Scuola, ultimo atto: quando la competenza scaccia la conoscenza

Dialogo (d)istruttivo fra Smarty, il Nuovo Docente Formato alla Didattica per Competenze, e Sofia, la Vecchia Docente da Rottamare, ancora ostinatamente attaccata alle sue polverose Conoscenze.

Smarty

La lezione frontale? Roba da vecchie aule polverose, una noia mortale… Lo studio sistematico della storia o della letteratura? E a che pro? I programmi non esistono più, nella scuola delle competenze. Qui si impara dall’esperienza, lavorando in gruppo, per via induttiva e affrontando compiti di realtà, ovvero problemi quotidiani. Basta con le lezioni dalla cattedra, in cui parla solo il docente! La scuola deve mettere gli studenti al centro!

Sofia

Ma guarda un po’… Sei appena arrivato, e parli come se avessi scoperto l’acqua calda. I pedagogisti discutono da decenni se sia meglio la didattica frontale, in cui il docente tiene la sua conferenza quotidiana, o quella attiva, con la quale sono gli studenti a lavorare in autonomia, guidati dal docente. È una questione vecchia come la pedagogia. In un certo senso, l’hanno pure risolta. Per fortuna, esistono le ricerche scientifiche. Ed hanno constatato che entrambi i metodi hanno pregi e difetti. Con il metodo frontale, si riesce a trasmettere una quantità molto maggiore di conoscenze, ordinate e di ottima qualità, ma se il docente non riesce a coinvolgere gli allievi e a stimolarne l’interesse, può risultare noioso, come dici tu, e libresco. Con il metodo attivo, gli studenti sono più coinvolti e memorizzano meglio ciò che hanno imparato attraverso la propria esperienza personale, ma si impara complessivamente molto meno, in modo più frammentario e meno solido dal punto di vista teorico. L’insegnamento migliore è quello che li usa entrambi, a seconda del contesto e degli argomenti. Ma ricorda che una lezione frontale ben fatta, fondata su domande stimolanti e vitali, può dare più soddisfazione agli studenti di un dispersivo lavoro di gruppo.

Smarty

Quello che dici tu andava bene per le generazioni passate. Oggi a scuola abbiamo i Millennials, i ragazzi che sono nati con lo smartphone in mano… Come si fa a catturare la loro attenzione con la vecchia lezione dalla cattedra? E poi con i new media si impara moltissimo… A che servono tutte ‘ste nozioni, se hai tutto a portata di click? Bisogna svecchiarsi, dài. Non si può fare lezione come nell’Ottocento!

Sofia

Hai ragione sui Millennials. Infatti i neuropsichiatri seri, come il tedesco Manfred Spitzer, sulla scorta di centinaia di studi scientifici condotti nelle migliori Università, sostengono che l’uso precoce di smartphone e PC sia causa di demenza digitale. Fra i tanti danni dei tuoi benedetti aggeggi digitali, infatti, ci sono la riduzione progressiva della capacità di attenzione, la mancata formazione delle vie neurali per lo sviluppo delle abilità linguistiche e matematiche, la dipendenza, il tempo sottratto alla lettura e alle amicizie, la sensazione di sapere, mentre si è ignoranti, per il semplice fatto di essere sempre connessi. Se diamo in mano agli studenti lo smartphone in classe, li faremo senz’altro smanettoni e magari pure divertiti, ma stupidi. E comunque informazioni e conoscenze non sono la stessa cosa. C’è la stessa differenza che c’è fra i mattoni accatastati alla rinfusa e l’edificio terminato, conforme ad un progetto.

Smarty

Si vede proprio che vivi in un altro mondo… In ogni caso, che ti piaccia o no, ce lo chiede l’Europa. Non hai letto i documenti europei che negli ultimi vent’anni hanno ribadito in ogni modo il ruolo delle competenze? E come lo trovi il lavoro, studiando Raffaello o Boccaccio? Carmina non dant panem…  Come fai ad essere competitivo, se non vai oltre le conoscenze e non impari ad essere autonomo, a sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, se non sai usare le tecnologie digitali, se non hai le tue belle certificazioni linguistiche e non ti prepari per la formazione permanente? Non dico che un po’ di conoscenze non servano, ma senza le competenze i ragazzi saranno tagliati fuori dal mondo del lavoro.

Sofia

Ma da quando in qua il mondo del lavoro è il fine della scuola? E la competizione, poi? Dove l’hai vista nella Costituzione? Hai mai sentito parlare degli “inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2)? O del “pieno sviluppo della persona umana” e dell’ “effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3)? Mi spieghi come faranno questi sventurati ragazzi, specie se non vengono da una famiglia ricca e istruita, a migliorare il proprio status senza un bagaglio di conoscenze ampie e ben strutturate? Non crederai mica che si possano acquisire le competenze vere, come il senso critico, la capacità di argomentare, di comprendere il senso di un’opera d’arte o di un testo letterario in autonomia, di difendere i propri diritti e di svolgere con coscienza i propri doveri di uomini e di cittadini solo sulla base della classe flippata*? Diceva don Milani che ogni parola non imparata oggi è un calcio in culo domani. Quanto aveva ragione! Pensi davvero che con il lavoro di gruppo e procedure induttive si possano imparare tante parole quante ne fa apprendere la lezione frontale?

* [N. d. A: flipped classroom è la classe rovesciata, nella quale sono protagonisti gli allievi]

Smarty

Ma allora proprio non capisci. Qui nessuno ha detto che le conoscenze devono sparire. Devono soltanto essere subordinate alle competenze. Sono le competenze il nuovo scopo della didattica. Solo così avremo finalmente una didattica inclusiva, capace di accogliere tutti, anche gli studenti svantaggiati a cui sembri tenere tanto. La scuola delle competenze è innovativa perché permette di superare la demotivazione e l’estraneità della lezione frontale e il disamore per lo studio. Gli studenti verranno a scuola più volentieri e impareranno di più, perché saranno coinvolti in ciò che imparano. Ma hai letto l’elenco delle competenze definito dalla Raccomandazione del Parlamento europeo del 7 settembre 2006? Guarda che sono previste anche le conoscenze:

comunicazione nella madre lingua, comunicazione nelle lingue straniere, competenza matematica, competenze di base in scienza e tecnologia, competenza digitale, imparare ad imparare, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale.

Sofia

Guarda che sei tu quello che non ha le idee chiare. Chiariamo subito una cosa: che un conto è il fine e un conto è il metodo. Il fine di sviluppare le competenze è sempre stato presente nella scuola. Conoscenze, abilità e competenze, o se preferisci sapere, saper fare e sapere essere sono da sempre il fine dell’istruzione. Quando frequentavo il mio austero liceo classico d’altri tempi, anche senza le classi flippate ho sviluppato competenze di valore inestimabile, che mi hanno permesso di formarmi una cultura ampia e solida anche se i miei genitori avevano la terza elementare e di essere qui adesso a discutere con te. Ma senza le conoscenze, senza le mie versioni dal greco e dal latino, non stringerei nulla. Pensa che perfino negli studi sull’intelligenza si è compreso che sono le conoscenze a renderci intelligenti e non le capacità grezze. Ma tu confondi il fine con il metodo: sembra che solo con il metodo attivo si possano conseguire le competenze, ed io te lo contesto fermamente. Ti assicuro che in 35 anni di insegnamento ho visto coorti di allievi altamente motivati e coinvolti anche nella lezione frontale. Non è il metodo che fa la differenza, ma l’energia coinvolgente dell’insegnante, se crede in quello che fa e trasmette passione per il sapere. E ho visto tante volte nei loro occhi la soddisfazione di aver espugnato un concetto difficile che mai avrebbero formulato da soli o di aver imparato a studiare molto in poco tempo.

In secondo luogo, chiedo io a te se quelle elencate sono le uniche competenze che la scuola deve fornire. Ma ti pare che non ce ne siano di più adatte al “pieno sviluppo della persona umana”? Per esempio, essere cittadini critici e consapevoli, conoscere se stessi e gli altri, avere sensibilità per la bellezza, saper essere mente, corpo e spirito, individui creativi e fruitori di cultura, saper essere membri attivi e responsabili di una comunità sociale, saper cooperare con altri in vista di un fine condiviso, sviluppando il senso del bene comune, la competenza emotiva e dialogica, la tolleranza delle opinioni che non si condividono, la disponibilità ad ascoltare e a difendere le proprie tesi in modo razionale e argomentato? Non vorrai dirmi che la deduzione trascendentale di Kant rientra da qualche parte nel tuo elenco? Con quelle competenze si allevano al più dei Monsù Travet, dei lavoratori non troppo critici.

E poi, sii onesto: al di là delle parole, come si fa a conservare le conoscenze in una didattica per competenze intesa come la intendi tu? Ti faccio un esempio concreto. Prendi un insegnante liceale di storia. Sviluppare il senso del divenire dei fenomeni umani e saperli collocare nello spazio e nel tempo non è una competenza fondamentale? Bene. Nel biennio, l’insegnante suddetto ha un’ora in meno di storia rispetto a 11 anni fa (dalla Riforma Gelmini del 2008) e deve condividere le ore con Geografia, che prima era materia a sé (ha anche un’ora in meno di Italiano, ma questa è un’altra faccenda). I suoi allievi sono molto più numerosi (intorno ai 30, di cui almeno 4 o 5 con BES o DSA) e arrivano da otto anni di scuola in cui la storia si è studiata poco o nulla, visto che si è abbandonato lo schema ciclico di Bruner, che prevedeva di riprendere l’intero percorso storico ad ogni nuovo ciclo didattico. Con le sue 66 ore annuali a disposizione, il nostro docente deve trattare in due anni tutta la storia antica e la geografia (le quattro nozioni che riesce a trasmettere) a studenti pressoché privi di nozioni di base. Il suo collega del triennio, che ha sempre due ore settimanali, 66 all’anno, deve arrivare in tre anni al Novecento…

Smarty

E vabbè, ma allora insisti… ti ho detto che non ci sono più i “programmi”. Parli tanto di libertà di insegnamento e poi non ti rendi conto che puoi scegliere tu che cosa insegnare. Mica sei obbligata a fare tutto… Sulla storia, poi, non hai nemmeno più il problema della prova scritta all’Esame di Stato. L’hanno tolta, tanto non la svolgeva nessuno.

Sofia

Ci stavo arrivando, appunto, se mi lasci finire il discorso. Supponi che il nostro bravo collega di Storia, con le sue 66 ore annue, decida di programmare, con ore e ore di lavoro extra non retribuito, un bel percorso interdisciplinare con i colleghi di Italiano e Storia dell’arte e una serie di moduli (pardon, di UDA, come si chiamano adesso) che prevedono alcune visite ai musei, l’analisi di documenti, la visione di un paio di film e qualche lezione in Inglese in modalità CLIL. Delle sue 66 ore, almeno un quarto circa se ne andrà fra assemblee studentesche, gite, progetti, alternanza scuola-lavoro, esperti esterni e altre interessanti attività consimili. Nelle 50 ore rimanenti, deve valutare i suoi 25-30 studenti almeno due volte al quadrimestre, altrimenti è fuori dalla legalità. Vorrà vedere come espongono la lezione? Se è molto esperto, se la cava con un quarto d’ora a studente. Moltiplicato 30 studenti per due volte al quadrimestre sono 60 quarti d’ora, 15 ore in tutto. Sempre che non si distragga un attimo e non si ammali. Poi però ci sono le prove di recupero, che sono tante, visto che gli studenti non studiano. Facciamo altre 5 ore? E sono 20. Da 50 siamo arrivati a 30…

Smarty

E chi ti dice che devi interrogarli? Anche quella è roba vecchia. Puoi valutarli molto più in fretta con un bel test! Così hai anche il vantaggio di monitorare tutti gli apprendimenti in modo strutturato.

Sofia

E tu credi che la capacità di esporre o di argomentare e l’attitudine al ragionamento storiografico si misurino con un test? Ma lasciami finire. Nelle sue 30 ore, il povero docente deve tentare la quadratura del cerchio: o trasmette le nozioni minime (in quinta, la storia dell’Ottocento e del Novecento) o fa i suoi lavori di gruppo. Ma per fare i lavori di gruppo deve rinunciare a trattare buona parte dell’Ottocento e del Novecento (in verità, al Novecento ci si arriva di striscio e solo fino alla seconda guerra mondiale, se si è proprio bravi). Un lavoro in modalità attiva, infatti, richiede molto più tempo e soffre delle continue interruzioni a fine ora di lezione. Per realizzarlo, occorrerebbe modificare l’organizzazione didattica e assegnare molte più ore alle lezioni. Perciò finirà come già verificato in altri Paesi: gli studenti sapranno tutto di un paio di argomenti (magari anche 5 o 6, non di più in 30 ore) e niente di tutto il resto. E secondo te questo è meglio?

Smarty

Meglio poche cose, ma fatte bene, almeno si impara ad imparare. Così almeno studieranno volentieri e saranno pronti per il mondo del lavoro.

Sofia

E qui ti sbagli di grosso. Negli Stati Uniti la didattica per competenze è stata introdotta nel 2001 con enfasi da una legge votata in maniera bipartisan dal Congresso, e con essa i test di verifica delle competenze in lettura e scrittura, ai quali erano subordinati i fondi alle scuole. Risultato: un disastro totale. Sono aumentate le disuguaglianze fra ricchi e poveri e peggiorate le abilità di comprensione dei testi. Leggere non è come andare in bicicletta. Non basta saper pedalare: per capire un testo bisogna poter contare su un solido bagaglio di conoscenze. Inoltre, il sistema dei test ha introdotto la pratica perversa del teaching for testing. Si studia solo ciò che serve per superare il test, alla faccia delle sbandierate conoscenze, che finiscono nella spazzatura. La moneta cattiva scaccia quella buona e nella scuola sta avvenendo lo stesso.

Smarty

Come sei disfattista… Noi non siamo gli Stati Uniti. Da noi le conoscenze sono ancora ben presenti nei curricoli della scuola pubblica.

Sofia

Come sei ingenuo tu, invece! Quello che io vedo è che questa faccenda della didattica per competenze è l’ultima spallata neoliberista alla scuola della Costituzione. Non potendola eliminare del tutto, dopo averla strangolata economicamente, aver umiliato i suoi docenti, averla privata di tempo, risorse, edifici sicuri e di un numero ragionevole di alunni per classe, e dopo il tentativo di regionalizzarla per indebolirla ulteriormente, ora le danno la mazzata finale, sfilandole da sotto le conoscenze. Non ci sarà semplicemente più il tempo di trasmetterle! E chi lo farà sarà un vecchio arnese da rottamare quanto prima. Ma gli studenti, sicuramente saranno più sereni e felici a scuola e i genitori avranno meno crucci per i brutti voti degli insegnanti cattivoni. Felici e ignoranti. Ma competenti, e molto, molto smart.

Smarty

Sai che ti dico? Sei proprio una lagna. Sei troppo attaccata alle tue polverose Conoscenze. Non riesci proprio ad accettare il cambiamento…

Sofia

Avrei invece molto da insegnarti, caro collega sprovveduto. Ma continuerò a modo mio finché sarò nella scuola. La libertà di insegnamento me la tengo ben stretta e la difenderò con le unghie e con i denti. A differenza di molti esponenti della classe politica, sono ancora fedele alla Costituzione e non prenderò in giro i miei allievi con uno specchietto per le allodole. A proposito: dato che sulla pagina Facebook Dillo a Fioramonti, creata da La Tecnica della Scuola, sono arrivati moltissimi suggerimenti per il nuovo Ministro dell’Istruzione, mi aggiungo al coro con quattro richieste: Che cosa aspetta, egregio Ministro, a dare alla scuola le risorse economiche necessarie? Sarebbe più urgente che non ci cadessero gli edifici sulla testa e che avessimo uno stipendio dignitoso. Perché poi non ridare all’insegnamento della Storia lo spazio che merita? I nostri studenti sanno poco di tutto e niente del Novecento. Perché non fermarsi un momento a ripensare la didattica per competenze, dati i risultati degli USA e data la libertà di insegnamento? Anche Lei ha giurato fedeltà alla Costituzione. E soprattutto: perché non mi manda in pensione? Ne ho abbastanza di vedere l’istruzione pubblica svilita in questo modo. Grazie, Ministro. Chissà se almeno a Lei importa davvero della cultura nel nostro splendido e martoriato Paese. Si ricordi che è la scuola ad avere il compito di trasmetterla alle generazioni future, ma per poterlo fare non deve perderla per strada.

Articolo pubblicato il 16 ottobre 2019 sul sito di Sovranità Popolare.

La vita sulla Terra è una trappola per la nostra essenza divina. Intervista a Fiorella Rustici

Intervista di Simona Valesi a Fiorella Rustici

Viviamo in una struttura artificiale creata apposta per intrappolare le parti divine sopravvissute al declassamento energetico della Terra e della razza precedente alla nostra, successi molto tempo fa. Questo è il risultato degli studi approfonditi che porta avanti la ricercatrice spirituale Fiorella Rustici da oltre quarant’anni.

La sua specialità è comprendere come funziona la mente in relazione alla coscienza, cioè capire perché, di fronte a delle possibili scelte, ci ritroviamo sempre a scoprire, col senno di poi, che abbiamo preso quella sbagliata, con le sue conseguenze negative nella vita. Quindi se avete mai pensato che fosse difficile agire per ottenere dei cambiamenti positivi nella vita e nella società, ora sapete che avete un nemico da combattere che da qualche eone vi lavora contro.

“Io ho avuto la mia prima crisi esistenziale a un anno e mezzo”, ci racconta la Rustici, “quando mia mamma mi ha fatto vedere allo specchio dopo avermi vestita da Pierrot. Come tutti i bambini piccoli il mio spirito era lontano dal corpo, ma era già consapevole perché veniva da altre vite dove avevo fatto percorsi spirituali in cui avevo acquisito conoscenze e saggezza. In quel momento, vedendo il mio corpo allo specchio, ho avuto un’intuizione che mi ha reso palese il livello di degrado dell’umanità e le difficoltà che avrebbero incontrato gli esseri spirituali che erano rimasti qui, per aiutare a recuperare l’essenza divina superstite e ancora recuperabile dall’ultimo declassamento della Terra e dei suoi abitanti, prima che subisse un altro declassamento dimensionale ed energetico”.

La Rustici vede questa progressiva caduta verso il basso del livello spirituale della razza umana e della Terra, e comprende allora che i percorsi spirituali precedenti non erano stati sufficienti per recuperare le parti divine che erano rimaste intrappolate su questo pianeta, e che uno studio che andasse più in profondità rispetto alle conoscenze già acquisite era necessario.

Infatti, dice, non tutti si erano evoluti, ed era indispensabile affinare la ricerca andando a uno strato più profondo dove poter risvegliare le consapevolezze e ridar loro quella dignità divina che ogni parte spirituale dovrebbe avere e si merita. Scopre così che l’energia mentale, tramite cui tutto si muove e esiste, è regolamentata da delle leggi che erano ancora sconosciute, e le ha chiamate Meccaniche Mentali.

“Le ho chiamate meccaniche mentali”, si ricorda la Rustici, “perché studiando le leggi dell’energia mentale ho scoperto che viviamo in una struttura creata artificialmente, quindi in una mente artificiale meccanica e tecnologica. Meccanica mentale deriva quindi proprio dalla conoscenza di questa mente meccanica tecnologica artificiale. A questo proposito sono molto contenta che recentemente le ricerche di molti scienziati quantistici e tradizionali stanno ipotizzando e verificando coi loro esperimenti che questa è la realtà in cui viviamo”.

La Rustici spiega che come ci sono tante leggi nell’ambito della fisica, chimica o biologia, anche le leggi dell’energia mentale sono numerose e si ripetono continuamente perché sono sempre attive, esattamente come la forza di gravità che ci tiene attaccati alla terra e la legge di Bernoulli che fa volare gli aerei.

Una di queste, ci porta ad esempio, è la legge, o meccanica mentale, del copiare. Nel 1978 quando la Rustici ha iniziato la sua ricerca a uno strato più profondo, ha scoperto che una delle principali meccaniche mentali presenti sul nostro pianeta è la capacità dell’energia mentale del nostro cervello di copiare non solo l’ambiente che ci circonda ma anche tutto ciò con cui veniamo in contatto.

“Questa meccanica diventa molto negativa nel momento in cui la nostra mente cerebrale non fa nessuna differenziazione fra ciò che siamo noi con le esperienze che noi viviamo come pensieri, emozioni, paure, desideri, e ciò che vivono gli altri e che noi copiamo. È ciò che la scienza tradizionale ha cominciato da diversi anni a studiare come il fenomeno dei neuroni-specchio, anche se non sono ancora riusciti a comprendere tutte le complicazioni ad esso collegate e le motivazioni per cui è stata creata questa legge mentale”.

Molte altre meccaniche mentali importanti, ci spiega Fiorella, derivano dalla mente genetica, cioè dalle memorie dei nostri avi materni e paterni che abbiamo registrato dentro la nostra mente, parzialmente riconosciuta anche dalla più nota legge dell’ereditarietà. Oltre a godere di tanta creatività e talenti che arrivano da queste memorie, dobbiamo però fare anche i conti con le loro coscienze che influiscono nella nostra vita creandoci sensi di colpa e auto-punizioni. Noi, infatti, ripetiamo quello che i nostri avi hanno vissuto nella loro premorte e morte perché il vissuto di quei momenti rimane registrato nella nostra mente, insieme ai contenuti della parte animale che ognuno di loro si porta dietro, essendo noi una specie animale umana.

Le meccaniche mentali sono uguali per tutti”, spiega Fiorella, “perché sono alla base della struttura artificiale che fa vivere a tutti le stesse cose. Noi possiamo credere di essere unici e diversi dagli altri, ma è un ‘illusione. La diversità viene percepita dalle esperienze che uno può fare, ma i pensieri, le sensazioni, le emozioni, i conflitti, le paure che viviamo sono sempre uguali per tutti”.

L’unicità si trova invece nella scintilla divina che ancora molti di noi hanno dentro e che, come ci rivela Fiorella, “quelli come me, sono venuti qui per recuperare. È una decisione presa da quelle parti che amano la vita, quella di rimanere ad aiutare le coscienze rimaste intrappolate. Siamo Esseri venuti al recupero delle varie scintille divine superstiti e ancora recuperabili. Secondo le mie ricerche, il degrado spirituale parte dalla mancanza di conoscenza della mente e delle varie trappole che contiene. In assenza di questa conoscenza l’individuo non può che ritrovarsi a vivere solo la sua umanità come specie animale umana, senza potersi riappropriare e vivere nelle sue qualità e poteri spirituali”.

Vale quindi la pena conoscere il funzionamento delle meccaniche mentali, ci dice la Rustici, “per comprenderle, osservarle, non caderne effetto e soprattutto non identificarcisi, perché la mente con le sue meccaniche mentali non ha consapevolezza e coscienza di sé. Solo una coscienza che ha sviluppato la propria spiritualità, comprendendo anche le meccaniche mentali, può uscire dalle identificazioni della mente stessa e collegarsi alle realtà non artificiali con le sue caratteristiche di amore, luce, gioia e vita puri, tipiche della propria parte divina”.

Quando la persona comprende le meccaniche mentali, sviluppa una coscienza con una propria scala di valori positiva, e diventerà una persona che rimedia ai propri errori, ricrea giustizia dove l’ha tolta, lotta per avere un mondo migliore dove ci sia amore, rispetto, etica e valori spirituali da inserire in tutte le aree della sua vita”.

Si sa che l’evoluzione spirituale individuale è intrinsecamente collegata a quella sociale. “Comprendere è vita!”, afferma Fiorella. “Essendo tutti collegati, siamo soggetti alla legge della massa critica. Quindi se tante persone lavorano sulla comprensione della struttura mentale artificiale in cui sono intrappolate e riescono a uscirne, aiutano anche gli altri a loro collegati. Questa comprensione passerà nella coscienza collettiva. Anche se non tutti intraprenderanno un percorso specifico, si troveranno comunque questa saggezza dentro di loro in modo naturale, come se fosse una loro caratteristica, ottenendo così contemporaneamente un’evoluzione spirituale individuale e sociale”.

Solo così, raggiungendo questo risultato desiderato, il nostro Pierrot potrà asciugarsi la sua eterna lacrima e ritrovare il sorriso della gioia spirituale.

Simona Valesi

EVOLUTION DAY by FIORELLA RUSTICI

Con questa aspettativa e speranza Fiorella Rustici ha istituito l’Evolution Day: un giorno l’anno in cui i suoi corsi, nei quali spiega il funzionamento delle meccaniche mentali e il conseguente comportamento della coscienza, sono accessibili a tutti.

Per avere informazioni sul prossimo Evolution Day chiamate il cell. 335-233018 o scrivete a corsi@fiorellarustici.com .

Rebis: il risveglio del Femminile spirituale

Articolo pubblicato l’8 ottobre 2019 su Olistic News.

Il Rebis (dal latino Res bina, cosa doppia), è il simbolo alchemico dell’unione degli opposti. Gruppo di studio informale, nato da un’idea di Patrizia Scanu, psicologa, Gestalt Counsellor e docente al liceo delle Scienze Umane di Alba in Piemonte, si propone di dare spazio alla riflessione sulla profonda crisi globale che sta attraversando questo mondo prodotto da decenni di ideologia neoliberista. Se ne ricercano le cause nel secolare squilibrio fra maschile e femminile, che ha prodotto una frattura nell’integrità della persona umana, fatta di corpo, mente e spirito, e ridotto al lumicino la componente spirituale.

Il gruppo di lavoro, assolutamente laico e dialogico, si propone di dare vita ad un vasto movimento di opinione che stimoli la presa di coscienza collettiva dei valori e delle qualità femminili, schiacciati e silenziati da secoli di repressione, soprattutto religiosa.

Rebis è un gruppo di persone, uomini e donne, che intendono riflettere sul modo in cui lo sviluppo di una spiritualità di qualità femminile possa contribuire ad elevare il livello delle coscienze e di conseguenza della vita civile. Il Femminile qui è da intendersi in senso energetico, come femminile interiore, presente sia nelle donne sia negli uomini.

“Siamo convinti che non si potrà cambiare nulla a livello politico finché le persone non matureranno una consapevolezza profonda della propria natura spirituale, intesa nel senso più alto e laico del termine. E dell’essenza spirituale, che in sé non è né maschile né femminile, una componente essenziale, quella femminile, è stata a lungo soffocata e repressa. Pensiamo ci sia bisogno di recuperare l’equilibrio perduto per ricostituire l’integrità dell’essere umano. Senza un riequilibrio fra le due energie, il maschile e il femminile spirituale, questo mondo è condannato. Solo ritrovando l’integrità della propria essenza si può pensare di costruire un mondo più evoluto, superando le bassezze dell’attuale contesto politico e le dolorose lacerazioni di una società costruita sulla competizione e sul possesso”.

Il gruppo di studio non ha niente a che fare con il movimento femminista né si propone di creare una “riserva” per sole donne. Qui le donne e gli uomini hanno un ruolo assolutamente paritario. Rebis dovrebbe essere la casa degli uomini che hanno fatto pace con il femminile e delle donne che, valorizzando il femminile, hanno fatto pace con il maschile. Tutti – uomini e donne – nel rispetto delle innegabili differenze, hanno da guadagnare dallo sviluppo integrale della propria coscienza spirituale.

Lo scopo del gruppo di studio è proporre modelli alternativi di comportamento personale, di gestione delle relazioni fra persone, di azione civile e politica che aiutino le persone a uscire dall’isolamento e dalla competizione neoliberista e a costruire una società migliore ed evoluta. Non si tratta solo di discutere, ma anche e soprattutto di agire e di imparare. Le attività si declinano in organizzazione di eventi, corsi, seminari e momenti d’incontro. Si prevede la promozione di iniziative sociali e politiche, intendendo per “politico” ciò che riguarda la polis, ovvero al vita della comunità dei cittadini. Si occuperà di formazione e informazione. Solo dallo sviluppo della consapevolezza dell’intero potenziale umano può nascere, infatti, una visione del futuro fondata sui valori autenticamente spirituali che ispirarono la Costituzione italiana del 1948.

A quei valori di uguaglianza sostanziale, solidarietà, partecipazione, cooperazione, bellezza, responsabilità, giustizia, traditi da decenni di politiche asservite all’interesse di pochi e subordinate al dogma dei mercati, Rebis s’ispira per dare sostanza civile agli argomenti scelti per la riflessione. Dimensione spirituale e dimensione politica sono interdipendenti, sebbene Rebis non sia né un movimento politico né un gruppo d’ispirazione religiosa.

È un gruppo aperto alla collaborazione di uomini e donne altamente motivati a compiere questo percorso personale e collettivo di trasformazione delle coscienze, che condividano questa visione di fondo e siano disponibili a dare un contributo di idee e di azione al lavoro del gruppo. Persone belle e validissime si stanno impegnando con entusiasmo a produrre idee e progetti per questo gruppo. Ne puoi far parte anche tu. Puoi iscriverti al Gruppo Rebis su fb oppure scrivere una mail a grupporebis chiocciola gmail.com.

Patrizia Scanu