradazione è giunta la nostra civiltà, che riesce solo a pensare ai vivi come mangiatori inutili e ai morti come rifiuti da smaltire. Una cultura spietata, di morte e di distruzione delle qualità spirituali, che rendono l’uomo umano e la vita degna di essere vissuta. Se questo è ancora un uomo.

Pubblicato su Sovranità popolare, n° 2, ottobre 2024 (in inglese)

Presentato su Veggie Channel a questo link:

If this is a man. The dearly departed as waste to be disposed of

Leggi questo articolo in Italiano

Boiled and dissolved with potassium hydroxide: this is aquamation or alkaline hydrolysis, the super-green procedure for treating corpses already widespread in the USA, Canada, Australia, Mexico and South Africa, which has landed in the United Kingdom and the Netherlands and could also arrive here. It works roughly as follows: the body of the deceased is bagged and placed in a pressurised tube container and filled with a solution of water and potassium hydroxide. It is then heated and boiled to about 160 C°, so that the soft tissue is completely dissolved, and after 4-6 hours it is completely liquefied. The bones are removed, cremated and reduced to ashes, and finally given to relatives in the form of a white powder of calcium phosphate, to be kept at the cemetery or at home, or to be scattered in nature, according to the wishes of the dead person. Any prostheses and medical devices are collected and disposed of separately, as this video shot at the University of California, Los Angeles (UCLA) shows.

Nothing could be more environmentally friendly, the promoters of water-based cremation strongly argue, as it would have a much lower CO2 impact than cremation by fire (about the half) and consume up to 90% less energy. With one small doubt yet: the liquid produced, which contains amino acids, peptides, sugars and salts (but not DNA or RNA, the experts swear), where does it end up? In sewage, like any sewage waste, they say.

A video, which has circulated widely on the net (The Dead Are Liquified And Are Fed To The Living), has, however, raised the atrocious doubt that these liquefied remains end up in the human food chain unbeknownst to the users, after proper treatment, of course. Wasn’t it the philanthropist par excellence, Bill Gates, who thoughtfully invested in sewage purification systems that turn toilet water into drinking water for the poor of the Third World (and beyond) and even had himself been filmed while drinking with delight the result of this marvel? Always on the ball, in short, the ubiquitous Bill. If wastewater is also the case for bodies liquefied by aquamation, such a fate certainly cannot be entirely ruled out. After all, if the living can eat insects and synthetic meat, why couldn’t they drink sewage water and corpse slurry? That could be the ultimate solution in eco-friendliness and perhaps an effective remedy for eco-anxiety.

We have no element to confirm or deny this chilling insinuation, which is indeed conspiratorial; we can however note that the most accredited fact-checkers have immediately gone wild to disdainfully deny it, which in itself might suggest bad thoughts in those who know who they are funded by.

Alternatively, the dead can be cremated and turned into a memory diamond, to be carried with you at all times, or into compost to be dispersed in nature, once again to reduce environmental impact. Not that classical burial here in Europe is the non plus ultra: dying in a hospital, not infrequently to the indifference of others, remaining for a few hours in a dingy mortuary, only to be galvanised and buried almost immediately in a cemetery after a hasty funeral certainly does not have the empathic and spiritual value of the funeral practices of other cultural traditions, still used to honouring the dead and considering them incarnate spirits.

But the question is yet another: what dignity is left to a human body boiled and flushed down the toilet? Or cremated and turned into a memory diamond? Or turned into compost to fertilise farmland and gardens? Was not the dignity reserved for the dead the sign of the passage from nature to culture? We have evidence of burial dating back to the Palaeolithic period. Many human civilisations, including the Egyptians, Greeks and Romans, placed great value on funeral rites and respect for the body of the dead, whatever form of burial they chose: by cremation, inhumation, burial. The dead body has been abandoned by the soul, but it is a human body, to which the living are bound by bonds of blood and affection, so it must be treated with care. And the soul of the deceased must be accompanied on its afterlife journey, while the living must manage to grieve the loss. How can we fail to remember Antigone, daughter of Oedipus, who defies the ban of the king of Thebes to perform a fleeting funeral rite over the dead body of her brother Polynices, paying with her life for her act of “pietas”?

The funeral rite is a social, collective rite that allows those left behind to accept the ultimate loss little by little. As the anthropologist Robert Hertz wrote, the transition from the world of the living to the world of the dead is a slow process: “We cannot think of death as death all at once”. We human beings need rituals and time to make sense of life’s events. The ritual is functional to human beings, to their personal and community balance, it is not a procedure in order to dispose of organic waste for specious and unscientific environmental reasons (for those who still believe that CO2 is our main problem, I recommend the documentary Climate: The movie). The motivation is indeed quite creepy, because it ignores the sacredness of death and reduces it to a mere technical issue.

But this reduction of the dearly departed to pure rough, dead matter to be recycled, to a worthless thing, is entirely in line with the violent dehumanisation we have experienced in past and recent history: with the elderly left to die alone in the nursing homes (without the final farewell of their families); with healthy people swallowed up by hospitals for a positive swab and delivered in black sacks; with forbidden funerals; with the thousands of sudden deaths of children, young people and adults that no one talks about in the national media; with children disembowelled for the organ trade; with children blown to pieces and left in the rubble in the Gaza genocide; with the countless deaths of an unnecessary war in Ukraine, Iraq, Syria, Cambodia and everywhere else where the vilification of the dead is matched by the erasure of the dignity and right to exist of the living.

Biocremation may be green, but it is horrifying. It testifies what point of degradation our civilisation has reached, since it can only think of the living as useless eaters and of the dead as waste to be disposed of. A ruthless culture of death and destruction of the spiritual qualities that make man human and life worth living. If this is still a man.

Pubblicato su Sovranità popolare, n° 2, ottobre 2024

Si può leggere la rivista qui sotto:

Disagio giovanile e nuove tecnologie

Approfondiamo il delicato tema del disagio giovanile in riferimento alle nuove tecnologie insieme alla Dott.ssa Patrizia Scanu, psicologa; come aiutare i giovani?

Il disagio giovanile è un problema urgente di cui si parla poco, e a partire dal nuovo numero di Terra Nuova, affrontiamo questo tema in riferimento al disagio giovanile insieme alla Dott.ssa Patrizia Scanu, psicologa ed insegnante.

L’impatto delle tecnologie digitali sul disagio giovanile

Negli ultimi anni l’uso diffuso di smartphone e dispositivi digitali ha trasformato profondamente il comportamento e le abilità degli adolescenti. La Dott.ssa Scanu, con quasi 40 anni di esperienza nell’insegnamento, evidenzia un calo significativo della concentrazione e dell’impegno nello studio tra i giovani, costantemente distratti dal digitale. Questo fenomeno, unito alla dipendenza da smartphone, ha portato a un abbassamento dei livelli di apprendimento e di autonomia, rendendo i giovani nervosi e irritabili quando si allontanano da questi dispositivi.

La contraddizione educativa e le scelte istituzionali

Se da una parte si riconoscono i rischi del digitale per lo sviluppo dei giovani, dall’altra la scuola italiana continua a promuoverne l’uso. Introducendo il digitale, soprattutto nella fascia fino ai 14 anni, si rischia di minare lo sviluppo di competenze fondamentali, come la manualità, la creatività e la lettura. Patrizia Scanu sottolinea: “Il digitale non ha effetti positivi sui processi di apprendimento nei bambini e nei ragazzi in età evolutiva”. Per i bambini e gli adolescenti, dunque, è cruciale un approccio consapevole e bilanciato.

Rischi cognitivi e dipendenza digitale

L’affidamento costante sui dispositivi digitali comporta rischi ben più profondi della dipendenza: i giovani tendono a delegare al digitale compiti basilari, come il calcolo mentale e la memoria, indebolendo le capacità cognitive a lungo termine. La Dott.ssa Scanu evidenzia come la “memoria esterna” dei dispositivi limiti il pensiero critico e l’autonomia, rendendo i ragazzi sempre più dipendenti da un supporto esterno per accedere alle informazioni.

bambina ,cellulare

Genitori consapevoli: la chiave per ridurre il disagio giovanile

Un ruolo fondamentale nel limitare il disagio giovanile legato alle nuove tecnologie è quello dei genitori. La psicologa consiglia ai genitori di informarsi sui rischi della tecnologia tramite letture come “Emergenza smartphone” del Prof. Manfred Spitzer, per comprendere meglio come il digitale possa influire negativamente sui giovani. Creare gruppi di supporto tra genitori consapevoli permette di elaborare strategie per ridurre la dipendenza tecnologica, favorendo così la crescita autonoma e responsabile dei ragazzi.

Come supportare i giovani di oggi?

Invitiamo a sviluppare un approccio consapevole e critico all’uso della tecnologia, puntando su esperienze di “disconnessione consapevole” e incentivando attività che stimolino creatività, interazione sociale e gioco all’aperto. Educare i giovani a un uso bilanciato e limitato della tecnologia è essenziale per ridurre il disagio giovanile e favorire uno sviluppo cognitivo e emotivo sano.

Terra Nuova Novembre 2024

Sito della Dott.ssa Patrizia Scanu

Consigliamo anche: Digitalizzazione, come affrontarla in modo consapevole?

disagio giovanile nuove tecnologie

Laboratorio per bambini trans, una follia

Laboratorio per bambini trans e gender creative, un follia

PIAZZA LIBERTÀ, il programma di informazione e approfondimento ideato e condotto da Armando Manocchia, ritorna sabato 28 settembre 2024 alle 20,30 sul canale  https://rumble.com/c/PiazzaLiberta

La Commissione Etica dell’Università di Roma Tre ha approvato e finanziato con fondi pubblici un “Laboratorio per bambini trans e gender creative”, previsto il 28 settembre e rivolto a bimbi dai 5 ai 14 anni. Il controverso progetto, condotto da attivisti LGBTQ+ di GenderLens, si propone di “esplorare” l’identità di genere nei più piccoli, nonostante la comunità scientifica sia profondamente divisa e in molti Paesi si stiano ritirando progetti simili per i danni che hanno causato a giovani e giovanissimi.

Armando Manocchia, con le autorevoli e competenti ospiti Patrizia Scanu e Silvia Guerini, tratterà il controverso tema.

Il manifesto dell’Università Roma Tre


Un approfondimento si può trovare qui:

Neoliberismo e manipolazione di massa

NEOLIBERISMO E MANIPOLAZIONE DI MASSA

Puntata di PIAZZA LIBERTÀ, il programma di informazione e approfondimento ideato e condotto da Armando Manocchia, di sabato 31 agosto 2024 sul canale https://rumble.com/c/PiazzaLiberta

Si parla di neoliberismo, di manipolazione di massa, di finestra di Overton, di Fmi/Banca Mondiale, di terrorismo sanitario Oms, di Passaporto vaccinale, di desovranizzazione degli Stati.

OSPITI:
 Ilaria Bifarini  – Economista, scrittrice, divulgatrice indipendente. Nota al pubblico come “bocconiana redenta” per la critica all’ideologia neoliberista in cui si è formata, e per il suo libro “Il Grande Reset”, in cui ha denunciato il piano dell’élite di Davos durante la psico-info-pandemia del Covid.

Patrizia Scanu – professoressa, insegnante, psicologa, autrice.

Gianfrancesco Vecchio – avvocato, Professore Aggregato di Diritto Privato Università di Cassino da anni impegnato nella difesa dei diritti individuali.

“L’identità sessuale non è una scelta né un’opzione”

PIAZZA LIBERTÀ, puntata di sabato 3 agosto 2024

https://rumble.com/c/PiazzaLiberta

OSPITI di Armando Manocchia:
professoressa Patrizia SCANU, psicologa;
dottor Ruggiero CAPONE, giornalista e scrittore.

L’identità sessuale è legata a fattori biologici ben definiti, che conosciamo in modo chiaro, e che possiamo descrivere con precisione. Chi nasce femmina o maschio, resta per tutta la vita femmina oppure maschio.
Il sesso percepito non esiste per la semplice ragione che ogni cellula del nostro corpo è sessuata: femmina con due cromosomi sessuali XX, maschio con cromosomi sessuali XY, con pochissime eccezioni (DSD, differenze o disturbi dello sviluppo sessuale), che non dovrebbero comunque costituire un vantaggio competitivo nello sport o minacciare la sicurezza delle atlete.

Il «transgender» è un prodotto della mente, che non ha riscontro oggettivo nella biologia umana. Tutte le tecniche di riassegnazione/transizione sessuale sono operazioni di «cosmesi» somatica, che non modificano di una virgola l’appartenenza XX o XY.

In un’epoca in cui si condanna la violenza contro le donne (o almeno così dicono), stiamo ancora a disquisire se un «maschio che si percepisce femmina» possa battersi sul ring contro un’atleta, femmina a tutti gli effetti!

Un confronto sugli aspetti contraddittori dell’approccio di genere e sul tipo di società che intende promuovere.

La scuola del futuro.

Trasmissione registrata il 2 agosto 2024 su Telegram https://t.me/UnPonteTraMondi/2053

📚 TRASMISSIONI in differita
LA SCUOLA CHE NON C’È

In questa puntata della rubrica di Giusy Pace: “La scuola del futuro”.
Riflettiamo su come è possibile formulare una proposta educativa per formare anime libere e capaci di sentire e di pensare, con ispirazione al modello umanistico dell’educazione integrale, che coinvolge corpo, mente, anima e spirito.

OSPITE SPECIALE la dottoressa Patrizia Scanu

Seguite le attività di Giusy Pace qui:
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Stop alle telefonate! A scuola vietati i cellulari.

Intervista televisiva su Byoblu a “Che idea ti sei fatto?” (11/07/2024)

Una telefonata in meno ti allunga la vita. Addio ai cellulari nelle scuole, almeno fino alle medie. È arrivata la circolare firmata dal ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara: una decisione attesa da tempo. Esulta il Moige (Movimento italiano genitori) che chiedeva un cambiamento di rotta.

L’eccesso di tecnologia spesso crea dipendenza e danni psicofisici. Questo è visto come un primo passo verso una “bonifica” dall’eccessiva tecnologia. Intanto a scuola parte anche la sperimentazione sull’intelligenza artificiale. Le opposizioni (Pd in testa) contestano. L’ex ministro Marianna Madia parla di “risposta piccola ad un problema enorme”. Si dice che invece deve esserci un accompagnamento all’uso delle tecnologie. Ne parliamo con Elisabetta Frezza (giurista), Patrizia Scanu (psicologa e insegnante), Anna Pettinaroli (comitato Levante Stop5G) e Stefano Gandus (pediatra e oncologo). Non perderti questa puntata di “Che idea ti sei fatto?”

https://www.byoblu.com/2024/07/11/stop-alle-telefonate-a-scuola-vietati-i-cellulari-che-idea-ti-sei-fatto

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